Rinascita Scott. La giudice Romano (ri)chiede l’astensione dopo la sentenza “Nemea”: deciderà il Tribunale di Vibo Valentia

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images Rinascita Scott. La giudice Romano (ri)chiede l’astensione dopo la sentenza “Nemea”: deciderà il Tribunale di Vibo Valentia

  16 marzo 2021 18:16

La giudice Gilda Romano ha presenta domanda di astensione per il processo Rinascita Scott. È la seconda volta che il magistrato del collegio inoltra la richiesta al Tribunale di Vibo Valentia: la prima volta, il presidente di Palazzo di giustizia di Catanzaro ha rigettato la richiesta.

Ora sul tavolo ci sono argomentazioni nuove, come fatto notare dalle difese nei giorni scorsi: lei e Brigida Cavasino hanno composto il collegio dei giudici che hanno emesso la sentenza “Nemea” che ha portato a 7 condanne e 8 assoluzioni. Pochi giorni fa le motivazioni della sentenza in cui si scrive che “Luigi Mancuso come figura principale e di spicco della ‘ndrangheta calabrese, cui fanno capo, quantomeno in senso di sottomissione e di riconoscimento della sua maggiore caratura, tutte le realtà criminali calabresi, riconoscendo la sua maggiore importanza”.

Per le difese, il giudizio della sentenza “Nemea” va a segnare “un’anticipazione del convincimento su Rinascita Scott”. La giudice Romano, che della sentenza è estensore, ora ha chiesto di nuovo di astenersi. A comunicarlo oggi la presidente del collegio di Rinascita Scott, in corso di svolgimento nell’aula bunker di Lamezia Terme.

All’udienza di oggi il collegamento audio si è acceso per il quarto terzo giorno di esame di Raffaele Moscato, collaboratore di giustizia. La pm Annamaria Frustaci sonda il terreno su altri aspetti rispetto a quelli dei giorni precedenti (LEGGI QUI). L’attenzione è su Bruno Emanuele, “uno che non dava tanta confidenza”.  Il pentito mette in luce il momento in cui Gaetano Emanuele pensa a far evadere il fratello Bruno, architettando di andare a prenderlo a Cassano Ionio: il blitz avrebbe dovuto materializzarsi in una colonnina di benzina, con tanto di kalashnikov e altre armi. Poi il secondo step: Bruno Emanuele sarebbe stato sposato in una macchina per essere portato in un casolare. Subito dopo, si sarebbe finto morto. In realtà, però, la sua collazione sarebbe stata nei boschi, da latitante, e “quando lo avrebbero trovato sarebbe morto. Preferiva morire piuttosto che tornare in carcere”. E ancora: “Il piano prevedeva di uccidere anche Pantalone Mancuso”.

Negli affari e nel fumo delle pistole della criminalità organizzata ci vanno a finire anche storie “per una cavolata”, come il caso di Domenico Camillò, della cosca Pardea, nel mirino dei fratelli Loielo di Gerocarne tra il 2000 e il 2001. “Fu sparato per 5 o 10 milioni. Un debito di marijuana”. Si confonde sulla cifra ma dopo la contestazione della pm chiude il discorso con “insomma, un debito piccolo”.

Un accenno anche a Enzo Barba, nome di spicco della criminalità vibonese, che aveva rapporti con Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”: “Aveva dato assegni protestati e non voleva pagare la macchina che aveva venduto a Barba da Rosario Battaglia (ma i soldi dovevano essere dati a Giovanni) per un importo di circa 45 mila euro”.

Moscato racconta anche di un carabiniere di Vibo Valentia infedele che avrebbe raccontato delle indagini in corso: una sullo spaccio di sostanza stupefacenti (nel 2011) e sull’omicidio di Fortunato Patania.
Nomi e circostanze: “Operazione tra Vibo Marina, Pizzo, Briatico. Il primo sarei stato io. E’ vero che poi furono arrestate persone a cui io avevo venduto la sostanza stupefacente”.

Altra indagine sull’omicidio di Fortunato Patania, ucciso nel 2011, scattata subito dopo. Ad ottobre 2011 c’è un incontro tra il carabiniere e Giovanni Battaglia, che gli disse che “i primi indagati” erano Francesco Scrugli, Davide Fortuna e lo stesso Raffaele Moscato.

Anche le bancarelle della festa della Madonna in Mare sono al centro dell’interlocuzione tra la pm Frustaci e Raffaele Moscato: “Noi piscopisani mai avremmo chiesto estorsione alle bancherelle. Eppure, Antonio Vacatello lo fece a nome dei Piscopisani. Così è stato detto da Salvatore Tripodi, che quando uscimmo dal carcere ci disse che dovevamo risolvere la questione con Vacatello”.

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