Dal codice Rocco al referendum: viaggio nella riforma della giustizia con l'avvocato Fonte

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  01 novembre 2025 14:23

di PEPPE FONTE

Premessa: la riforma giunge al passaggio a livello del referendum propositivo. Dunque, giunge innanzi al giudizio del popolo. Secondo un principio inviolabile secondo cui la giustizia è amministrata in nome del popolo italiano. Del resto, come la sentenza, quella cara e misteriosa sentenza che ognuno – attesa la distorsione dei tempi attuali -  ormai pensa di poter decidere finanche in un programma della televisione. Se così è, trattandosi di un tema fondamentale per il destino di un paese,  bisogna che tutti capiscano di cosa stiamo parlando e tutti comprendano che cosa stiamo riformando. Con tutto il rispetto, ma devono poter capire e decidere, anche la casalinga ed il muratore. 

Ma non è facile. Affinchè il popolo abbia la cognizione e gli strumenti sufficienti per recarsi consapevolmente al voto referendario dobbiamo essere più facili nell’esposizione e più leali nella spiegazione. Che deve prescindere dalla politica e dal  corporativismo.  Perché adesso la parola fine spetta al popolo. Ed allora tutti devono capire. Non solo i giuristi, gli avvocati, i magistrati, i ministri (ammesso che abbiano capito..). Ho letto e continuo a leggere interventi (pregevolissimi intendiamoci) di rappresentanti delle  varie categorie ispirati alla sapienza, alla dottrina ed alla storia del pensiero giuridico. Credo che, in questo preciso momento storico, siano, tutti, nessuno escluso, del tutto fuori luogo. Napoleone, il codice Rocco e Calamandrei adesso non servono. Coloro che dispongono di strumenti tecnici tali da pensare di sapere parlare al punto da poter contribuire alla discussione sulla riforma dovrebbero avere, da questo momento in poi, il buon gusto e la capacità di rivolgersi con onestà intellettuale a tutti gli italiani. I veri giudici, ormai, della fondatezza o meno della riforma.  Quel popolo che deciderà il referendum. Propositivo in quanto non vittima di un quorum e, dunque, figlio di chi prende più voti vince. Scusatemi, ma questo lo dovevo proprio dire. Adesso proviamo a dire della riforma. Io sono perfettamente convinto che si tratti una riforma vera e giusta. Il principio di parità tra le parti del processo penale, intese quali difesa ed accusa (previsto dall’art. 111 della Costituzione), attende di essere eseguito, quale attuazione di un principio sostanziale e non soltanto formale,  dal tempo della sua entrata in vigore. La sproporzione tra il potere esercitato dai pubblici ministeri e quello della difesa è, quotidianamente ,sotto gli occhi di tutti noi addetti ai lavori. Chi nega questa presa d’atto è in mala fede. Tale sproporzione è stata, da sempre, il risultato di un ibrido equivoco consistito  nell’essere  stato confuso il pubblico ministero con il giudice.

L’italiano medio ritiene che il pubblico ministero sia un giudice. E non è così. Il pubblico ministero svolge un compito all’interno del processo che non ha nulla a che vedere con il giudice. Il Giudice valuta la prova. Il pubblico ministero cerca disperatamente quella prova che dovrà essere sottoposta al giudice. Due cose completamente diverse. Dunque, non vedo la ragione per cui l’uno (il pubblico ministero) debba avere la facoltà  – anche per una sola volta – di scegliere di cambiare mestiere, di cambiare lavoro.  Vincere il concorso in magistratura deve attribuire al vincitore il diritto di scegliere se fare il giudice ovvero il pubblico ministero. Se essere collega di un pubblico ministero ovvero di un giudice. Perché il giudice ed il pubblico ministero non sono colleghi. Oggi lo sono. Se si vuole attuare il principio di parità di cui all’art. 111 della Costituzione il giudice deve essere un soggetto terzo che nulla ha a che fare con il pubblico ministero. Se è opportuno che un avvocato non vada a cena con un giudice è altrettanto opportuno che si astenga dal farlo anche il pubblico ministero. La riforma è ispirata a questo auspicio. Dunque,  parlo sempre alla gente comune, non lasciatevi fuorviare da interventi strumentali e politicanti, andate al sodo della questione. Coloro che scrivono e sostengono che la riforma mina il principio di autonomia ed indipendenza della magistratura dicono il falso. La riforma non è gradita ad una larga parte della magistratura, in primis, per una ragione: la previsione di un’Alta Corte Disciplinare deputata alla valutazione di eventuali condotte irregolari e, dunque, deputata a valutare  eventuali illeciti professionali dei magistrati. 

La Corte sarà composta da 15  soggetti, di cui nove magistrati e sei laici. Tutti di ventennale esperienza e capacità. Non vedo quale sia il problema. Oppure lo vedo: il procedimento disciplinare dei magistrati, nella riforma, è stato assegnato non più al CSM ma ad altro organo da esso indipendente. Ritengo che si tratti di una previsione più che mai giusta. I magistrati più di ogni altro soggetto, qualora incorrano in un illecito professionale, devono essere sottoposti ad un più che rigoroso  vaglio disciplinare esercitato da un organo terzo e, dunque, estraneo al CSM. Questa, in sintesi, l’unica vera rivoluzione della riforma. Questa l’unica vera paura della magistratura. Ed allora, cerchiamo, tutti, nessuno escluso, di dare alla gente le giuste informazioni affinchè si rechino al voto con la libertà di esprimere la loro idea senza condizionamenti politici né corporativi. Così è se vi pare, direbbe qualcuno, perché quando in un paese, come l’Italia di oggi, in parlamento si va per bere,  fumare e vivere, le riforme di una costituzione illustre, nata quale roba da esperti, finiscono, tragicamente, col divenire imprevedibile roba del popolo.

*avvocato


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