Agazio Loiero e il giudizio su Barack Obama

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Agazio Loiero
  07 maggio 2023 15:10

di AGAZIO LOIERO

Lo scorso giovedì il Corriere della Sera ha pubblicato, a firma di Paolo Valentino, un articolo molto bello su Barack Obama. L’occasione è stata offerta dall’arrivo a Berlino dell’ex presidente degli Stati Uniti, a quindici anni di distanza dalla prima visita compiuta dal giovane senatore dell’Illinois, candidato alla Casa Bianca, che richiamò dall’intera Europa nella capitale tedesca a Berlino oltre duecentomila persone. Due questa volta gli appuntamenti, uno a cena con Angela Merkel nel famoso ristorante italiano “Ponte” e uno a colazione con Olaf Scholtz. A dare ascolto alle cronache, il suo fascino è apparso inalterato. Sul personaggio il mio giudizio non è sereno perché, malgrado Obama, durante il suo doppio mandato, abbia commesso, specie in politica estera, alcuni innegabili errori, l’ho sempre trovato di un fascino irresistibile.

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In questo tempo dominato dal valore dell’immagine, dall’aspetto fisico, oggi paradossalmente impreziosito dai capelli bianchi, ai temi agitati - il problema delle disuguaglianze, o dell’assistenza medica - alla parola carica di una grazia affabulatoria, e alla scrittura coinvolgente, tutte queste cose insieme contribuirono all’epoca a fare di Obama un personaggio unico nel panorama istituzionale del mondo. Si tenga conto che queste due qualità, parola e scrittura, in politica, quasi mai convivono appaiate. Dimenticavo la voce che epidermicamente contribuiva ad alimentare il suo fascino. All’epoca si avvertiva così intensa che sembrava provenire non dalla laringe e dall’apparato respiratorio, ma da un fondo sconosciuto del suo corpo. In questo viaggio dell’altro ieri, nell’incontro con i giornalisti, gli è scappata di bocca una sua battuta sulla leadership: “Uno dei suoi segreti” ha detto “è che non devi prenderti troppo sul serio”. E’ appunto questo il limite insidioso del potere di guida. Se accedi ad una carica così alta, di fronte al mondo che ti circonda, che sembra assecondare i tuoi desideri, le tue visioni, il rischio è librarsi a qualche metro da terra e perdere il senso della realtà. Se, una volta in alto, non possiedi la cultura, meglio la sensibilità che non è sempre una dote innata, ma molto spesso un prodotto della prima, diventa complicato tornare sulla terra. Sono movenze, sensibilità che si colgono a prima vista in molte persone premiate dal consenso polare. Sia che guidino gli Stati Uniti d’America sia che guidino una regione. Si tenga conto che i problemi del mondo oggi rispetto a soli trenta anni fa sono diventati enormemente più complessi e mutevoli. Governare significa svolgere un’attività difficile in cui certe competenze, magari concordate anche in contraddittorio con le figure tecniche di fiducia selezionate con cura - non sul piano dell’amicizia ma del sapere specifico - devono necessariamente coniugarsi con una certa saggezza pratica che il leader deve possedere di suo. L’intelligenza del governare, quella vera, non è solo razionalità ma anche capacità d’ascolto, coinvolgimento emotivo. Quelle immagini trasmesse al mondo dalla televisione in certe fasi delicate della vita americana, in cui si vede il presidente Obama seguire in maniera del tutto informale col sedere appoggiato a un tavolo, circondato dai propri collaboratori in ordine sparso nella sua stanza, tutti soggiogati da alcune immagini televisive che trasmettono l’irruzione armata nel nascondiglio di Bin Laden, resteranno a lungo nella memoria degli osservatori.

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Naturalmente sto scrivendo, come ho accennato prima, di un leader formatosi nella civiltà dell’immagine con caratteristiche del tutto diverse dai leader vissuti in epoche precedenti, le cui imprese politiche venivano narrate dalla radio e soprattutto dai giornali del tempo. Ma anche di questi ultimi sarebbe utile che, in particolare questo nostro Paese, nella penuria di leadership che oggi si respira nell’aria, sapesse conservare memoria.

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