La DIA di Catanzaro ha dato esecuzione ad una confisca definitiva disposta dal locale Tribunale in esito alla sentenza con la quale sono state inflitte in primo grado pesanti condanne per 416-bis e reati tributari correlati a false fatturazioni, il nuovo “oro” delle mafie, nei confronti di imprenditori collusi coi vertici delle locali di ‘ndrangheta di San Leonardo di Cutro (KR) e Roccabernarda (KR) rimasti a suo tempo coinvolti nell’operazione “PROFILO BASSO” del gennaio 2021.
La misura ablativa ha interessato 3 società operanti in Calabria, Lazio e Lombardia, ed attive nei settori della pulizia generale di edifici, del commercio all’ingrosso di macchine utensili, dell’attività dei call center, della costruzione di edifici residenziali e non residenziali, nonché rapporti bancari e disponibilità finanziarie, per un valore complessivo stimato in circa 500.000 euro.
Un intreccio tra politica, imprenditoria e cosche di ndrangheta, dunque, in particolare quella di San Leonardo di Cutro che fa capo alle famiglie Mannolo e Trapasso e quella di Roccabernarda guidata dal gruppo Bagnato. E’ questo il nocciolo dell’indagine della Dda di Catanzaro "Basso Profilo" che nel gennaio 2021 portò all’esecuzione di 48 misure cautelari in carcere e ai domiciliari e nella quale erano coinvolti nomi eccellenti come quello dall’allora assessore regionale al Bilancio e segretario regionale dell’Udc Franco Talarico, condannato in primo grado con il rito abbreviato a 5 anni di reclusione per voto di scambio politico mafioso, pena poi ridotta in appello a 1 anno e 4 mesi previa riqualificazione del reato in corruzione elettorale semplice. Nelle maglie dell’inchiesta finì anche il segretario nazionale dell’Udc, Lorenzo Cesa, poi completamente scagionato.
La confisca di beni per 500 mila euro disposta oggi dalla Dia fa seguito, invece, alla condanna nel processo ordinario di primo grado inflitta dal Tribunale di Catanzaro a 35 imputati, mentre con la stessa sentenza sono state pronunciate anche 12 assoluzioni. Al centro dell’indagine spiccava la figura dell’imprenditore di Sellia Marina, Antonio Gallo che - come emerge nell’inchiesta - aveva intrecciato una serie di rapporti con le cosche crotonesi dei Grande Aracri, dei Trapasso-Mannolo e dei Bagnato. Antonio Gallo, alias “il principino”, era considerato dalla Dda un jolly, in grado di rapportarsi con i membri apicali di ciascun gruppo: dai Grande Aracri di Cutro a Mario Donato Ferrazzo di Mesoraca, da Domenico Megna di Papanice ai maggiorenti delle cosche cirotane, ad Antonio Santo Bagnato del locale di Roccabernarda. Rapporti che secondo la Dda l’imprenditore intratteneva per avere un sostanziale monopolio nella fornitura di prodotti antinfortunistici alle imprese che eseguivano appalti privati nei territori del settore jonico catanzarese. Inoltre, per entrare negli appalti pubblici Gallo si interfacciava con personaggi politici ai quali prometteva pacchetti di voti in cambio di favori per sé e per altri, sia in territorio della provincia catanzarese che in altre realtà territoriali. Come sarebbe accaduto, ad esempio, per Franco Talarico. A Gallo i giudici hanno inflitto 30 anni di reclusione. Stessa pena per il catanzarese Umberto Gigliotta, ritenuto l’immobiliarista delle cosche, ritenuto vicino ai Trapasso.
Avverso la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Catanzaro nel luglio dello scorso anno, attualmente pende il ricorso in appello della Dda nei confronti di 17 imputati che sono stati completamente o parzialmente assolti.
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