Bruno Gemelli: "La poesia sonora di Mimmo Rotella"

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  14 aprile 2025 11:45

di BRUNO GEMELLI

A dispetto del suo nome maschile (nome d’arte), “Tomaso Binga”, è una donna, il cui vero nome è Bianca Pucciarelli Menna; è una poetessa esponente di spicco della poesia sonora. Essa – scrive culturadeldissenso.com - «è un movimento eterogeneo che si sviluppa nella seconda metà del Novecento, ma che trae origine dalle sperimentazioni sulla vocalità testuale dei futuristi, dei dadaisti e dei lettristi. In particolare, i rumori plastici di Giacomo Balla, l’onomalingua di Fortunato Depero, lo zaum di Chlebinikov, le poesie rumoristiche di Hugo Ball, i poemi epistaltici di Mimmo Rotella, i collages ritmici e le poesie permutazionali di Vasili Kamenskij, sono dei punti di riferimento fondamentali per il movimento in oggetto. Il poema sonoro è concepito tenendo presente la fruizione orale, per cui le tonalità, i rumori, i timbri, le dissonanze e tutto ciò che appartiene allo spettro del suono veicolano sensazioni, emozioni o messaggi. Le interpretazioni, inoltre, sono molteplici, tanto che, ad ogni ascolto, il poema sonoro offre un’esperienza diversa. Jacques de la Villeglé, nel 1958, sul secondo numero della rivista “Grâmmes”, parla di poesie sonore per riferirsi ai Crirythmes del poeta ultra-lettrista François Dufrêne, cioè delle composizioni vocali elettroacustiche che non seguono una partitura, preferendo la via della spontaneità. Nello stesso anno, l’inglese Brion Gysin, sperimentatore poliedrico appartenente alla Beat Generation, inventa la tecnica cut-up che prevede il montaggio di frammenti di nastro magnetico preregistrato […]».

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Su questo terreno artistico-sperimentale si misurò all’inizio della sua carriera il nostro Mimmo Rotella, l’inventore del décollage.

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Rotella, nel lontano 1954, diede avvio alla “poesia epistaltica”, ossia al “Manifesto dell'epistaltismo” che aveva nove cardini: 1) il linguaggio epistaltico che si situa al termine della tradizione astratta nella espressione glossica, fonde le valenze formali insite nel linguaggio, con tutte le possibilità tonali ed armoniche. 2) il termine “epistaltico” è stato scelto per ragioni puramente formali: ogni riferimento alle sue passate, presenti e future possibili suggestioni semantiche è puramente casuale. Ci è parso che il termine epistaltico contenesse in sé elementi ritmici e melodici di rara potenza evocatrice. 3) l’inclusione nelle composizioni epistaltiche di effetti sonori tratti dal vero corrisponde a ciò che sul piano della scultura è l’arte polimaterica e su quello della pittura collage. 4) linguaggio epistaltico vuol dire inventare tutte le parole, svincolarle dal loro valore utilitario per farne dei razzi traccianti contro gli edifici decrepiti della sintassi e del vocabolario. 5) la parola è soprattutto suono: va eliminato il muro divisorio tra la musica e la poesia che sono essenzialmente la stessa cosa. 6) nella musicalità e quindi nel suono consiste l’essenza vera della parola. 7) in questa riduzione ai minimi termini la parola ritrova la sua autonomia e la sua natura evocativa. 8) la voce umana non deve essere limitata alla monotonia del linguaggio articolato. 9) essa è una fonte inesauribile di strumenti musicali naturali.

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Insomma, il linguaggio epistaltico vuol dire inventare tutte le parole, svincolarle dal loro valore utilitario per farne dei razzi traccianti contro gli edifici decrepiti della sintassi e del vocabolario, e ancora va eliminato il muro divisorio tra la musica e la poesia che sono essenzialmente la stessa cosa. Ascoltandolo in performance si capisce perfettamente perché avvenga tale fusione, in effetti, operando secondo quella maniera non c’è distinzione, mentre la distinzione esiste se si opera in altre direzioni come questa selezione abbondantemente dimostra.

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