Rinascita Scott. Emanuele Mancuso in aula: "Ecco come la mia famiglia ha cercato di ostacolare la collaborazione"

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  01 aprile 2021 19:20

Non stupisce che la collaborazione di Emanuele Mancuso abbia fatto storcere il naso alla sua famiglia. Lui, 32enne figlio di Pantaleone Mancuso (L'ingegnere) e pentito dal 2018, racconta i particolari nell’aula bunker di “Rinascita Scott”. Alle domande della pm Annamaria Frustaci, Mancuso al microfono dice che “voleva che rinunciassi alla collaborazione e che raggiungessi mia madre e la mia compagna”. Mancuso parla di un detenuto che il padre conosceva e che in quel periodo, nel giugno 2018, si trovava nel carcere di Paliano. Il detenuto, da come racconta il giovane pentito, avrebbe fatto opera di persuasione nei suoi confronti, sollecitato dal padre: “Conosceva molte cose di mio padre e mia madre, sapeva del tatuaggio a forma di farfalla che si erano fatti entrambi, ed aveva grossi agganci con le cosche del Napoletano: "Mi diceva che non valeva la pena di collaborare per una “mangiata di patate”.

E c’è un altro episodio che Mancuso tira fuori per dimostrare la tesi per cui la famiglia gli mette il bastone tra le ruote. Tra marzo e aprile del 2019 la sua compagna, Nency Chimirri inviò “un messaggio al mio avvocato Antonia Nicolini con la scusa che se io fossi stato mandato ai domiciliari lei sarebbe entrata nel programma di protezione e mi avrebbe raggiunto con la bambina; messaggio che inviai a mia sorella e che lei inoltrò a mio padre, in quel momento latitante, ma senza che io sapessi nulla. Ho appreso della circostanza solo quando lui fu arrestato  ma questo lo seppi dopo quando lui fu arrestato. In sostanza la mia famiglia mi aveva nascosto anche questo”.

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Accessi i riflettori sul tentato omicidio di Romana Mancuso e del figlio Giovanni Rizzo, alias “mezzodente”, nel 2008. L’episodio ha rischiato nuovamente di far esplodere  una faida nella famiglia Mancuso. La vicenda nasce dal fatto che Luni Mancuso, padre di Emanuele, viene a sapere che “Rizzo volesse prendere a schiaffi uno della mia famiglia, ma poi noi avevamo soprasseduto a reagire”. Ma quell’invasione ci fu: “Un’invasione di terreni da parte delle pecore di Giovanni Rizzo il quale era solito fare così. E più di una volta le aveva fatte andare nel fondo dell’ex suocero di mio fratello Giuseppe che, appresa la notizia, si rivolse ai Rizzo dicendo loro più volte che un simile episodio non avrebbe dovuto più ripetersi”. Niente da fare, Rizzo litiga col suocero del fratello del pentito provocando la reazione di quest’ultimo in quanto si recò presso il capannone di Rizzo, “sparando alle pecore e picchiando il pastore che ritengo abbia riferito tutto al padrone”. Da lì, la situazione diventa irrecuperabile: il danneggiamento a colpi di pistola alla Smart di “Nino Maccarone, sposato con Cristina D’Amico, “figlia illegittima di mio padre”, dopo di che “Leo e Giovanni Rizzo e Peppe Raguseo andarono presso l’abitazione di Salvatore Comerci che fu minacciato o picchiato perché “volevano sapere in occasione dell’uccisione delle pecore fosse con mio fratello”.  



C’è anche tanta violenza nei racconti di Emanuele Mancuso. Su tutti, è l’episodio del Punta Cana”, nota discoteca di Tropea dove nell’estate del 2014 succede una maxirissa. . Quella sera, Emanuele Mancuso era entrato nel locale dirigendosi verso il privè insieme ad altre persone della Piana di Gioia: “Sono arrivati nella discoteca un nipote di Peppone Accorinti, Angelo Barbieri, e altre persone che,  avvicinandosi con fare prepotente al bancone esigevano di non pagare le bevande nonostante l’insistenza dei gestori. Ad un tratto hanno iniziato a spaccare bottiglie addosso alle numerose persone presenti”. La violenza va avanti anche fuori dal locale e per strada, dove “Giuseppe Barbieri, fratello di Angelo,  fermava e picchiava indistintamente tutte le persone che passavano da lì, indipendentemente se fossero state in quella discoteca, in quanto non gli era possibile fare una selezione. Una volta arrivati sul posto, Giuseppe Mancuso vide che stavano picchiando 4 ragazzi, tra cui un suo cugino. Si prese di paura e mi disse di mettermi alla guida, conoscendo la mia abilità al volante, tanto che riuscivo a sfuggire ai carabinieri. Quando Peppone Barbieri si accorse di noi, imboccai subito la strada per Limbadi anche se inizialmente c’era stata l’intenzione di fare irruzione presso la colonnina di benzina ma non sapevo se Barbieri fosse armato”. Nella storia entra Luigi Mancuso, il quale dà ragione al nipote e fa da mediatore per ricucire con Accortinti: Peppone non aveva fatto niente. Ma inizialmente Emanuele Mancuso si rifiuta di chiedere scusa “salva farlo successivamente”. (ed.cor).

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