Bambin Gesù sotto accusa: cinque medici a processo per la morte del piccolo Giacomo

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  15 ottobre 2025 17:21

Dopo oltre sei anni di battaglie giudiziarie, la giustizia compie un passo decisivo nel caso del piccolo Giacomo, il bambino di appena due anni morto il 1° gennaio 2019 presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Il GUP del Tribunale di Roma ha disposto il rinvio a giudizio di cinque medici dell’ospedale – Antonio Ammirati, Mario Salvatore Russo, Sonia Albanese, Matteo Trezzi e Roberta Iacobelli – con l’accusa di negligenza, imprudenza, imperizia e incuria. L’udienza è fissata per il 19 novembre 2025.

LA STORIA DI GIACOMO

Giacomo era un bambino allegro, biondissimo, dagli occhi verdi e dal sorriso contagioso. Nato a Taormina con una fibrillazione cardiaca, aveva ricevuto un pacemaker già alla nascita, sotto la supervisione dei medici del Bambino Gesù. Per quasi due anni la sua crescita era stata serena, finché una serie di segnali clinici – pur chiari e documentati – non furono presi con la dovuta urgenza.

Durante i controlli tra aprile e novembre 2018, diversi esami avevano già evidenziato un avvolgimento anomalo dei cavi del pacemaker attorno al cuore, una condizione che avrebbe richiesto un immediato intervento correttivo. Tuttavia, secondo la ricostruzione dei familiari e degli atti d’indagine, la situazione fu sottovalutata: l’intervento venne più volte rinviato, anche a causa di un’infezione, e il piccolo fu dimesso senza precise prescrizioni, con la rassicurazione che non vi fosse alcun pericolo imminente.

Il 31 dicembre 2018, Giacomo ebbe un grave malore nella sua casa in Calabria. Il primario dell’ospedale di Polistena, constatata la drammaticità del quadro, chiese l’immediato trasferimento a Roma. Grazie all’intervento del Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto e della Prefettura di Reggio Calabria, il bambino fu trasportato d’urgenza con un aereo militare al Bambino Gesù. Arrivò intorno alle 21:00, ma – secondo quanto emerso – nessun chirurgo era presente per intervenire, nonostante la reperibilità della dottoressa Albanese. La decisione fu quella di “stabilizzarlo e operarlo l’indomani”. Nella mattina del 1° gennaio 2019, Giacomo morì, “strangolato” dal cappio del filo del pacemaker che si era stretto attorno al suo piccolo cuore.

La vicenda, segnata da omissioni e ritardi, si è trasformata in una lunga battaglia per la verità portata avanti dal nonno, l'avvocato Giacomo Francesco Saccomanno, che ha denunciato le incongruenze nelle prime perizie mediche e nella gestione clinica del caso. Dopo un iniziale archiviazione del procedimento, Saccomanno ha presentato nuove prove e denunciato tre periti per falsa perizia. Le successive indagini hanno accolto la tesi della famiglia, evidenziando che l’intervento avrebbe dovuto essere immediato e che il piccolo Giacomo era già in arresto cardiaco prima dell’operazione.

Oggi, la decisione del GUP rappresenta per la famiglia un segnale di giustizia e di speranza. "Questo non restituirà Giacomo ai suoi genitori – dicono i familiari – ma servirà affinché nessun altro bambino debba subire ciò che lui ha subito. Dopo anni di dolore, menzogne e perizie falsate, finalmente qualcuno dovrà rispondere davanti alla legge". 

L’udienza del 19 novembre segnerà l’inizio di un processo atteso da anni. Un processo che, nelle parole della famiglia Saccomanno, non è solo una ricerca di colpe, ma un atto d’amore verso un bambino a cui è stato negato il diritto di vivere.