La riflessione di Franco Cimino: "Ma non bastano ancora in questa fame di morti che abbiamo?"

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images La riflessione di Franco Cimino: "Ma non bastano ancora in questa fame di morti che abbiamo?"
Franco Cimino
  16 giugno 2023 17:40

di FRANCO CIMINO

"Ma quante vite ancora in questa macelleria della carne umana? Quante pietose sepolture dobbiamo affidare al mare? Quante parole ipocrite e lacrime bugiarde dobbiamo versare nuovamente in questo circo della mediocrità e della vergogna? Quante? Quante? Quante? Non lo chiedo a Te, Signore, ché non è colpa Tua questo massacro senza fine. Chiamarti in causa, ancora una volta e per le altre puntualmente a venire, è giochino che va lasciato ad altri. A quelli che sanno e fanno finta di non sapere, a quelli che vedono e fanno finta di non vedere. A quelli che odono le urla degli annegati e fanno finta di non sentire. A a quanti, e sono molti, che fanno finta di pregarti perché non vogliono fare. E a quanti, e sono pochi, che si dichiarano cristiani mentre ignorano il sacrificio di Tuo Figlio, che ha subito la stessa sorte di migliaia di povericristi, e di quest’ultimi di ieri notte, davanti alle coste dove sorse una delle prime civiltà. E dove ebbe vita la prima democrazia e prese forma la Politica.

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Nessuno sa quanti fossero su quella barcaccia, che una volta si è donata alla fatica dei pescatori mentre oggi è stata usata come nave di “crociera” per disperati paganti il costo esoso del biglietto più quello extra della propria vita. Li chiamiamo immigrati clandestini, per significare che non hanno diritto di viaggiare. Quando li trasferiamo nelle discussioni politiche dei salotti televisivi-i più lontani spazi dalle aule parlamentari-li chiamiamo migranti economici, così per darci un tono di impegnata intellettualità. Ovvero, per distinguerli, come si fa al mercato dei cavalli o a quello più antico delle vacche, tra coloro che ci servono e coloro che, per età, forza fisica, competenze, capacità di lavoro, diversamente valutabili, il mercato deve scartare. Ah, il mercato li scarta, come per dire noi non c’entriamo! Ovvero, erano già scarti addirittura della stessa povertà che li ha prodotti. Scarti umani. Di questa umanità non più umana. Non li vogliamo, perché “ abbiamo già tanti guai qui”. Non li vogliamo, perché “ abbiamo nuovamente fame qui”. Non li vogliamo perché c’è un piano segreto di sostituzione della nostra razza. Non li vogliamo, perché “ tutti rubano nelle nostre case, stuprano le nostre donne. Rapiscono i nostri bambini. E ci prendono il lavoro, anche quello che da decenni non vogliamo più fare.” Il lavoro nelle nostre case, pure ci rubano. Quello domestico, più propriamente della cameriera. E quello della compagnia e assistenza ai nostri vecchi che abbiamo abbandonato alla solitudine, che è perdita di sé, dolore, rassegnazione. Ci rubano il lavoro nelle campagne, altrimenti abbandonate. E dai raccolti andati perduti con le tavole nostre imbandite che ne resteranno senza. Ci rubano quel lavoro, sotto il sole a quaranta gradi e sotto la pioggia torrenziale anche in estate, che quei brutti ceffi chiamati caporali pagano a meno di due euro all’ora per tredici ore giornaliere. E senza pasto o breve interruzione che li riposi, prima del ritorno a sera in quegli stessi camioncini o furgoncini nei quali sono stipati e con i quali sono stati prelevati di primo mattino, prima che il sole sorga. Così che nessuno li veda. Specialmente, quando si tapperanno in quei tuguri di morte attesa, quella interiore, dal fetore dei quali non li salva neppure l’infinita stanchezza che li prende nel sonno che non viene. Non viene per la paura, per l’umiliazione subita, per la nostalgia della propria terra, per il dolore del distacco dalla propria famiglia. Per la minaccia rimbombante che se non lavorerà sempre al massimo perderà anche questa “ schiavitù” accettata. Di quest’ultimo massacro non abbiamo notizie vere. Certe. Solo i comunicati ufficiali di autorità che si sono inventati la storiella del soccorso greco rifiutato dai “ naviganti”. Respinto da quella nave in crociera. Sarei curioso di sapere se quel rifiuto l’hanno subito con un grande arrogante “ vaffa”. E se il loro desiderio, pure probabile di raggiungere le coste italiane( che altre polemica vedremo!) sia stato accompagnato dal grido corale, come da tifo calcistico, “ Ita-lia, Ita-lia, Ita-lia…”No, non sappiamo nulla di ciò che è realmente accaduto. Come per la strage di Cutro, nessuno porterà la responsabilità di queste morti assurde. Le morti assurde, eh! Sono quelle evitabili, di cui il mare non reca colpa. Ché il mare non è cattivo. Non è mai lui che uccide. Le morti evitabili, sono le vite che si sarebbero potute salvare. Fosse anche una soltanto, magari quella di una donna incinta. Magari, soltanto quella. O la vita di un bambino. Magari, soltanto quella, secondo l’antico detto ebraico secondo il quale “chi salva una vita salva tutta intera l’Umanità.” Non non sappiamo, nulla di quest’ultimo eccidio. Niente si conosce, nessun colpevole tra quelli che si conoscono con nome e cognome. Ancora una volta in galera ci va qualche scafista di quelli accertati. Per qualche leggera pena e una certa affrettata espulsione. Nessun altro subirà alcun processo. Magari in uno dei “ riposanti” tribunali internazionali, che ancora nessuna accusa osano muovere ad alcuno. Chiamiamoli, per nome.

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L’Europa, che tra egoismi e indifferenza, litiga anche sulle più piccole quote di “ spartizione” di questi disgraziati, individui sbagliati, nati per sfortuna nel tempo e nel luogo sbagliati. Le potenze mondiali, gli straricchi, i padroni disinvolti della nuova economia e delle banche che la tutelano, dopo aver storicamente costruito la povertà, sapendola bene assegnarla a terre e a popoli senza terra, a razze ed etnie senza religioni e senza istituzioni, via via allargandola a gente senza tutela e senza protezione. Insomma, alle stesse persone derubate da sempre di tutti i loro averi. No, non sappiamo nulla dell’ultima strage degli innocenti se non ciò che si vede da una foto del vecchio peschereccio scattata dall’alto di un aereo di segnalazione, dicono, più volte effettuata. Si vede con chiarezza una macchia compatta ed estesa fino all’ultimo millimetro di quello spazio soffocante di suo. A seconda della luce sullo schermo, essa è più chiara o più scura. Sembra ferma di individui immobili anche nel respiro. Poche ore dopo non si vede più, né la carretta, né la macchia. Non si vedono neppure quelle braccia innumerevoli agitarsi in mare. Non si vedono neppure i corpi galleggiare. Si conosce solo un numero. Dicono centoventi. Sono gli scarti che si sono salvati, gli individui che hanno potuto raggiungere il porto. Non hanno ancora nome, questi. Ma glielo troveranno, di certo. Un altro numero viene dettato poco dopo.

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È il settantotto. Tratta dei corpi senza vita recuperati in mare. Non hanno nome, questi, e mai lo avranno. Ma quella foto, ne conterebbe almeno altri quattrocento di quei “ croceristi” della miseria e della nostra colpa. Qualche superstite dice che, accalcati nella stiva, ve ne erano almeno altri cento, tutti donne e bambini. Circa cinquecento esseri umani, di cui non sappiamo nulla. Non sapremo mai nulla. Neppure il nome. Che forse non l’hanno mai avuto. Il mare, che non li ha uccisi, ne ha avuto pietà accogliendoli nelle sue braccia, quale ultima dimora. Cimitero dolce e delicato, senza lapide e terra a coprirli. Ché i bambini o volano o nuotano o corrono sui prati. Altrove, non vogliono andare".

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