Il moderatismo al tempo del populismo

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L'avvocato Francesco Bianco
  08 luglio 2019 12:06

Da qualche tempo, nel nostro Paese e non solo, si registra una dimensione di rischioso inasprimento. Pongo l’accento sull’animo intimo della società italiana.

Certamente, l’ultimo responso delle urne si è manifestato con tale chiarezza, da non lasciare spazio a dubbi, né interpretativi, né aritmetici. Ci dovremmo, semmai, interrogare sul perché, in larga maggioranza dei votanti, il popolo italiano ha tributato una considerevole fiducia a forze politiche dal “colore” intenso e radicale, al di là di facili considerazioni. Non è, fuor di dubbio, stata di ausilio una classe dirigente che non ha saputo palesare una rotta seppur malamente tracciata, sotto l’egida di un rigore economico e finanziario imposto da condizioni oggettive e direi storiche. Procedendo per questa via ed allargando per qualche istante l’orizzonte, ritengo che oggi più che mai sia divenuta desueta una triade che considero imprescindibile: competenza, valori, responsabilità. Di fronte all’incedere delle nuove sfide, quali la crisi economica, il tema ambientale, le nuove tecnologie e il fenomeno migratorio, la suddetta triade si impone con forza massima, pena il soccombere di intere strutture sociali. Concentrando l’analisi ad una visione domestica, è tempo, credo, di recuperare nuova linfa attraverso una visione della società che ponga seriamente al centro il tanto acclamato fattore umano, questa volta al netto di ipocrisie ed infingimenti. Competenza, valori e responsabilità dicevo, elementi fondamentali per contrastare un “analfabetismo” dilagante, corroborato dal ricorso sempre più indiscriminato al web, nonche da una sottocultura alimentata da una pericolosa visione “spettacolare” della società. A tanto, si aggiunga una generalizzata e mortificante irriverenza per “l’Autorità”, in qualunque modo essa venga esplicata, accanto ad un oltraggio verso ogni regola ormai intollerabile. Tutti sintomi di una morale collettiva a dir poco evanescente. Ora, il governo dei processi di trasformazione di una società richiede uno sforzo intellettuale, unitamente ai tre elementi sopra considerati, scevro da visioni estreme e coercitive. Una “predisposizione culturale”, come intendo definirla, per affrontare i problemi del terzo millennio, la quale ritengo non possa prescindere da una visione moderata della società. Tale ultimo aggettivo è stato spesso invocato in modo inflattivo, forse a causa di una scarsa conoscenza del medesimo. Ora, se facessimo riferimento ad alcune analisi sociologiche, dovremmo concludere che la categoria dei moderati sia scomparsa. In realtà, rifuggo e, al tempo stesso, non accetto l’idea che l’anima della società italiana possa avere una connotazione tracotante ed intemperante. La moderazione esprime un metodo, innanzitutto, per cui considero inaccettabile, da una parte, il rifiuto generalizzato di una prassi di indulgenza e della capacità di controllare razionalmente le conflittualità, dall’altra, l’accoglimento bieco di una concezione dogmatica ed assoluta del vivere civile. Andando al nodo, la moderazione è, inoltre, una collocazione politica che rifiuta posizioni massimaliste. Collocazione politica che, tranne qualche eccezione, è stata occupata in Italia negli ultimi decenni da partiti governati da una ceto autoreferenziale e miope, assolutamente incapace nel dare risposte ai problemi del tempo moderno. E qui, ripongo l’accento sulla triade sopre enunciata, per l’appunto la competenza, i valori, la responsabilità. Una classe dirigente che ha da tempo smarrito queste caratteristiche non ha minimamente potuto tentare di dare definizione alle questioni centrali dell’essere umano. Si è registrata unicamente la incapacità di sovraintendere ai processi decisionali, lasciando spazio ad una cultura clientelare ed individualista, certamente inadeguata nel dare risposte a problemi che involgono sempre più un’ottica globale. Primo tra tutti l’aspetto (rectius: la crisi) dell’economia. Oggi, in modo tanto riduttivo quanto icastico, la domanda ricorrente è se ha ragione o meno l’Europa dei burocrati. Spesso, da parte delle competenti autorità europee si è data risposta a questa domanda con eccesso di zelo. Certamente una visione moderata, a cui personalmente mi ispiro, pretenderebbe un approccio razionale e contemperante, non divisivo e frazionante delle dinamiche sociali e degli interessi contemporanei. Ciò non vuole significare una visione del tutto lato sensu aperturista nella definizione di alcuni fenomeni, quali per l’appunto quello economico, o quello migratorio, ma una cooperazione comunitaria, allacciata maggiormente con gli Stati fondati sui nostri stessi ideali e lontana da una logica nazionazionalista, faciliterebbe un percorso virtuale di reciproca responsabilità. Da ultimo in ordine di tempo ed entrando nel particulare, la vicenda relativa alla nave Sea Watch, ha disvelato un ulteriore caso di mancanza di concertazione. Premesso che questo episodio è stato mal gestito da entrambe le parti, una forza politica di governo non può mettere in ombra le norme dei trattati internazionali (vincolanti per lo Stato italiano ex art. 117 Cost.) e, al contempo, reclamare il rispetto delle norme interne di uno Stato. Posta l’esistenza di una gerarchia delle fonti, pacta sunt servanda, sempre e comunque. Semmai, occorrerebbe un impegno tendente a modificare le norme ingiuste – sempre nel concreto, si veda il trattato di Dublino -, che pure sono state varate con il nostro apporto. Senza tacere del fatto che, ad onor del vero, nel caso di specie appena citato, alcuni membri del governo italiano hanno utilizzato lo strumento della mediazione al fine dei ricollocamenti. Dunque, una correlazione logica postulerebbe il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, necessaria per una gestione corale dei processi collettivi, la quale è raggiungibile con il criterio del dialogo e della misura, in una parola della moderazione. Alla base occorre però una rigenerazione del pensiero, alimentata da una cultura degli ideali e da una credibilità dimostrata unicamente su base comportamentale. E’ necessario porre evidenza agli errori che una cultura isolazionista può comportare, mediante un atto di impegno, a qualunque livello, da parte del ceto dirigente. Negli ultimi anni, nel nostro Paese, una presenza di rappresentanti moderati si è registrata nei due schieramenti principali. Tuttavia il problema di fondo risiede nella costante presenza, in tali schieramenti, di soggetti che hanno determinato letteralmente la fuga dell’elettore moderato, ingrossando sempre di più il partito del non voto. Da qui, si pone l’esigenza di un rinnovamento sulla base di rigorose categorie assiologiche, necessario per una rigenerazione del sentimento sociale. Soltanto con la competenza, con il rispetto di determinati valori e con un profilo altamente responsabile, una classe dirigente guadagna la credibilità dei propri consociati. Vi è di più. Ad onta di quanto appena sostenuto, nel nostro Paese, i due schieramenti tradizionali sono stati connotati, da una parte, da logiche padronali e proprietarie, lontane da un autentico intento liberale, dall’altra, da logiche correntizie e non riformatrici, distanti anni luce dalle istanze collettive di protezione. Altro che epoca di “convergenze parallele”! Oggi, la polarizzazione dello scenario politico nazionale, accanto ad un astensionismo sempre maggiore, dovrebbe indurre alla formazione di un soggetto capace di rappresentare gli interessi della parte cospicua della società. Ma ciò può avvenire unicamente prendendo le mosse da un rigore etico-comportamentale, avendo ben nitida una visione futura e prospettica della società italiana ed europea. Diversamente, i guasti del sovranismo imperante, potranno sì determinare nel tempo una presa di coscienza, ma dopo avere commesso errori che potrebbero essere cruciali per il futuro del nostro Paese.

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Posto che la Storia testimonia le capacità degli uomini, e’ necessario ritrovare un sussulto di dignità per recuperare il tempo perduto.

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