di RITA TULELLI
Non sono solo pantaloni a vita bassa, parole incomprensibili e video da 15 secondi. Dietro le tendenze che caratterizzano la GenZ si nasconde un cambiamento culturale profondo che sta trasformando non solo il modo in cui i giovani si esprimono, ma anche il tessuto stesso della società. E il fenomeno merita uno sguardo attento, perché ciò che oggi sembra una moda passeggera potrebbe domani diventare la nuova normalità.
Partiamo dall’abbigliamento. Il ritorno dello stile Y2K, con i suoi crop top, le borse a spalla e i colori fluo, è stato accolto con un misto di entusiasmo e scetticismo. Per molti ragazzi è un gioco estetico, un modo per distinguersi e provocare. Ma per alcuni sociologi questo revival non è solo nostalgia: è la risposta a un mondo che ha perso certezze. La fluidità di genere, l’abbattimento delle regole classiche di maschile e femminile e l’uso della moda come linguaggio politico raccontano una generazione che rifiuta le etichette e chiede libertà di espressione. Se da un lato è un segnale di apertura, dall’altro c’è chi denuncia il rischio di una standardizzazione “al contrario”, dove la ricerca ossessiva dell’originalità diventa essa stessa una nuova forma di conformismo.
Anche il linguaggio è cambiato. Lo slang della GenZ un mix di abbreviazioni, anglicismi e termini nati sui social ha creato un codice quasi impenetrabile per gli adulti. Termini come “cringe”, “gasare” o “vibing” sono più che parole: sono simboli di appartenenza a una tribù digitale globale. Ma questa evoluzione linguistica, dicono alcuni linguisti, ha un lato oscuro. La comunicazione tende a diventare più rapida ma anche più superficiale, con il rischio di impoverire la capacità di esprimere pensieri complessi.
La creatività linguistica della Gen Z è innegabile, ma resta la domanda: stiamo creando un nuovo idioma o stiamo perdendo sfumature preziose della lingua? E poi ci sono i social network. Se Facebook è ormai terra di “boomer”, TikTok è il regno incontrastato della Gen Z. Lì, in pochi secondi, nascono trend planetari, si costruiscono carriere e si distruggono reputazioni. L’immediatezza di questi strumenti offre opportunità incredibili, ma porta con sé anche ansie e fragilità. L’algoritmo decide chi viene visto e chi no, chi è “virale” e chi resta invisibile. Questo meccanismo, dicono gli esperti, può influenzare l’autostima dei più giovani e creare una dipendenza dal giudizio altrui.
Le piattaforme alternative come BeReal, che promettono autenticità, sembrano un antidoto, ma sono davvero immuni dalle logiche del like e della visibilità? La Gen Z è una generazione complessa, fatta di contraddizioni. Da un lato rivendica autenticità, dall’altro vive in un universo filtrato da algoritmi e trend globali. Rifiuta le vecchie categorie ma rischia di cadere in nuove forme di omologazione.
Forse è qui la sfida più grande: riuscire a mantenere viva quella spinta creativa e rivoluzionaria senza diventare prigionieri di un sistema che trasforma tutto – anche la ribellione – in merce. La domanda resta aperta: queste tendenze sono la porta verso una società più libera e fluida o l’ennesima illusione prodotta dalla cultura del consumo? Capirlo oggi non è solo interessante: è necessario per capire che direzione prenderà il mondo di domani.
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