La riflessione di Silvia Marino sul Pd: "Un partito sospeso tra presente e futuro"

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images La riflessione di Silvia Marino sul Pd: "Un partito sospeso tra presente e futuro"

  19 ottobre 2022 18:32

di SILVIA MARINO

All’indomani di ogni sconfitta elettorale, il frammentato mondo della sinistra a guida PD, precipita nell’ estenuante analisi del voto. Rito superficiale, proteso per consuetudine, all’assoluzione e all’oblio. La sconfitta, in questo caso, non ha i tratti di un evento imprevisto e imprevedibile ma è la conseguenza di un decennio di errori politici, generati dall’autodeterminazione di un gruppo dirigente avulso dalla realtà.

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Eppure, nella narrazione corrente, le ragioni della disfatta sono state derubricate tra gli errori strategici (mancate alleanze) e le difficoltà di contesto (pandemia, guerra, energia) che hanno modificato il quadro sociale di riferimento. I temi politici veri, reali che hanno portato al progressivo abbandono del Partito Democratico da parte dei ceti popolari, dei lavoratori, di quelle espressioni sociali che cercano rappresentanza altrove, sono stati elusi.

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Chi aspettava la direzione nazionale per capire quale futuro attende il PD, è rimasto deluso perché i nodi politici identitari e le regole per l’organizzazione interna del partito non sono stati sviscerati. Non è dato sapere con quali strumenti si pensa di combattere l’invadenza devastante delle correnti, l’autoreferenzialità del gruppo dirigente impegnato solo a garantirsi la rielezione, la mancanza di un progetto collettivo. L’assenza di qualsivoglia spiegazione sul metodo che ha consentito a capicorrente e congiunti di essere candidati alla testa dei listini proporzionali plurinominali, dirottando sui collegi uninominali, già persi, dirigenti di terza e quarta fila, magari di genere femminile.

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Anche se tutto è stato silenziato, questi rimangono i temi politici e organizzativi da approfondire. Non si risolve il problema sostituendo l’ennesimo Segretario o cambiando nome al “contenitore”. Il rinnovamento passa dal superamento dell’attuale gruppo dirigente, silente ed opportunista, responsabile di scelte e decisioni discutibili a livello centrale come in periferia; dalla modifica di alcune norme statutarie sulle modalità di elezione degli organismi dirigenti e di vertice, che consenta di eleggere un Segretario che si dedichi a tempo pieno alla guida del partito senza che l’incarico sia utilizzato per scalare Palazzo Chigi o altre cariche istituzionali in periferia.

Serve un congresso costituente per definire contorni e contenuti di un progetto politico che abbia un’identità definita. Una nuova classe dirigente con la credibilità necessaria per proporsi come referente dei bisogni sociali che si vogliono rappresentare. Questa tipologia di persone difficilmente si incrocia nei cenacoli ristretti che i vertici del partito sono abituati a frequentare, piuttosto abita i territori; è fatta da Sindaci, amministratori, associazioni che si occupano di marginalità, di diritti, dell’edificazione di comunità più inclusive e giuste. Esperienze che, molto spesso, il PD costringe alla diaspora.

Occorre garantire una fase costituente lontana dagli intrighi delle correnti e dalle oligarchie territoriali. Servono energie nuove e pulite dalle incrostazioni che i partiti hanno prodotto. Riconoscere valore alle competenze. Apprezzare la lealtà dello scontro, piuttosto che la fedeltà del silenzio.

La storia recente ci consegna un Partito contraddittorio, pronto a sostenere governi tecnici o politici, pur privo di alcun mandato elettorale. Che per semplice affezione al potere ha avallato leggi populiste che ne hanno sancito definitivamente la subalternità culturale e politica. Tanto per citarne qualcuna: Legge elettorale in vigore (Rosatellum), Legge Costituzionale per la riduzione del numero dei Parlamentari (che ha privato di rappresentanza alcuni territori), Legge per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (che ha distrutto le strutture di partito periferiche). Aver promosso e attuato il Jobs Act. E nella frenesia della “responsabilità” ha smarrito i contenuti e perso di vista i valori, le questioni sociali. L’identità.

Un partito politico non è mai “proprietà” di provvisori organismi dirigenti ma è uno strumento a disposizione della società, che opera e si arricchisce nella condivisione degli obiettivi comuni.

La politica deve saper nutrire di speranza il futuro e il Partito Democratico per continuare ad esistere dovrà rinnovare uomini, idee e regole.

Rimanendo ostaggio di un gruppo dirigente autoreferenziale proteso all’autoconservazione avrà un futuro incerto e sospeso.

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