La riflessione. Filippo Veltri: "Vaccini e regioni, il buco nero"

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Filippo Veltri
  24 marzo 2021 08:57

di FILIPPO VELTRI 

Stavolta per fortuna (anzi per sfortuna) non c’e’ solo la Calabria nella tragedia delle Regioni alle prese con il piano vaccinale. Siamo in ottima compagnia con molte e autorevoli situazioni italiane, come la Regione Lombardia o la Regione Toscana, solo per fare due esempi. Mal comune non e’ mezzo gaudio, ovviamente, ma e’ tanto per dire che il problema e’ generale e se gli obiettivi della campagna vaccinale sono chiari a livello nazionale - 500 mila somministrazioni al giorno entro la terza settimana di aprile, immunità dell’80% della popolazione entro la fine di settembre - altrettanto non può dirsi a livello regionale.  

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Quello che sta avvenendo da noi e’ sotto gli occhi di tutti e non ha bisogno di ulteriori delucidazioni. I numeri non tornano.  Ieri durante gli stati generali Spirlì e Longo hanno negato pressioni sulle terapie intensive e vaccini. Oggi però da Cosenza è arrivato l'allarme: finiti i posti letto, è stato necessario attivare in fretta e furia 14 nuovi posti letto. Mancano inoltre le dosi che servirebbero per far decollare la campagna vaccinale: così la piattaforma di prenotazione restituisce appuntamenti a diverse settimane ed a molti chilometri di distanza, cosa impossibile per i pazienti fragili. Ma il punto e’ che la decisione circa le priorità delle persone da vaccinare non solo non è stata trasparente e chiara, ma è stata affidata a mere raccomandazioni del Ministero della Salute.  L’ultimo aggiornamento, del 10 marzo, non è ancora stato pubblicato sul sito web del Ministero. Manca una chiara indicazione a ogni Regione di target di vaccinazioni da raggiungere a scadenze prefissate, tenuto conto di dosi consegnate, numero dei vaccinatori etc. Solo la previsione di obiettivi da rispettare renderebbe chiaro quando il Commissario può esercitare poteri sostitutivi.

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«Le regioni vanno in ordine sparso», ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nella sua prima conferenza stampa. «Per le vaccinazioni le regioni sono molto difformi». Qualcuno ha considerato questo passaggio come una “strigliata” alle regioni. Di fatto, se esse procedono in maniera disomogenea, alcune responsabilità vanno pero’ imputate anche al governo.

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Il 13 marzo è stato diffuso il piano del commissario straordinario - il generale Francesco Paolo Figliuolo - per l’esecuzione della campagna vaccinale nazionale.Sul sito del governo si legge che «il documento, elaborato in armonia con il piano strategico nazionale del ministero della Salute» - adottato con decreto del ministero della Salute del 2 gennaio scorso - «fissa le linee operative per completare al più presto la campagna vaccinale. La governance sarà accentrata a fronte di una esecuzione decentrata», seguendo tre direttrici: «approvvigionamento e distribuzione» di dosi; «monitoraggio costante dei fabbisogni con interventi mirati, selettivi e puntiformi sulla base degli scostamenti dalla pianificazione», con una riserva vaccinale pari a circa l’1,5 per cento delle dosi, «per poter fronteggiare con immediatezza esigenze impreviste» e rinforzi del sistema di Protezione Civile e della Difesa in caso di difficolta`; «capillarizzazione della somministrazione, incrementando la platea dei vaccinatori e il numero di punti vaccinali».

Nel piano si afferma pure che «un impulso sincrono e sinergico da parte di tutti gli attori lungo le tre linee operative consentirà di ottimizzare e velocizzare l’intero processo vaccinale». Ma come potrà il commissario verificare che gli attori regionali procedano con l’efficienza che serve? Esistono criteri e paletti vincolanti, idonei da un lato a garantire che le regioni operino in maniera efficiente e omogenea su tutto il territorio nazionale, dall’altro lato a consentire a livello centrale di verificare che le regioni stesse procedano con la speditezza che serve? Il piano del commissario prevede date precise, entro le quali raggiungere obiettivi prefissati, e cioè «il numero di 500 mila somministrazioni al giorno su base nazionale» entro la terza settimana di aprile, arrivando a ottenere l’immunità dell’80 per cento della popolazione entro la fine di settembre.

Se i traguardi della campagna vaccinale sono chiari a livello nazionale, altrettanto non può dirsi a livello regionale. Innanzitutto, la decisione circa le priorità delle persone da vaccinare non solo non è stata trasparente e chiara e la scelta circa chi ha più probabilità di non ammalarsi, perché vaccinato prima di altri, è rimessa a mere raccomandazioni del ministero della Salute (“Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione”). E se quelle adottate l’8 febbraio scorso hanno consentito alle Regioni, ad esempio, di inserire nella categoria “altre categorie essenziali” soggetti decisi discrezionalmente – dando luogo a quello che è stato definito “corporativismo vaccinale” - le raccomandazioni aggiornate al 10 marzo, che eliminano tale categoria, non sono ancora state pubblicate sul sito del ministero della Salute. Quindi, al momento non è ancora chiaro come le regioni si stiano effettivamente conformando al nuovo piano. Se, come Roberto Speranza ripete nelle interviste, la priorità è mettere in sicurezza i più fragili, sarebbe bene che il ministro imponesse tale obiettivo con uno strumento normativo adeguato e ne verificasse il rispetto. Sul sito del governo è possibile monitorare in quale percentuale le regioni utilizzano le dosi di vaccino consegnate. Ma questo elemento, da solo, non può essere reputato un parametro di efficienza adeguato.

Alcune regioni, nei propri piani vaccinali, si sono date scadenze temporali per l’inizio della somministrazione a diverse categorie, ma non è chiaro secondo quali criteri. Pertanto, la situazione resta variegata.
In conclusione, inutile stupirsi della disomogeneità regionale, se dal centro non vengono definiti paletti vincolanti. «Il controllo è accentrato e l'esecuzione decentrata, andrò a controllare di persona», ha affermato qualche giorno fa in un’intervista il commissario straordinario per l’emergenza, con riferimento alla attuazione del piano vaccinale. Ma per un effettivo controllo il generale Figliuolo, come ha fissato obiettivi a livello di Paese, così dovrebbe fare a livello regionale.

Solo in questo modo egli potrà avere immediata evidenza circa ciò che non funziona, dei «colli di bottiglia» che talora ha citato. Stabilire in maniera precisa e cogente le categorie da vaccinare, definendo indicatori di risultato cui vincolare le regioni nella somministrazione dei vaccini, sarebbe il primo passo. Anzi, avrebbe dovuto esserlo da tempo. 

 

 

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