L'economista Walter Frangipane su "Covid e debito pubblico"

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Walter Frangipane
  23 gennaio 2021 09:58

di WALTER FRANGIPANE*

A seguito della crisi pandemica, oggi più che mai si parla di debito pubblico italiano. Vediamo di fare un po’ luce, ma sopra tutto di rendere più comprensibili alcuni argomenti di Economia, che sembrano di dominio degli addetti ai lavori! 

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Il debito pubblico è il debito che lo Stato contrae per acquisire le risorse finanziarie necessarie per fornire servizi ai cittadini, creare investimenti, finanziare la propria crescita economica e altre funzioni. In sostanza lo Stato ricorre al debito quando le uscite superano le entrate: praticamente come avviene in una normale famiglia che, dovendo far fronte ad una spesa imprevista e non avendo le sufficienti risorse (reddito, stipendio etc.), ricorre al prestito, al debito.

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Quindi, allorché le uscite superano le entrate si crea il così detto “saldo primario”, ma attenzione! Nel debito pubblico si crea a sua volta la stratificazione del debito, perché al debito precedente si aggiungono gli interessi che lo Stato paga ai propri creditori e quindi il “saldo primario”, a quel punto, viene conseguentemente ridenominato “deficit” e sono due cose “ben distinte”: quest’ultimo (il deficit) pone in evidenza quanto pesi l’onerosità sul debito pubblico. E così anche se dovesse crearsi al contrario un “avanzo primario” (se cioè avviene l’opposto: ovvero se le entrate superano le uscite) il nostro Paese rimarrebbe - nonostante tutto - in “deficit”, perché dovrebbe rimborsare - o sostituire - il debito pubblico e corrispondere altresì gli interessi. 

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Il deficit in sé provoca preoccupazioni, perché crea i “montanti”, interessi che si aggiungono agli interessi precedenti e al “debito rinnovato” e di conseguenza accresciuto, in una sorta di circuito per nulla positivo!

Naturalmente i creditori dello Stato sono quei soggetti che hanno finanziato con particolari strumenti, ma andiamo per ordine.
Nel caso dell’Italia gli strumenti finanziari a medio-lungo termine sono anzitutto i BTP (Buoni Poliennali del Tesoro dai 3 ai 50 anni), i CCT (Certificati di Credito del Tesoro) o i CCTeu (Certificati di Credito del Tesoro indicizzati al tasso Euribor calcolato su base semestrale). 

Per scadenze di breve periodo, il ricorso al debito è attraverso i BOT (Buoni Ordinari del Tesoro) e i CTZ (Certificati del Tesoro Zero coupon, cioè privi di cedola), che tutti conosciamo abbastanza bene. Tuttavia negli ultimi anni sono cresciuti i BTP€i (Buoni Poliennali indicizzati all’inflazione europea). Anche altri Paesi fanno ricorso a strumenti analoghi, ognuno con il proprio nome: per esempio in Germania ci sono i BUND e negli U.S.A. ci sono i TREASURY.

Ma al di là delle varie tipologie, la cosa più importante è il loro costo. Mi spiego: maggior valore è attribuito ai titoli di Stato e minore è il loro costo; mentre minore è il valore dei titoli e maggiore sarà il costo che l’Italia dovrà sostenere: questo perché i creditori vorranno essere maggiormente remunerati, avendo investito su titoli di minor valore e quindi meno desiderati. Ora, mentre il saldo primario può essere controllato dalle azioni governative, l’onerosità degli interessi sul debito segue altro percorso, nel senso che sulla onerosità medesima influiscono molti fattori esterni, fra cui il famoso spread: ma qui occorre una “buona ed oculata oltre che attenta politica governativa” che rassicuri i mercati.

Oggi si discute molto sulla sostenibilità del nostro debito pubblico che è per un terzo “in mano a operatori esteri”, di cui il 4% Istituzioni Europee: sembra una percentuale bassa quella delle Istituzioni, ma in termini assoluti è enorme. Tuttavia quel che preoccupa sono proprio le “mani private” per il rischio ipotetico del mancato “rifinanziamento” del nostro debito da parte loro.
A fine 2020, in base a stime della Banca d’Italia, il debito pubblico italiano dovrebbe attestarsi presumibilmente intorno ai 2.571 miliardi di euro, salvo correzioni, mentre a fine 2019 era 2.410 miliardi. 

Tuttavia, il Patto di Stabilità e Crescita (Fiscal Compact), teso a salvaguardare il sistema finanziario dell’Unione Europea, ha stabilito che il debito pubblico deve essere inferiore del 60% del P.I.L. (Prodotto Interno Lordo), ma poiché l’Italia ha un debito superiore a tale percentuale, deve ridurre la differenza, che lo separa dall’obiettivo sopra indicato, di un ventesimo all’anno e deve quindi perseguire appunto l’Obiettivo di Medio Termine (O.M.T.), al fine di comprimere il deficit strutturale. Probabilmente la firma di quel trattato è stata una mossa poco opportuna da parte dell’Italia e dei Paesi più deboli, perché ha segnato in quell’occasione l’egemonia della Germania, che ha voluto dare un impulso stringente al contenimento del debito pubblico ed imprimere un indirizzo di austerità. Di questo ne parleremo molto a lungo, anzi riprenderemo a parlarne proprio dopo la crisi COVID.

Però è anche vero che l’Unione Europea (U.E.), ora, per far fronte all’emergenza causata dalla pandemia, consente al nostro Paese di fare degli scostamenti di bilancio rispetto agli obiettivi citati, per aumentare le spese “in debito”: e di questo ne abbiamo prova con l’ultimo provvedimento governativo sui “Ristori”. Bisogna nondimeno considerare che se è vero che molti operatori economici sono al collasso, è pur vero inoltre che non si può “tirare troppo la corda” con gli scostamenti, i quali devono essere ben definiti e chiari, ma perché bisogna avere una visione chiara dell’Economia, che impone di per sé una norma: bisogna far subito e non presto! La Svizzera, la Germania e la Francia insegnano! Del resto stiamo ricorrendo a risorse che già anticipano il Recovery Fund, per il quale siamo gli ultimi a presentare i progetti, che andrebbero meglio definiti! Ed ora cosa rimane? 
Ora, volendo azzardare qualche previsione, bisogna dire che l’Economia post-COVID sarà abbastanza diversa. I debiti pubblici di tanti Paesi europei, fra cui il nostro, aumenteranno. Probabilmente una certa percentuale di questi debiti sarà detenuta dalla B.C.E. (Banca Centrale Europea), ma questo non basta. Ma approfondirò più in là l’argomento. 
Certamente la ripresa sostenibile nella fase post pandemica non sarà automatica, perché diverse imprese chiuderanno i battenti e la disoccupazione, anche se attualmente tenuta sotto controllo dal sostegno fiscale, aumenterà. Ma il progetto SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) cioè il “Sostegno per mitigare i rischi di disoccupazione in caso di emergenza” darà gli esiti sperati? Non è facile ipotizzarlo! 

È comunque fuor di dubbio che le politiche macro-economiche dovranno cambiare senza soluzione di continuità, dall’attuale contenimento dell’impatto della pandemia al volgere l’Economia verso il sentiero della crescita. È probabile poi che la lotta al cambiamento climatico nel mondo con effetti di mitigazione del carbonio, sopra tutto sotto la spinta della nuova gestione di Joe Biden in U.S.A., acquisisca priorità nelle varie Economie del mondo, e quindi anche in Europa e in Italia. Insomma ci saranno tante sfide economiche e non solo, che dovranno essere affrontate anche dal nostro Paese, in primo luogo. Ma non aspettiamoci che queste sfide, in particolare quelle economiche, vengano delegate alla B.C.E.

*Economista

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