Aldo Moro, il dolore inspiegabile e l'unità del Paese

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Franco Cimino
  16 marzo 2020 19:37

Oggi ricorre il quarantaduesimo anniversario della strage di via Fani in cui si consumò il rapimento di Aldo Moro e l’eccidio dei cinque uomini della sua scorta. Lo statista e leader della Democrazia Cristiana sarà assassinato cinquantacinque giorni dopo una terribile prigionia. Da quel primo momento non ho mai smesso di parlarne. Il sedici marzo e il successivo nove maggio di ogni anno ne parlo e ne scrivo. Soprattutto, ci penso con una certa continuità. A Moro penso, spesso rileggendolo, come uomo di Stato tra i più illuminati del mondo, l’europeista più convinto nella degasperiana idea (che è anche di Spinelli, Adenauer e Schumann) che il vecchio continente, concepito come soggetto unitario politico democratico, possa essere non la terza superpotenza da aggiungere al vecchio conflitto tra le prime due, ma un vero protagonista per la costruzione della Pace universale, nel segno della giustizia per tutti gli esseri umani e della libertà dei popoli e delle persone.

Penso al politico che in vita si batté per l’edificazione di uno Stato, il nostro, tra più avanzati e democratici del mondo intero. Penso al cattolico, che sotto l’egida del magistero di don Sturzo e De Gasperi, seppe mantenere distinti e distanti il credo religioso dall’attività delle istituzioni, secondo una cultura della laicità che non solo preservi la piena neutralità dello Stato rispetto a religioni e a ideologie, ma anche al diritto di ciascun politico a manifestare nel proprio agire il sentimento che lo pervade e la cultura che lo ha formato. Penso al filosofo del diritto, che sin da giovane non ha mai smesso di studiare la libertà in ogni suo aspetto. In particolare, nella sua difficile coniugazione tra il sentirla come un diritto naturale da difendere nella persona e il dovere di “ limitarla” , autolimitandola, nell’esercizio dell’azione collettiva, che, nella democrazia in quanto sistema ordinatore del vivere civile, attraverso la prassi costruttiva si esprime. Penso al democristiano coerente con i principi ispiratori del suo partito e agli ideali fedelmente professati, per mezzo dei quali egli ha potuto intuire strategie politiche straordinarie e visioni del mondo e della società umana di straordinaria perenne attualità. In esse, ricordo la sua lettura della complessa stagione del sessantotto, nella quale ha saputo trovare i sani fervori di un rinnovamento della politica e del concetto di autorità. Autorità che, sotto la spinta della contestazione, avrebbe potuto subire due rischi pericolosissimi per la democrazia: la totale dissolvenza e la sua deviazione in senso autoritario.

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Penso al professore che insegnava dialogando con gli studenti, uomini, per lui, in formazione continua, carichi di dignità e di vocazione alla pace e a quella spiritualità che la pace alimenta in loro stessi; al professore che insegnava il metodo del dialogo, come strumento di ricerca incessante della conoscenza e delle più ampie convergenze in politica. Penso, infine, all’uomo Aldo, che, dopo aver sacrificato la sua vita e la sua famiglia per donarsi interamente al Paese, alla sua famiglia e alla sua famiglia veniva violentemente strappato, nonostante la sua motivata “ supplica” di essere salvato. Supplica, motivata sia sul piano umano sia su quello politico e della ragione di Stato, e rafforzata dalla “profezia” che dal suo sangue innocente versato, l’Italia, il suo percorso democratico, avrebbero subito pesanti conseguenze. Sì, penso a quell’uomo solo in una “ prigione” di tre metri quadri per tre, che avrà pregato Dio in ogni momento, conservandosi forse l’ultimo per i suoi figli, l’amato nipotino e la sua “ dolce Noretta, a cui ha dedicato una delle più belle dichiarazioni d’amore che si possono ancora conoscere. “ Amore mio, sentimi vicino e tienimi stretto... A te un abbraccio pegno di un amore eterno...Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile... Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli... A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani...Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo.”

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Penso a una personalità così gigantesca e oggi, in questo tempo di dolore e miseria, di pericoli enormi e paure devastanti, in cui tutto sembra così fragile e inconsistente, improvvisato e incerto, e mi commuovo. In quella storia personale, in quell’insegnamento morale, in quella bellezza umana, in quel suo pensare profondo e sentire intenso, trovo tutte le vie e tutta la forza per credere che il nostro Paese, l’Europa e il mondo intero potranno vincere la morte e diventare migliori. Ritrovo gran parte della bellezza della Politica, oggi andata perduta. Al di fuori della tragedia umana di Aldo Moro, trovo anche quel senso di responsabilità, che pur tra grandi contraddizioni e gravi errori, vide le forze politiche unirsi, senza convenienti distinzioni di posizioni, per salvare l’Italia in uno dei passaggi più difficili della sua storia. La lezione che viene dalle tragedie umane, specialmente se di natura “ bellica”, è Unità, quel mettersi tutti insieme per operare uniti, ché l’emergenza non ha mai salvato “ i più belli” o i più furbi.

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Franco Cimino

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