di STEFANIA PAPALEO
Ha lasciato il suo paese nel Catanzarese, la sua casa e tutto quello che era stato il suo mondo fino a due mesi fa. Insieme alla figlia, ha fatto le valigie ed è partite alla volta dell’oscuro mondo che avvolge i collaboratori di giustizia e chi decide di seguirli nel loro destino. Proprio come ha fatto lei nel momento di assumere la decisione più difficile della sua vita. E lo Stato come l’ha ripagata? “Lo Stato mi ha ripagato abbandonando me e mia figlia in una vecchia e sporca stanza di un improbabile hotel nel quale mi vengono negati i diritti più elementari e senza neanche aver ricevuto ancora il sussidio previsto”, esordisce la donna in un audio in cui denuncia la pessima gestione del pentimento del marito da parte di chi dovrebbe farli sentire al riparo da qualsiasi minaccia, garantendogli una vita nuova e felice.
È uno sfogo intriso di rabbia e amarezza, quello che la donna ci affida attraverso il difensore di fiducia del marito, l’avvocato Claudia Conidi, che da tantissimi anni gestisce legalmente le vicende dei pentiti di ‘Ndrangheta. E tanti ne sono passati dalla sua scrivania casi analoghi. Ma ancora non si è abituata neanche lei alle distorture di un sistema che, in più di un’occasione, ha rischiato di saltare in aria e vanificare dirompenti inchieste che, proprio grazie a tali collaborazioni, hanno permesso alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro di sgominare temibili cosche di ‘Ndrangheta operanti dentro e fuori i confini della Calabria.
”Sono stata portata in un hotel sporchissimo, utilizzato addirittura per incontri clandestini, privata della mia libertà nonostante non sia agli arresti domiciliari. Mi è stato anche negato di andare a visita dal mio oncologo senza, tuttavia, la possibilità di averne un altro da loro Indicato. Mi sento in trappola!”, si sfoga la donna nel suo grido d’allarme,
“Basta! Chi decide di intraprendere questo percorso viene completamente abbandonato, hai a che fare con persone insensibili. Sono venuti a farmi una puntura, ma quando mi hanno vista in lacrime perché esasperata dalla situazione mi hanno votato le spalle e sono andati via. Mi sono stancata di essere trattata come un animale”, incalza la donna, che chiede solo di ”essere messa in grado di vivere dignitosamente”.
E invece, dopo due mesi, di dignitoso non sembra esserci nulla in questa vicenda destinata a scrivere una ennesima pagina nera della storia giudiziaria italiana. E se la moglie decide di dire basta e riappropriarsi, insieme alla figlia della vita di prima, non si può non pensare che anche il marito possa decidere di tornare sui propri passi e ritrattare le dichiarazioni rilasciate recentemente dopo un blitz che lo ha fatto finire nella rete della Dda e già ritenute dagli inquirenti particolarmente utili a squarciare il velo che copre da tempo reati gravissimi e fatti di sangue ancora da decifrare. “Un fallimento per lo Stato, se così fosse”, osserva l’avvocato Conidi, determinata anche questa volta ad andare fino in fondo alla vicenda in tutte le sedi competenti.
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