
di STEFANIA PAPALEO
Ergastolo confernato per Pasquale Buonvicino (55 anni) e condanne lievemente ridotte per Salvatore Emanuel Buonvicino e Pietro Lavigna, rispettivamente a 29 anni e 6 mesi direclusione e 26 anni e 9 mesi di reclusione rispetto ai 30 anni e 27 anni riportati in primo grado.
Taglia così il traguardo, in Corte d'Assise d'Appello (presidente: Caterina Capitò; a latere: Rinaldo Commodaro), il processo che ruotava intorno al duplice omicidio di Rosario e Salvatore Manfreda, padre e figlio di 69 e 35 anni, avvenuto a Mesoraca (Crotone) il 21 aprile del 2019. Accolta pratiamente in toto la requisitoria del sostituto procuratore generale Alba Sammartino, che aveva chiesto la conferma delle condanne di tutti e tre gli imputati, supportato nel suo atto d'accusa dagli avvocati di parte civile Pietro Pitari, Giovanbattista Scordamaglia e Walter Parise, la cui tesi ha avito la meglio sulle arringhe difensive portate avanti dagli avvocati Gregorio Viscomi e Salvatore Staiano, Alessandro Diddi e Sergio Rotundo, che avevano sostenuto a gran voce l'innocenza di Lavigna rispetto al gravissimo fatto di sangue avvenuto sei anni fa, chiedendo ai giudici di ribaltare la sentenza che in primo grado ha riconosciuto il proprio assistito colpevole dei reati di duplice omicidio e occultamento di cadavere, disponendone anche l’arresto.
L’omicidio, secondo la pubblica accusa, fu commesso “in stile mafioso per motivi banali” il giorno di Pasqua del 2019, quando padre e figlio, dopo essere andati a dare da mangiare agli animali nell’azienda di famiglia ubicata nel comune di Mesoraca, non fecero più ritorno a casa. Dopo due mesi di indagini ci fu la svolta, con i fermi dei tre imputati la cui rabbia mortale sarebbe scaturita da un litigio per lo sconfinamento di capi di bestiame nei terreni dei vicini e la contesa su un’eredità, essendo vittime e presunti carnefici legati tra di loro da vincoli di parentela. Ai cadaveri delle due vittime, ritrovati solo il 4 settembre 2019 in un profondo burrone nelle campagne di Mesoraca, fu dato un nome dopo l’esame del Dna.
Il 7 giugno del 2023 ci fu la prima sentenza di condanna, impugnata dalla difesa in Corte d'Assise d'Appello,la cui snetenza emessa oggi sarà motivata entro 90 giorni. E solo in quella data la difesapotrà valutare l'opportunità di ricorrere in Corte di Cassazione per un ulteriore estremo tentativo di ribaltare la verità giudiziaria ribadita oggi in secondo grado.
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