
Riceviamo e pubblichiamo lettera a mons. don Andrea Perrelli cappellano del cimitero urbano e della polizia locale di catanzaro
di Girolamo Galluccio*
"Gent.mo Monsignore come di consueto il 2 novembre, ci ritroviamo in questo giorno e in questa Chiesa, per ricordare assieme tutti i defunti. Le chiedo di unire nella preghiera i caduti di tutti gli appartenenti alle Forze dell’Ordine che in ossequio al giuramento prestato hanno dato la vita perché sono morti per quel Tricolore. Essi sono andati avanti dappertutto, con il loro sangue hanno irrorato le aride zolle della nostra Patria, e delle terre straniere. Dal Carso al Monte Grappa alle Foibe Titine, in Russia, agli scontri con la criminalità organizzata,nella guerra civile che ha vissuto il Paese, abbiamo perso perché caduti nel cratere della Fede il fior fiore di poliziotti, carabinieri, finanzieri, marinai, avieri,soldati,alpini,bersaglieri uomini della Polizia Locale e di tutti gli altri Corpi che compongono l’Organico delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate , a cui va la nostra deferenza inchinandoci ai loro Labari e Bandiere di Guerra intrise del puro sangue Italico.
Il pensiero stringente va a tutti quelli che nel secondo conflitto mondiale, s’immolarono per l’affermazione della libertà e della giustizia per consegnarci un’Italia diversa. Altresì non possiamo dimenticare ma dobbiamo accomunare nel costante ricordo i Caduti della Prima guerra mondiale, e qui consentitemi di riportare due versi tratti da una breve poesia scritta dal 1° Capitano Esercito Italiano Sebastiano Rizzo, che ritengo molto toccante specialmente per quanti hanno provato grande emozione nel risalire lentamente quei gradini del Sacrario militare di Redipuglia che portano alla sommità della collina, nel leggere i nomi di quei Caduti meditando sul sacrificio di quanti si sono battuti obbedendo al sacro dovere della difesa della Patria.“Bisogna leggere i nomi uno ad uno come filari di viti, non c’è spazio né tempo per pensare ai molti che hai lasciato, ai tanti che vedrai, salendo la collina. E quando sarai in cima capirai”.
Parimenti la reminiscenza ci accomuna al Milite Ignoto,quello che D’Annunzio chiamò:”Poverello d’Italia, di là da ogni bellezza con la sua divina miseria”.In lui e da allora, ogni generazione si deve riconoscere nei sacrifici più alti e più celebrati . Altresì doverosamente a tutti i Caduti sopra nominati, indirizzi un particolare pensiero alla morte recente dei tre Carabinieri uccisi in terra Veneta, -Valerio, Marco e Davide- . Tutti quelli che ci hanno preceduto andando avanti non chiudono la storia: la aprono,la accendono, la rendono eterna. Lo faccia Monsignore nella Messa che celebra il Sacrificio salvifico di Cristo, per dare un senso religioso, trascendente al sacrificio che questi fratelli hanno consumato, chiedendo a Dio che possano sperimentare, in questa Eucaristia come in ogni giorno della vita, la potenza della Sua Paternità che consola, soccorre, sostiene e dona speranza nella vita eterna.
La Parola di Dio ci fa muovere tra due “poli” che, potremmo dire, sono stati il perno della vita dei nostri caduti: l’obbedienza all’autorità e l’esercizio dell’autorità. San Paolo, nella prima Lettura (Tt 3,1-7), esorta così Tito – cioè un vescovo – a offrire a tutti i cristiani un criterio per vivere nella città dell’uomo: la sottomissione all’autorità, potremmo dire l’“obbedienza civile”. Non dimentichiamo che lo stesso Gesù, provocato in più occasioni sull’argomento, ribadirà la necessità del riconoscimento dell’autorità civile e politica del tempo: lo farà quando si tratta di dare il tributo a Cesare; lo farà persino nel momento della sua condanna a morte. Come ha recitato il Concilio nella Gaudium et Spes, «i cittadini sono in coscienza obbligati a obbedire» all’«autorità politica» nell’ottica del «bene comune».
Anche la missione dei nostri fratelli deceduti parte da un atto di obbedienza a servizio del bene comune: è solo in questa luce, infatti, che l’obbedienza trova significato. Il bene comune non può essere perseguito a spese di qualcuno, sia esso il più piccolo e povero della società; è di tutti e, dunque, tutti dobbiamo cooperare a costruirlo. L’obbedienza - quella civile, come quella militare, come quella religiosa - deve sempre misurarsi con l’idea del bene comune, del bene. «Essere pronti per ogni opera buona»: è la sintetica e bellissima definizione che S.Paolo offre dell’obbedienza.
Ed è proprio così che i fratelli che oggi Le chiedo di ricordare sono stati: obbedienti, pronti ad affrontare le difficoltà della missione e persino il rischio della vita, perché convinti della bontà dell’opera da portare avanti. Un’opera di pace! Sì. Perché anche la pace è un bene comune. Un bene cui tutti i popoli, tutte le nazioni, tutti gli individui hanno diritto; un bene che tutti siamo chiamati a costruire. È proprio vero: «la pace non è pace finché anche un solo popolo nel mondo sarà in guerra». Stiamo parlando di «bene comune». Ma si può parlare di “bene” pensando alla morte dei nostri fratelli? No. Il bene non è nella morte, questo bisogna dirlo con chiarezza, il bene non sta nell’essere uccisi. La violenza per la quale i caduti perdono la vita non ha nulla di bene. Il servizio al bene comune, pertanto, non è reso dalla loro morte ma dal loro dono.Dare la vita, dare la vita per un bene più grande, dare la vita se necessario fino alla morte, è un bene in sé. Ed è qui l’esercizio dell’autorità che questi caduti insegnano a ciascuno di noi. L’autorità del dare la vita! È singolare che, nel Vangelo (Lc 17,11-19), i «dieci lebbrosi» chiamino Gesù «Maestro», cioè ne riconoscano l’autorità, chiedendoGli non insegnamenti ma «pietà», guarigione, aiuto. E Gesù ne ha pietà, li aiuta, li guarisce. Lo stile del Suo insegnamento, della Sua autorità – Gesù lo dimostrerà da lì a poco – sta nel dare la vita fino alla Croce; ma questo è tutt’uno con lo stile dell’esistenza del Cristo, con il Suo piegarsi sui bisogni dell’umanità, sui poveri e sugli ultimi, sulla “lebbra” che è l’indifferenza.
Gesù esercita l’autorità “prendendosi cura”, proprio come fa il Buon Pastore del Salmo (Sal 22), che guida, protegge, offre la vita, aiutando a vincere la morte e la paura. I fratelli caduti ci aiutano a comprendere che, per servire il bene comune, bisogna superare la logica dell’indifferenza, esercitando l’autorità del «prendersi cura» anche dinanzi alle valli oscure delle paure e dell’ingiustizia, delle violenze e delle guerre che affliggono tanti popoli.
Quando i popoli sono vittime di oppressione, persecuzione, violenza e violazione dei diritti umani, talora anche ad opera di coloro che dovrebbero difenderli, ecco che la «responsabilità di proteggere» e di «prendersi cura» si incarna nelle Missioni internazionali per la Pace alle quali tanti militari si dedicano e nelle quali i nostri caduti hanno offerto la vita . La scelta dell’intervento internazionale richiede sempre più il contributo di vicinanza di militari, come pure di civili, che si spendano per la difesa nonché per il riscatto culturale, sociale, economico, religioso, educativo di Paesi e di poveri calpestati da ingiustizie, violenze, intolleranze. Essi, però, non sempre sono capiti fino in fondo, non sempre sono ringraziati dalla comunità civile.
Nel Vangelo, solo un lebbroso, dei dieci guariti, torna a rendere grazie a Gesù. Noi dobbiamo ringraziare questi nostri fratelli, l’impegno dei loro amici e colleghi, il dolore delle loro famiglie. Ma vogliamo soprattutto ringraziare il Signore per chi, come loro, trova la forza di dare la vita piuttosto che sottomettersi alla logica dell’ingiustizia, dell’odio, della morte. Il Cristo, che è venuto in obbedienza all’autorità del Padre, insegni anche a noi l’autorità del donarsi, con il Suo aiuto e sull’esempio dei nostri cari caduti. E, nel quotidiano dei propri compiti e responsabilità, possa ciascuno imparare a riconoscere nel bene comune, nel trascendente, nell’Assoluto un principio cui obbedire, per trasformare l’autorità – ogni autorità! - in dono di vita, in servizio d’amore".
*già Comandante Polizia Locale di Catanzaro
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