Franco Cimino: "Miglietta: il pittore semplice e immediato, il maestro umile, l'artista grande"

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Franco Cimino
  18 novembre 2023 16:14

di FRANCO CIMINO

Questa nostra Città, tanto poco amata e sempre sofferente per l’amore negatogli, si sta impoverendo sempre di più. Questa volta la politica politicante non c’entra. C’entra, invece, la sorte, ovvero quel meccanismo inesplorabile che decide del viaggio degli esseri umani. Il quanto e il come, e con quale ritmo, deve durare. E il quando deve finire. È sempre un dolore grande quando uno di noi da questo meccanismo viene strappato al suo mondo.

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È un dolore per i suoi affetti più cari. Lo è parimenti per la società. Ogni perdita umana é un danno incommensurabile. Per tutti. Specialmente, se la persona porta un’età molto giovane. Ovvero, quella della fatica attiva per la tutela di altri. Ma c’è una perdita che pesa di più. Senza confrontarla ad alcuna, che è di suo come ho sopra detto, affermo che essa pesa. Pesa tanto sulla Città. È quella degli artisti. Un poeta, uno scrittore, un musicista, un pittore, uno scultore, un attore, un cercatore di Bellezza, quando muore rende quella morte ancora più ingiusta. Ancora più dolorosa, per il dolore collettivo che genera in conseguenza del vuoto che lascia nel luogo in cui ha operato.

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Apprendo adesso, sul treno che mi riporta a casa, della scomparsa di Salvatore Miglietta, il pittore umile e grande, tra l’altro ancora giovane dei suoi ottant’anni appena compiuti. Leggo la notizia e un brivido mi prende alla schiena. E dico:” ma cosa ci sta succedendo? Stanno andando via i migliori. Cosa sarà di Catanzaro, se continua a perdere pezzi così importanti?” Non è ancora un anno( sette mesi per l’esattezza) che è andato via il genio di Giovanni Marziano (settantatré anni), pittore infinito, tra i più grandi d’Italia, purtroppo poco pianto, assai poco rimpianto e per nulla ricordato, e che succede? Ci lascia Miglietta. L’ho definito il pittore della grandezza ed umiltà. Era bravo e assai prolifico. Amava tanto dipingere paesaggi e molto delle immagini del reale, che quasi li fotografava.

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Anzi, le rubava, come un ladro di verità. E di Bellezza. Ce l’aveva talmente negli occhi, la Bellezza del reale, che i suoi dipinti trasformavano, pur mantenendosi fedele alle immagini, ciò che contrastava con il bello. Insomma, due tocchi di colore, un fascio di luce, e ciò che Miglietta vedeva, per l’amore che sentiva, si rappresentava come il suo cuore lo desiderava. La sua mente lo sognava. Così i numerosi quadri sulla Città. E della vita cittadina. I lavori nella loro dinamica anche fisica. Le sue piazze, i suoi monumenti e le chiese, le sue vie strette e i suoi vicoli dai muri tutti scuri della vecchia Città, per fortuna ancora conservata, almeno quella. E, poi, il mare, il suo mare! Quanti dipinti che lo ritraevano in tutte le sue forme e colori. In tutta la sua forza mutevole, fino alla calma più distesa.

E il vento. Miglietta sapeva dipingere il vento. Te lo faceva sentire mentre guardavi le sue creazioni. Come ti faceva sentire il suo, di vento, che spirava leggero e rassicurante dal suo cuore buono. Ché lui era anche una buona e onesta persona. Da tutti amato e rispettato. Lui era anche molto conosciuto per essere stato, e da molti anni, su quel marciapiede davanti la sua casa-bottega in quella Marina che il pittore aveva scelta come luogo dell’anima, come posto per viverci fino alla fine. La sua casetta, assai modesta, era in una vecchia costruzione. A piano terra, come erano la maggior parte delle case di allora, dei ceti meno abbienti. E difronte le spalle della chiesa madre, la parte che si porge alla vista della cupola e del campanile.

Era facile vederlo, con tavolozza e pennelli nelle interminabili giornate di sole della nostra eterna primavera, lavorare con le auto che gli passavano rumorose davanti e il vociare festoso dei bambini all’uscita della scuola elementare dell’Istituto delle suore a cinquanta metri distante. Era già questo vederlo uno spettacolo. Anch’io, come tutti, lo chiamavo maestro. Ma lui si scherniva, sorrideva con ironia trattenendosi dal dire che quel titolo non lo meritasse. E, invece, lo meritava. Quest’uomo semplice, artista grande, era maestro. Anche d’umiltà e di cuore.

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