
di RITA TULELLI
Negli ultimi anni, la cultura pop ci ha abituati a eroi sempre più ambigui. Serial killer affascinanti, truffatori eleganti, boss dal cuore tenero. Dalla freddezza magnetica di Hannibal Lecter al carisma inquietante di Joe Goldberg in You, fino al sorriso enigmatico del Joker, il confine tra il bene e il male sembra sempre più sfocato.
Ma cosa succede quando iniziamo non solo a comprendere, ma a romanticizzare queste figure? C’è qualcosa di irresistibile nel male raccontato bene. La mente umana è attratta dal mistero, dalla trasgressione, da chi infrange le regole che noi rispettiamo ogni giorno. Un criminale ben scritto o ben interpretato diventa il simbolo di una libertà assoluta, di un potere che non abbiamo.
Ecco perché molti spettatori finiscono per giustificare o addirittura idolatrare figure come Pablo Escobar in Narcos o Tommy Shelby in Peaky Blinders. Ci identifichiamo con il loro dolore, le loro ferite, la loro sete di riscatto. Ma dimentichiamo che dietro le luci della narrazione c’è la realtà cruda: violenza, vittime, sofferenza vera. La fiction, per sua natura, semplifica. Prende la complessità della realtà e la trasforma in racconto, in estetica, in intrattenimento.
Il problema nasce quando smettiamo di distinguere tra comprendere un criminale e giustificarlo.
Un personaggio come Walter White di Breaking Bad è interessante proprio perché ci costringe a fare i conti con la nostra morale. Ma se finiamo per tifare per lui, dimenticando i danni che causa, allora la linea sottile tra empatia e apologia si spezza. Oggi i social amplificano tutto. Meme, fanpage e video su TikTok trasformano criminali reali o immaginari in icone glamour.
Basti pensare al caso di Ted Bundy, serial killer realmente esistito, reinterpretato da Zac Efron in Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile. Molti spettatori hanno finito per commentare “quanto fosse attraente” il protagonista, dimenticando che si parlava di un assassino.
Quando la realtà diventa intrattenimento, la compassione rischia di spostarsi dal lato sbagliato. Capire le motivazioni di chi commette il male è importante: serve alla psicologia, alla giustizia, alla società. Ma capire non è romanticizzare.
Un criminale non è un eroe tragico. È una persona che ha scelto è stata spinta verso la distruzione. La narrativa può aiutarci a riflettere, ma non deve farci dimenticare le conseguenze. La prossima volta che ci ritroviamo a tifare per il “cattivo”, chiediamoci perché. Forse stiamo vedendo in lui una parte di noi: la rabbia, il desiderio di ribellione, la voglia di potere. E va bene così. Ma ricordiamoci sempre che la finzione è un riflesso, non un modello.
Il fascino del male è potente, ma la vera forza sta nel saperlo guardare negli occhi senza lasciarsene sedurre.
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