Catanzaro, il Festival d’Autunno debutta al Politeama con Cleopatra: intervista al maestro Caldi

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  08 ottobre 2025 10:02

di CARLO MIGNOLLI

La XXII edizione del Festival d’Autunno, ideato e diretto da Antonietta Santacroce, debutta ufficialmente al Teatro Politeama di Catanzaro, dopo l’edizione estiva e le anteprime, con la prima nazionale assoluta di Cleopatra, l’opera lirica in due atti firmata da Alessandro Meacci su libretto di Marco Maria Tosolini. In scena l’11 ottobre alle ore 21:00, l’opera propone una rilettura innovativa della celebre regina d’Egitto, lontana dagli stereotipi e restituita nella sua complessità di donna forte, indipendente e lungimirante.

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A guidare la Roma Tre Orchestra sarà il Maestro Massimiliano Caldi, direttore di fama internazionale, chiamato a dare vita a una partitura inedita che intreccia musica, dramma e riflessione contemporanea. Con lui abbiamo parlato di questa sfida, del significato profondo di Cleopatra e del potere della musica nel restituire nuove prospettive alle grandi figure della storia.

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L’INTERVISTA

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Il Festival d’Autunno inaugura la sua XXII edizione il 10 ottobre al Teatro Politeama di Catanzaro con la prima nazionale di Cleopatra. Cosa si prova ad aprire una rassegna così importante?
«Si prova l’emozione di un salto nel vuoto, perché per me è la prima volta a Catanzaro. Non è la prima volta che dirigo in Calabria, ma è la prima volta in questa città e in una sede così prestigiosa che, per ora, ho visto soltanto in fotografia. Sarà un’emozione immensa arrivare lì e prendere posto sul podio».

Cosa l’ha spinta ad accettare di dirigere proprio quest’opera?

«Mi ha spinto ad accettare questo progetto una sorta di incoscienza, quella che appartiene a tutti i musicisti. Ne parlavo anche con Valerio Vicari, direttore artistico di Roma Tre Orchestra: spesso scegliamo di buttarci anima e corpo in un progetto che ci appassiona, rinunciando ad altro. Anch’io avevo un impegno nello stesso periodo, ma ho deciso di concentrarmi su Cleopatra. È quindi un’emozione doppia, un’incoscienza doppia, ma sempre basata sul mio metodo di lavoro: studiare a fondo la partitura. Spero che non deluderemo il pubblico».

Avete già fatto delle prove con i cantanti: com’è stato il primo approccio con il cast?

«Abbiamo lavorato intensamente con il pianista e i cantanti e già nella prima prova mi sono sentito a casa. Le quattro voci maschili sono tutte polacche, e per me la Polonia è come una seconda casa musicale: lì ho vinto nel 1999 un concorso di direzione e da allora ho collaborato con orchestre e istituzioni polacche. Ci siamo trovati subito in sintonia».

E le due voci femminili, Cleopatra e Ottavia Minore?

«Sono italiane e splendidamente preparate, nonostante la difficoltà oggettiva della partitura. Non c’è stato neppure bisogno di rompere il ghiaccio: si è creato da subito un bel clima di lavoro e collaborazione tra tutti».

L’opera affronta temi attuali come gli stereotipi di genere. Come pensa che la musica possa sostenere e amplificare questo messaggio?

«Ne sono profondamente convinto. La musica di Meacci è ricca di spunti e ha una personalità decisa, perché il compositore è ambizioso, come è giusto che sia. Ci sono momenti volutamente melodici, quasi pucciniani, e anche riferimenti dichiarati alla tradizione. Ma, in generale, la musica non vuole mai disturbare il testo: lo accompagna e lo sostiene»

Quindi il pubblico potrà comprendere bene anche le parole del libretto?

«Esatto. Il libretto di Tosolini è scritto in una lingua particolare, un misto di greco, latino e italiano, e proprio per questo è importante che il testo resti comprensibile. In questo senso la partitura ricorda la riforma seicentesca, quando il melodramma nacque con l’idea che il testo dovesse essere chiaro prima di tutto. Qui la musica diventa sostegno, non sovrastruttura: è pensata perché le parole arrivino nitide al pubblico».

In chiusura, quali emozioni o riflessioni spera che il pubblico porti con sé dopo aver assistito a Cleopatra?

«Spero che il pubblico colga la possibilità di rivalutare questa figura storica, spesso deformata dalla letteratura e dalla filmografia, che l’hanno ridotta al cliché della “mangiatrice di uomini”. È una rappresentazione semplicistica e ingiusta. L’opera non ha un lieto fine, si chiude con la morte di Cleopatra, ma con la speranza che il pubblico ne esca con una nuova visione: una donna complessa, lungimirante, fuori dai luoghi comuni che ancora oggi ne condizionano l’immagine. Questo è l’intento del compositore e del librettista».

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