Anche questa testata ha dato notizia, qualche giorno fa, di un importante convegno tenutosi lo scorso 16 settembre a Milano, a cura dell’Ordine degli Avvocati e della Camera Penale del capoluogo lombardo, dal titolo “Errori giudiziari e ingiusta detenzione: perché non possiamo non parlarne”. I dati più recenti, comunicati dal Ministero della Giustizia e posti a base delle riflessioni sviluppate nel corso delle assise milanesi, danno il distretto della Corte di Appello di Catanzaro in testa alla classifica dei casi di riparazione per ingiusta detenzione nel nostro Paese, nel 2018 (dati aggiornati al mese di settembre), prima di distretti notevolmente più popolosi e maggiormente gravati di affari penali quali quelli di Napoli e Roma. Il non invidiabile primato del distretto di Catanzaro, invero, non costituisce una novità: come molti ricorderanno, nella relazione tenuta all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019 il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Catanzaro - dott. Otello Lupacchini – ebbe ad evidenziare la preoccupante e consolidata tendenza nel distretto in materia, rilevando come nel solo 2017 si fosse fosse proceduto all’esborso erariale della cifra record di quasi 9 ml. €. a titolo di indennizzo riparatorio: più del doppio della somma impegnata per la medesima causale nel distretto giudiziario di Roma. L’alto magistrato fornì, nella sua relazione, i seguenti dati: 182 casi di riparazione, nel 2018; 158, nel 2017 (circa il 10% del dato complessivo nazionale); 104, nel 2016.
Ma la problematica, può dirsi, è ancor più risalente nel tempo. Nel 2008, intervendo quale presidente della Camera Penale di Catanzaro alla inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani presso la Corte di Appello di Roma, riportai i numeri del triennio precedente, nel nostro distretto, in materia di riparazione per ingiusta detenzione. Erano i seguenti: nel 2007, 209 casi trattati; nel 2006, 178; nel 2005, 203. Numeri, dunque, che già in quel tempo indicavano una consolidata tendenza verso soglie al rialzo e ponevano, anzi, il distretto della Corte di Appello di Catanzaro nella zona alta della “triste” classifica di cui parliamo.
C’è, dunque, da interrogarsi sulle ragioni di quella che certamente deve essere considerata come una patologia del sistema giudiziario. Appiattimento dei giudici della cautela sulle richieste dell’organo di accusa? Erronea e non ponderata valutazione delle emergenze addotte a giustificazione della privazione della libertà personale? Controllo non adeguatamente approfondito sullo spessore indiziario anche in rapporto alle possibilità di sviluppo probatorio nel successivo giudizio di cognizione ? Si badi, parliamo qui dei due estremi – come dire, opposti ed egualmente significativi - che possono realizzarsi nell’ambito di un procedimento penale: da un lato, la più grave e rigorosa conseguenza della contestazione formulata dal pubblico ministero e recepita dal giudice per le indagini preliminari, e cioè la restrizione in carcere, o presso il proprio domicilio, in via anticipata e prima del processo; dall’altro, il riconoscimento della innocenza della persona dapprima sottoposta alla privazione della libertà personale, dichiarata con una sentenza assolutoria divenuta irrevocabile. Lo stridore dei due profili è evidente, e ben si comprende come il “cortocircuito” giudiziaro che oggettivamente viene ad esistenza in tali casi costituisce evenienza che altrimenti non potrebbe definirsi se non come “devastante” nella vita della persona che la subisce.
E’ auspicabile, allora, che – al netto del deludente silenzio di questi giorni da parte di associazioni forensi specialistiche e magistratura della nostra città sul tema – si possa aprire un sereno confronto che, con consapevolezza e senza infigimenti, metta a nudo ed analizzi le ragioni dell’inquietante distorsione del funzionamento della macchina giudiziaria nella delicatissima materia della privazione della libertà personale anche e soprattutto nel nostro distretto.
Aldo Casalinuovo (avvocato)
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