Tulelli: “La violenza di genere, una ferita sociale che ci riguarda tutti”

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Rita Tulelli
  04 ottobre 2025 09:44

di RITA TULELLI

La violenza di genere non è un fatto privato, né una sequenza di episodi isolati. È un fenomeno strutturale che affonda le sue radici in secoli di disuguaglianze, di stereotipi culturali e di modelli patriarcali che ancora oggi influenzano i rapporti tra uomini e donne. Per comprenderne la gravità non basta guardare alle cronache, spesso limitate a raccontare l’ennesimo femminicidio: occorre indagare le cause, le dinamiche e, soprattutto, pensare a strategie efficaci di prevenzione. Le ragioni che alimentano questa piaga sociale sono complesse. Vi è anzitutto un contesto culturale che continua a trasmettere l’idea della donna come figura subordinata, legittimando atteggiamenti di controllo e possesso. Si intrecciano poi fragilità personali e psicologiche, incapacità di gestire le emozioni e dipendenze di varia natura, che in alcuni casi sfociano nella violenza. Non meno rilevanti sono i fattori economici: troppe donne rimangono intrappolate in rapporti abusanti perché dipendenti dal partner dal punto di vista finanziario, incapaci di immaginare una via d’uscita autonoma. In molti Paesi, compreso il nostro, anche il sistema normativo e giudiziario mostra lacune: misure di protezione tardive, burocrazia lenta, difficoltà di accesso alla giustizia. La violenza di genere assume molte forme. Può essere fisica, ma anche psicologica, sessuale, economica o digitale.

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Spesso si sviluppa secondo un ciclo che intrappola la vittima: tensione crescente, scoppio della violenza, pentimento e promesse di cambiamento. È una spirale che si ripete e che diventa sempre più difficile spezzare, soprattutto in presenza di figli o in assenza di una rete familiare e sociale di sostegno. Eppure, la prevenzione è possibile. Serve un lavoro culturale profondo, che parta dall’educazione delle nuove generazioni e che insegni il rispetto reciproco e la parità di genere come valori fondamentali. Occorre rafforzare i centri antiviolenza, potenziare le linee di ascolto, garantire alle vittime un accompagnamento reale e sicuro nel percorso di uscita dalla violenza. È indispensabile formare chi, per ruolo, è chiamato a riconoscere i segnali di rischio: forze dell’ordine, insegnanti, operatori sanitari. La politica deve fare la sua parte, con leggi chiare, efficaci e tempestive, capaci di tutelare le donne prima che sia troppo tardi. Ma non basta. La società intera deve assumersi la responsabilità di non voltarsi dall’altra parte. Le campagne mediatiche, i progetti culturali, le testimonianze pubbliche hanno un ruolo decisivo: scardinare il silenzio e l’indifferenza che troppo spesso avvolgono la violenza. La violenza di genere non è un destino ineluttabile. È un problema sociale, culturale e politico che può essere affrontato e ridotto solo attraverso un impegno collettivo. Riconoscerlo significa non accettare più che metà della popolazione viva con la paura come compagna quotidiana. Combatterla significa difendere non solo le vittime, ma l’intera idea di democrazia e di civiltà.

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