Calabria, fra mercato del lavoro e demografia: i dati e una traiettoria preoccupante

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images Calabria, fra mercato del lavoro e demografia: i dati e una traiettoria preoccupante

  01 maggio 2023 06:21

di GABRIELE RUBINO

I dati dicono molto ma non tutto. Nella realtà sempre più complessa, una più o meno sensata intellegibilità non può più basarsi su un’impostazione a compartimenti stagni. Per questo il mercato del lavoro (così come il sistema pensionistico) non può più essere sganciato dalla dinamica della demografia. Che poi, per completare il quadro, sono indicatori cruciali delle prospettive di sviluppo (o di decrescita ‘infelice) di un Paese e quindi della sua sostenibilità nel medio-lungo periodo.

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I tassi di occupazione italiani hanno viaggiato abbondantemente (di una decina di punti) al di sotto delle medie dei Paesi europei più avanzati. Figurarsi, quindi, quelli della Calabria, una delle ultime, se non l’ultima regione comunitaria. Nel 2022 la percentuale degli occupati è cresciuta dell’1,5% rispetto all’anno precedente, passando dal 42% al 43,5% contro una media nazionale del 60,1%. In termini assoluti (fra i 15 e i 64 anni) si è passati da 504 a 529 mila occupati. Naturalmente, rimane ‘imbarazzante’ il dato degli inattivi (coloro che non lavorano e che non lo cercano). Sono 573 mila (sempre in quella range anagrafico), pari al 48,9%. Praticamente metà dei calabresi è ‘incastonato’ nell’ambra della mancata partecipazione al mondo del lavoro. Certo, sfugge il nero e l’incidenza maggiore dell’assistenza ha il suo peso, ma questa è la tendenza di fondo.

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Le tinte diventano fosche guardando un po’ più in là. L’asfittica traiettoria demografica nazionale e, a maggior ragione, quella calabrese che patirà più di altre il saldo naturale negativo e lo spopolamento sono un ulteriore zavorra per una barca piena di falle. La contrazione, apparentemente irreversibile, di residenti pregiudica di per sé ogni ambizione di risollevarsi, soprattutto se a prosciugarsi sono le coorti anagrafiche più giovani e quelle con un più elevato livello di istruzione. E da ultimo provocano anche l’illusione ottica nel mercato del lavoro. Infatti, i vari tassi (occupazione, disoccupazione e inattività) potrebbero pure apparire più positivi del passato ma la diminuzione del denominatore (la popolazione) rischia di illudere. E non di poco. E pensare quando fra qualche anno, come prevede l'Istat, in poche annualità sparirà in regione l'equivalente di un'intera città. Con questi presupposti, concentrare un mucchio di risorse pubbliche a debito (di cui l’Italia è da anni tossicodipendente, infischiandosi dei costi che graveranno sulle spalle dei giovani) per i pre-pensionamenti, che è già stato dimostrato non portano in automatico ad alcuna staffetta, non solo è disfunzionale ma sommamente lesivo della giustizia sociale fra generazioni.

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Non esistono soluzioni semplici per creare un boom occupazionale (o quantomeno della riduzione del tasso di inattività) e ancor meno per invertire l’infausta spirale demografica. Si possono però evitare errori. Così come considerare il turismo (settore tendenzialmente a basso valore aggiunto e particolarmente sensibile al ciclo economico, non solo per la pandemia globale) come la panacea di tutti i mali. Piuttosto, dovendo ‘convivere’ con la diminuzione della forza lavoro una delle poche vie è l’aumento della produttività, che in alcuni ambienti sembra una bestemmia ma che è stato il vero punto debole dell’economia italiane. Elevate specializzazioni nel mondo della sanità, del welfare, dei servizi di ingegneria e in alcune produzioni di energia rinnovabile, affiancate a produzioni che già oggi si difendono egregiamente, possono essere un punto di partenza. Peculiarità in un sistema capitalista più regionalizzato e più maturo.   

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