Domenico Bilotti: "Cronache dalla zona rossa: quando Edward Hopper e Gaetano Salvemini si persero in Calabria"

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images Domenico Bilotti: "Cronache dalla zona rossa: quando Edward Hopper e Gaetano Salvemini si persero in Calabria"
Domenico Bilotti
  02 gennaio 2021 17:36

di DOMENICO BILOTTI

Le misure prese per contrastare la pandemia da Covid-19 per il giurista somigliano a un puzzle al quale mancano pezzi, o che ne ha troppi. In fondo il risultato è simile: manca un'immagine netta e a fuoco, tutto si compone e tutto si scompone. La Calabria è la sezione di figura con più serrature che scricchiolano. I casi galoppano sin da agosto, ma il dato aggregato è ancora più modesto che in altre regioni. Qui sono le insufficienze materiali in sanità a confinarci forse un'altra volta dietro la lavagna, nella famigerata zona rossa degli ultimi della classe. E se le aree del Paese sono divise per criteri ministeriali opinabili, ma modulati secondo una loro razionalità, ancora ci sfugge perché ci si sia arrivati proprio ora, con una curva di contagi sempre più omogenea. E a giugno? Quando quasi il 40% dell'Italia era a contagio zero e altre zone viaggiavano sulle centinaia di contagi giornalieri? Uno dei padri del secondo federalismo italiano (quello, per capirci, della Repubblica costituzionale, non del Risorgimento), Gaetano Salvemini, insisteva vivacemente sull'opportunità di misure differenziali nelle varie suddivisioni amministrative. Solo un loro uso intelligente avrebbe potuto nel tempo avvicinare le aree più svantaggiate e in difficoltà. Ciò significava: ospedali prima che fabbriche, scuole prima che municipi, diritti prima che tassazione e leva obbligatoria. Solo che se Salvemini è risceso in Calabria negli ultimi cinquant'anni sarà finito al posto di blocco sullo scaffale di qualche biblioteca. Lì almeno al sicuro dal virus e dalla costante sottrazione di sogni: la prateria in fiamme dove lui e Francesco Saverio Nitti morirebbero in un violento attacco d'asma. 

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E torniamo alla "zona rossa": comprensibile ripartizione di attività consentite che linguisticamente tuttavia rimanda a pagine brutte di storia italiana recente. "Zona rossa" durante il vertice mondiale di Genova, nell'estate del 2001, era l'area interdetta ai manifestanti. Fu una carneficina e certo una debacle. Da Amnesty International ad Emergency, da Human Rights Watch a giudici della Corte di Strasburgo (entità internazionali di diversissima qualificazione giuridica e ideologica quanto di comprovata e trasversale autorevolezza), molti definirono le giornate di Genova come la più grave sospensione di diritti umani in Occidente dal Dopoguerra ad allora. Dal prestigio internazionale conseguibile, fummo al solito travolti dal disdoro di una vicenda giudiziaria e da una luttuosa frattura intergenerazionale tra garantiti e non garantiti, tra indifferenti e militanti, tra carnefici senza pena e vittime senza volto. 

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Oggi "zona rossa" ci richiama a molto più incruente chiusure circostanziate che fanno salve almeno le attività essenziali. Dopo mesi di corrente alternata, servizi e settori che soffrono di più sono la ristorazione, lo sport (soprattutto in sala attrezzi o amatoriale: i tesori di leghe e pay-tv sono al sicuro), le arti museali e performative. Quest'estate il teatro all'aperto, la musica, i congressi e le presentazioni provarono a ripartire DAL VIVO. Qualcuno paga colpe proprie e qualcuno colpe non sue, ma è innegabile che i palchi abbiano contagiato meno delle rsa e delle catene multinazionali. I piccoli esercenti di bar e cibarie hanno investito in messa a norma e asporto ma pochi ce la stanno facendo; quasi solo quelli che hanno abbastanza risorse da abbinare altre utilities. Tabacchi, ricevitoria, promozioni, reti di distribuzione... 

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Il viandante che a metà pomeriggio abbia disbrigato le sue commissioni in questo strano Natale imballato può avere la sensazione di accostare al baretto sotto casa e trovarsi in un quadro di Edward Hopper o nel remake di un film sul proibizionismo. Macchine a dir poco rade, luminosità artificiale già notturna, pioggia. La fauna di chi è fuori casa è varia quanto esigua. A naso ci sarà senz'altro qualche pretestuoso, qualche sciatto ed egoista buontempone, spaccone, facilone e superficiale o quel che si vuole. E però, però... il grosso è fatto di persone che hanno atteso ai familiari anziani, lavoratori in pausa che prendono una birra o un tramezzino per casa, amici e fidanzatini che si salutano con timidezza. Gente comune che si percepisce immersa negli equilibri pericolanti color inchiostro di un dipinto dello stesso Hopper. Solo che i nottambuli d'oggi, con la ragione in sonno e la pandemia in agguato, non fanno le due di notte in un motel sull'highway. Buttano la loro Tennent's vuota sotto casa alle sei del pomeriggio. 

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