di FILIPPO COPPOLETTA
Con una decisione netta, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Vibo Valentia, Roberta Ricotta, ha messo la parola fine, almeno sul piano penale, a una vicenda giudiziaria che per mesi ha sollevato interrogativi sulla gestione del Sistema Bibliotecario Vibonese. Al termine della discussione, sono stati tutti prosciolti "perché il fatto non sussiste" gli imputati: Gilberto Floriani, figura centrale della struttura culturale vibonese, i suoi tre figli Emilio, Giuseppe e Gabriele, e Valentina Amaddeo, ex direttrice amministrativa.
Le accuse erano gravi: indebita destinazione di denaro pubblico e, per Gilberto Floriani, anche peculato. Inizialmente, la Procura aveva ipotizzato due casi distinti di peculato. Il primo riguardava l’assunzione e la remunerazione dei figli di Floriani e coinvolgeva anche Amaddeo. Il secondo si riferiva esclusivamente a somme che Floriani avrebbe percepito personalmente a titolo di rimborsi o incarichi. Tuttavia, la prima accusa, dopo un riesame, è stata riqualificata in abuso d’ufficio. Ma, nel frattempo, il legislatore ha abrogato il reato stesso, costringendo la Procura a un nuovo cambio di rotta, sostituendo la contestazione con quella di indebita destinazione di denaro, secondo l’articolo 314-bis del codice penale.
Nonostante il tentativo di rimodulare l’impianto accusatorio, il GUP ha ritenuto che non ci fossero elementi sufficienti per sostenere un processo. Il quadro probatorio si è rivelato, agli occhi del giudice, insufficiente a dimostrare non solo l’intenzionalità dell’illecito, ma persino la sussistenza materiale dei fatti contestati. Nessuna prova solida, dunque, che i fondi pubblici fossero stati sottratti o usati in maniera impropria con consapevolezza e dolo.
La decisione assolve in toto gli imputati, difesi dagli avvocati Danilo Iannello, Giacinto Inzillo, Giovanni Vecchio e Giosuè Francesco Monardo, e chiude – almeno per ora – un capitolo che aveva attirato l’attenzione non solo per i profili penali, ma anche per le implicazioni etiche e gestionali che riguardano la vita di una delle principali istituzioni culturali calabresi.
Resta da capire se vi saranno ulteriori conseguenze sul piano amministrativo o contabile. Ma dal punto di vista giudiziario, la sentenza è chiara: il fatto non sussiste. E per la giustizia, la vicenda è chiusa.
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