Brescia replica a Cimino: “Io commissario alla sanità? Impossibile perché non disponibile a compromessi”

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images Brescia replica a Cimino: “Io commissario alla sanità? Impossibile perché non disponibile a compromessi”
Franco Brescia
  27 novembre 2020 09:38

di FRANCO BRESCIA

Caro Franco, ho letto con attenzione il tuo articolo pubblicato l’altro ieri su questo giornale con intestazione “ Di commissario si muore, di buona Calabria si vive” (LEGGI QUI). 

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I temi trattati sono diversi e di ampia risonanza e, quindi, meriterebbero adeguate risposte, non sintetiche, quindi, ma quanto mai ampie, da contenere, perciò,  in diverse pagine - la cui scrittura è del tutto fuori luogo in questa circostanza - al fine di renderle esplicative.

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Se ritieni potresti tuttavia ottenerle rileggendo parti del mio libro “La sanità catanzarese nella evoluzione storica e sociale”, i cui contenuti, ad ogni modo, riguardano tutta la sanità italiana che origina sin dall’epoca in cui, nel mondo, sono state prestate le prime cure assistenziali.

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Comunque, per avere idea sul come si è raggiunta l’attuale situazione - che include, per quanto concerne la Calabria, la tragicommedia delle nomine commissariali - è necessario richiamare, in brevissima sintesi, alcuni cenni storici essenziali, all’uopo ricordando che durante il Regno d’Italia la sanità, per la prima volta, assume fisionomia d’insieme. Le prestazioni sanitarie in favore della popolazione erano erogate ad opera delle condotte mediche organizzate in ogni comune del territorio nazionale e, successivamente, soprattutto da enti mutualistici istituiti in favore di alcune categorie di lavoratori.

Una sanità che, con il trascorrere del tempo, prosperava, ma che raggiunse il massimo di copertura assistenziale in favore dei propri cittadini durante la Repubblica intanto intervenuta, che, per l’erogazione, si avvalse di enti pubblici - le cosiddette  Casse mutue - all’uopo delegati.

Si era costituito un sistema sanitario, snello, funzionante al massimo, idoneo a soddisfare in pieno le esigenze sanitarie dei propri mutuati.

L’assistenza era finanziata dai datori di lavoro e, insieme, dai prestatori d’opera, mentre i lavoratori autonomi vi dovevano provvedere in proprio. La partecipazione finanziaria dello Stato era del tutto limitata.

Essa era gestita con oculatezza anche perché agli enti era fatto obbligo di chiudere i bilanci a pareggio. L’erogazione era organizzata di modo che non si costituissero liste di attesa, né era sottoposta alle pratiche burocratiche di cui la sanità di oggi è infestata. Al pronto soccorso si ricorreva solo per casi gravi, perciò escludendo quei problemi di intasamento in atto ricorrenti.

Era, quindi, un modello da perpetuare, ma, che, purtroppo, a un certo punto, non andò più bene alla politica al momento in cui trasse convinzione che dovesse occuparsi direttamente della sanità per trarre tutti i benefici possibili specie in materia di suffragi.

Perciò, i partiti politici componenti la maggioranza di governo, per tutti i motivi rientranti nel proprio tornaconto, sfasciarono tutto creando sistemi diversi che, progressivamente, sottrassero prestazioni sanitarie ai cittadini e, nel frattempo, per di più, ponendo a loro carico onerosità finanziarie sempre più pesanti.

Si ottenne il primo traguardo con la legge di riforma sanitaria del 1978, in vigore dalla metà del 1980.

La sanità venne pertanto consegnata alla politica deleteria che l’ha sconquassata nell’opprimerla con malefatte di qualsiasi natura.

I misfatti, invero, ebbero rilevanza anche durante le gestioni mutualistiche, pur se contenuti in minima parte siccome ristrettidal sistema dei controlli capillari da esse esercitati.

Già con la prima riforma sanitaria, quindi, si cominciò aperseguire ogni tipo di illecito che portò sostanziali benefici finanziari non solo alla politica, ma anche a tutte le categorie attive nel sistema di erogazione: burocrati, medici, case di cura, farmacisti.

Basti considerare, infatti, che il fondo sanitario destinato annualmente per l’erogazione assistenziale alla popolazione per eguale periodo, dopo l’avvento della riforma, si esaurì entro unquadrimestre, considerato che era venuto meno l’esercizio dei controlli operati dagli enti mutualistici.

Nei fatti, nella sanità, parallelamente, si era organizzato il sistema per il perseguimento dell’arricchimento illecito. La spesa superava quindi ogni limite di decenza mentre lo Stato, divenuto ormai l’ente pagatore, anziché porre freni all’andazzo, addirittura faceva la sua parte dando impulso, per tornaconto politico, a diverse iniziative territoriali fino alla costruzione di ospedali che mai sarebbero andati in funzione. Peraltro accendendo debiti a carico delle future generazioni.

Successivamente, con tutte le diverse tipologie gestionali, man mano poste in essere, la sanità è diventata dunque un colabrodo, nel frattempo, peraltro, mentre si andavano costituendo disparità di trattamento assistenziale tra le popolazioni residenti nelle varie regioni, originata dal sistema delle prestazioni integrative -erogate oltre a quelle generali previste per tutti i cittadini -divenute prerogative dei soli cittadini residenti nei territori produttivi di maggior reddito.

Ovviamente da questa peculiarità restarono escluse, come tuttora sono escluse, gran parte delle popolazioni meridionali e, certamente, quelle della Calabria la quale, da tempo, è, tra l’altro, attraversata da scorribande di commissari straordinari, in gran parte mancanti di professionalità, che hanno reso questa regione lo zimbello della nazione.

Ciò ad opera della politica governativa che impone emissari provenienti da propria appartenenza così soddisfacendo pretese politiche e principi di spartizione di potere utilizzando lo sviluppo del manuale Cencelli.

La manovra commissariale, inoltre, non riguarda il solo ambito regionale, in quanto, ormai, costituisce una dinamica che, frequentemente, occupa Aziende ospedaliere e provinciali, peraltro, tante volte, per la bisogna, dando incarichi a soggetti di dubbia capacità gestionali e per tempi brevi facendo perciò mancare quella necessaria continuità gestionale derivante da programmazione di lungo periodo, indispensabile per raggiungere consistenti finalità in materia di costruzione di tutte le strutture da porre nella disponibilità della popolazione portatrice di bisogni assistenziali.

Al dunque è chiaro che il popolo calabrese è trattato come una massa di malfattori e di incapaci su cui imporre carabinieri e prefetti, con ciò, nei fatti, rendendo la Calabria comeesclusivamente occupata da gente di terzo o quarto mondo.

E’ ormai maturo il tempo, dunque, - si riscontrano già le dinamiche -  che venga costituito un movimento civile, estraniando i partiti politici, di azione e di lotta da condurre secondo le forme dettate da correttezza sociale, costituito da tutti i cittadini, che sono la quasi totalità, che vivono con regole di nobile correttezza e di etica, desiderosi di riprendersi la propria Calabria per renderla affrancata e direttamente gestibile nel contempo proponendo soluzioni ai vasti problemi che la attanagliano. Di questa iniziativa si occupino maggiormente i giovani che vogliano costruirsi nella propria terra un futuro di autonomia e di libertà.

Non è rinviabile questa azione. Le forze sane si adoprino al massimo per realizzarla.

Caro Franco, spero che quanto esposto possa esserti interessante.

Infine, non posso concludere tralasciando mie considerazioni in ordine alla proposta da te avanzata perché io venga nominato commissario per la gestione della sanità calabrese. Per la quale ti ringrazio vivamente per la evidente stima che in me riponi.

Avrei assunto volentieri questo incarico, se mi fosse stato conferito, ritenendo di avere ancora piena lucidità sul come affrontare le vaste problematiche esistenti. E l’avrei espletato adoprando quella risolutezza dinamica con la quale ho fronteggiato tutti i momenti gestionali derivanti dalla mia carica direzionale detenuta per 38 anni, peraltro adoprandomi nei diversi livelli, provinciali, regionali e anche nazionali essendo stato chiamato a prestare la mia opera in seno al Consiglio sanitario nazionale e nella programmazione sanitaria nazionale.

Sia chiaro che tutti gli incarichi suppletivi contemporaneamente esplicati erano privi di qualsiasi remunerazione la quale, pertanto, era unicamente rappresentata dallo stipendio mensile dovutomi per l’espletamento della carica di direttore superiore. Sia anche chiaro che tutto ciò mi obbligava a un impegno quotidiano complessivo di  circa 12 ore, compreso il sabato.

Gratuitamente, quindi, avrei svolto l’attività di commissario straordinario per la sanità in favore della Regione Calabria.

Ma, sono pienamente cosciente di non essere proponibile in quanto, per ottenere l’incarico, dovrei innanzitutto possedere il requisito dell’appartenenza, a me completamente estranea.

Ma, non sono proponibile perché la mia autonomia dinamica - forgiata comunque con le indicazioni provenienti dalle parti collaborative - che esclude ogni tipo di compromesso, non è ricevibile da qualsiasi partito politico o da qualsiasi altro ordine vario che ha peso nelle scelte, come la massoneria. E’ stato sempre così.

Non sono proponibile, infine, perché sono incorruttibile e tale sono rimasto qualsiasi fossero le entità delle proposte offerte. Non mi piegai neppure al momento in cui un emissario della ndrangheta mi puntò la pistola alla tempia per costringermi alla firma di atti inaccettabili. E neppure in presenza di altre minacce di morte.

Il mio unico fine: spendermi per il benessere della collettività per quel poco che mi era consentito.

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