Catanzaro, Franco Cimino: "A Dio comare Vanda, bella e nobile signora Panzino"

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images Catanzaro, Franco Cimino: "A Dio comare Vanda, bella e nobile signora Panzino"


  14 novembre 2025 12:30

di FRANCO CIMINO

"Franco caro, ti è arrivato il libro?" - No, cara comare, non mi è ancora arrivato. Lei, con voce sempre più flebile, mi diceva: "Mah, questi ritardi davvero non li capisco". E senza darne colpa o addebitarne cattiveria, ne individuava qualche leggera responsabilità: le poste, la Casa Editrice... E chissà che qualche volta non abbia pensato a qualche mia piccola bugia, che una volta in verità c'è stata. Involontaria, perché mi era arrivato il leggero plico, e chi ha ricevuto la posta a casa mia l'ha messo sulla mia scrivania, che io ho coperto come sempre di altri libri, di carte, di giornali, seppellendoli. E però una volta gliel'ho confessato, chiedendole scusa. Ma anche in quell'occasione lei è stata gentile e generosa, e se pure se stanca e delusa, mi assolveva: "Non ti preoccupare, Franco caro, lo so che hai tanti pensieri e tanti impegni. Quando avrai tempo, dagli uno sguardo". Era infatti suo desiderio che finalmente uno dei suoi libri si potesse presentare. Desiderava che lo facessi io. Per tante ragioni, che andavano aldilà della stima e dell'affetto verso la mia persona, affetto e stima che ricambiavo con sentimenti ancora più grandi verso questa donna straordinaria. Che conoscevo da sempre, e vedevo sin da bambino, anche per quei legami familiari che un tempo si saldavano in quei legami di amicizia vera. Amicizia che quando era più forte, veniva sacralizzata con quell'antico “padrinaggio”, da cui ci si chiamava compari, per l'affidamento di un proprio figlio al padrino o alla madrina di un battesimo o di una cresima o di un matrimonio. Legami inscindibili, fortemente ancorati a regole antiche che valevano più di una legge, per il rispetto, innanzitutto, doveroso che ti obbligava nei confronti di parentele anche più larghe della persona che si chiamava quella sacra responsabilità. Infatti lei era la comare per riflesso, perché sua madre aveva battezzato, io credo, sempre che non ricordi male, mia sorella. E i compare e comare Panzino, da cui tutti Panzino, fino a quelli della mia generazione o poco dopo, nella mia educazione ricevuta, sono compari per sempre.

 

Ma la comare Vanda era ancora più di tutto questo. Era una Donna con la maiuscola. Straordinaria in tutto. Aveva la tristezza negli occhi e la bellezza nel corpo statuario. E nei colori particolari, biondo dei capelli, chiaro sulla pelle, celeste sugli occhi. Colore di una particolarità che non sapevi se fossero davvero biondi, celesti, chiari. Lei era particolare. E lo era tanto che quei colori in quella bellezza si sono fermati nei diversi passaggi del tempo. La comare Panzino è rimasta sempre uguale a quella donna disciplinata, quasi austera, sempre gentile e rispettosa, estremamente educata, buona e generosa. Con tutti, donna davvero d'altri tempi, innamorata del suo uomo, il compare Italo, Italo Serramazza. Anche lui, ancor più lui, uomo bellissimo, lavoratore instancabile, educato, rispettoso, serio. Era bello il compare. E di una bellezza completamente diversa da quella della moglie. Anche lui alto e snello, ma con i colori scuri, neri i capelli, neri i baffi, scura la pelle. Facevano davvero una bella coppia. In qualche modo anche invidiata, come particolarmente usava a quei tempi, nei quali l'invidia, per la brevità degli spazi in cui si viveva, in una comunità assai piccola, si sentiva parecchio. Una coppia bella, rotta però molto presto per la prematura scomparsa di quel bel marito, ottimo padre. Loto due erano una coppia esemplare anche per questo. Il legame fortissimo che avevano con i figli, in particolare i primi due, che richiamo non per stigmatizzare differenze affettive che non vi erano, ma solo per ricordare la mia vicinanza anche d’età con Roberto e Rita. Con i quali si giocava quando le nostre famiglie si incontravano in quelle ricorrenze che diventavano feste interminabili e noi ci seccavamo parecchio.

 

La conoscevo bene la grande e nobile signora Vanda, con una sola V, che a quei tempi si usava così. E poi per lei già grande e abbondante in tutto, la doppia davvero non le serviva. La sua sensibilità e la delicatezza dei suoi sguardi sulla realtà e sul mondo erano già avanti a tutti, quasi ad illuminar il percorso di ciascuno di noi. E di quella Marina straordinaria, che sarebbe stata più bella e serena se questo noi avessimo capito e seguito. Ma Vanda e basta. Ecco sì, questa cosa la voglio dire: la mia comare, questa grande donna, per quanto stimata e rispettata, non è stata mai compresa appieno, soprattutto nei suoi grandi talenti, quasi artistici, e nella sua straordinaria sensibilità culturale.

 

Aveva studiato poco, la comare. Non so quante scuole abbia fatto, ma non certo quelle che sono state riservate alle generazioni successive. Marina era povera, per quanto bella, le scuole non erano tante. Nel quartiere non si andava oltre quelle elementari e medie. Le famiglie erano numerose, le bocche da sfamare erano tante, le figlie femmine erano sempre pronte ad essere da marito prima che fosse possibile. Non credo pertanto che anche lei abbia potuto fare molte scuole. Se avesse potuto completare gli studi, chissà cosa avrebbe ancora di più fatto nella vita! E, tuttavia, aveva egualmente una cultura profonda, tutta sua, fatta di letture consistenti. Di certo non erano scarse in qualità e in quantità. Cultura vera era la sua, quella per la quale non serve la forzata e fanatica erudizione. Era degli occhi belli con cui guardava la realtà e il mondo. E le persone, che carezzava specialmente quando in esse incontrava tristezza e senso di abbandono, affanni insistenti su forze semplici e cedevoli.

 

Cultura autentica la sua, per quel suo sentire e addirittura presentire la vita. Degli altri, del mondo, della natura. E pet il suo inoltrarsi nella sofferenza personale, familiare, comunitaria e amicale, la sofferenza universale. Cultura profonda la sua, strumento anche per cercare la Bellezza, ovunque essa si trovasse, dal cuore degli uomini alla natura tutta, fino agli occhi invisibili delle formiche, mi permetto di dire tanto insistente era la sua ricerca.

 

Vanda Panzino, la nobile signora Vanda Panzino Serramazza, era anche Poeta, Vera. Lo è sempre stata. Io credo che lei abbia sempre scritto poesie, anche se quelle giovanili le teneva nascoste da qualche parte, per pudore, per modestia, per chissà cosa. Da qualche anno, in particolare da quando si è portata in quella periferia di Bergamo per stare accanto al suo amato Roberto, ragazzo pieno di qualità intellettive ed umane, non tutte potute, per le strane vie che prende la vita delle persone, manifestare appieno. Ha scritto poesie, la comare Vanda, e racconti diversi. Ha scritto anche di fenomeni sociali importanti, analizzandoli con particolare attenzione. In particolare, alcune problematiche legate al mondo giovanile. Con sacrifici economici personali, ha pubblicato molti libri. Scrivere per lei era anche un modo per fare compagnia a chi, leggendo lei, ne aveva bisogno. E per farsi compagnia, in quella solitudine che tutte le persone grandi, specialmente se poeti, sentono. Scrivere, per lei, era anche un modo per carezzare la nostalgia. Quella che forse conserva qualche rimpianto, ma che non si strugge del passato, al contrario lo rivive con tenerezza. In questa tenerezza, c’era era la nostalgia per Marina, il suo quartiere-paese, che ha tanto amato e nel quale è stata pure felice, per la bellezza del suo mare, e quella dell'amore che gli ha riempito la vita. E gli occhi, che, per questo, l'altro giorno si sono chiusi di certo sereni, chissà se all’ora che dal tramonto si adagia sulla sera. Sereni anche se con il dolore di lasciare gli affetti più profondi e di non poter fare per loro e per il mondo intero quanto il suo amore avrebbe dettato ancora, sarà stato duro. Ma per poco. Il tempo, solo il tempo, di arrivare nel posto felice in cui già adesso si trova.


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