AMA Calabria, “La morte della Pizia” al Comunale di Catanzaro: in scena la relatività del reale

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  21 febbraio 2025 07:42

di MARCO VALLONE

E' stato portato in scena nella serata di ieri, presso il Teatro Comunale di Catanzaro, l'adattamento teatrale del racconto dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt, “La morte della Pizia”, nell'ambito della programmazione della rassegna di spettacoli di teatro di AMA Calabria. Quest'opera letteraria, pubblicata nel 1976 e uscita in Italia nel 1988, tradotta da Renata Colorni per Adelphi, ha trovato vita sul palcoscenico teatrale, per la prima volta in Italia, attraverso l'adattamento proposto da Patrizia La Fonte e Irene Lösch. La regia di Giuseppe Marini ha ulteriormente impreziosito lo spettacolo, che porta la firma di Progetto Goldstein nella produzione.

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Le vicende della mitologia greca relative al figlio Edipo e alla madre Giocasta sono servite per riflettere più in generale sul tema sempre attuale delle fake news, delle informazioni pilotate. Già in passato, infatti, ci si interrogava su come fosse difficile distinguere il vero dal falso in base al racconto che viene fatto di una vicenda. Nulla è certo fin quando non si prende coscienza con i propri occhi e i propri sensi, e l'ironia riflessiva di questo spettacolo spinge lo spettatore a pensare esattamente a questi risvolti, con l'ottima Patrizia La Fonte ad interpretare la sacerdotessa Pannychis XI insieme a Maurizio Palladino, molto incisivo nel ruolo del sacerdote Merops XXVII.

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Si diverte, la sacerdotessa Pannychis XI, sacerdotessa Pizia (vale a dire la sacerdotessa di Apollo che forniva i responsi oracolari al santuario di Delfi) alla fine dei suoi giorni, a prendere in giro i suoi contemporanei, conscia com'è di quanto sia facile fargli credere la qualunque cosa. I suoi oracoli sono frutto di pura invenzione e fantasia, ma chi li ascolta ci casca in pieno, con quella convinzione ingenua e quella sprovveduta fiducia che fa ritener loro un oracolo necessariamente affidabile. E qui si intreccia l'attualità, in un gioco di maestria che fa inevitabilmente pensare a come anche nell'epoca odierna spesso riesca difficile distinguere il reale dall'irreale, e si prende per verità ciò di cui non si ha alcuna certezza, purché, per qualche ragione, stia sufficientemente simpatico chi ha raccontato una certa cosa.

Non sono più i fatti a contare. Conta che la fonte del racconto del fatto sia simpatica. Che ne si abbia fiducia. A prescindere che il racconto sia vero o falso. Sembra materia da antica Grecia: è forse il tema di democrazie e dittature moderne, occidentali e orientali. Ma torniamo allo spettacolo, che anche su questo, prendendola alla lontana, probabilmente vuol far riflettere. L'oracolo fa credere ad Edipo che avrebbe ucciso il padre Laio per poi sposare la madre Giocasta: una pura invenzione di fantasia in cui neppure la sacerdotessa crede quando la vaticina per scherzo. Eppure la profezia si avvera, visto il cieco insensato credito che Edipo attribuisce a un oracolo. Questo porterà la rovina per Tebe e pessimi risvolti per Edipo stesso, ma poco importa. La profezia si è avverata.

Il potente Tiresia (interpretato sempre da Palladino, e lo stesso deve dirsi per il ruolo di Edipo), indovino pure lui complice e artefice dei vari responsi degli oracoli, chiamerà Pannychis XI a rivedere le vicende e le profezie, dinnanzi alle vittime del loro fantasioso, nel caso della sacerdotessa Pizia, o politicamente indirizzato, nel caso di Tiresia, vaticinare. Si vedranno allora Edipo, Giocasta, la Sfinge (entrambe interpretate, come Pannychis XI, da La Fonte) raccontare la stessa storia secondo un proprio punto di vista. Ed è qui che si moltiplica la relatività; lo stesso fatto diventa oggetto di interpretazioni plurime. Ogni personaggio fa venir fuori aspetti che l'altro non aveva evidenziato, in un racconto personale che a sua volta manca di alcuni elementi che invece sono presenti nella ricostruzione altrui. Un intersecarsi di interpretazioni, un labirinto di informazioni nel quale diventa sempre più complicato venire a capo di quale sia, effettivamente, la verità.

Questo lo scopo di Dürrenmatt: far capire come i fatti non siano a portata di mano. Spesso i racconti sono interpretazioni di cui ci fidiamo, pur non conoscendo, effettivamente, il fatto. L'ironia amara la fa da padrona, in un adattamento teatrale che ha visto due attori, Patrizia La Fonte e Maurizio Palladino, moltiplicati in sei personaggi (tre ciascuno), capaci di momenti di intensità, ironia, leggerezza e drammaticità. Tutto insieme, per evidenziare la complessità del reale. La platea del Comunale applaude, lo spettacolo finisce. Con la convinzione che la realtà sia un enigma non solo per il regno di Tebe o il santuario di Delfi in cui è ambientato il romanzo e quindi, necessariamente, anche lo spettacolo. La realtà è un enigma per ogni spettatore in sala. Pieni di dubbi, intrigati e affascinati dal mistero su cosa sia vero e cosa non lo sia, si può tornare a casa. Sipario.

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