Il direttore di questo giornale, che è anche mia amica da un secolo, mi telefona per chiedermi un breve pensiero critico su Andrea Camilleri, appena scomparso dopo i giorni durissimi in ospedale. “Non mi piaceva, ma lo amavo moltissimo”, è stata la mia risposta. Non sono un critico letterario e neppure un “romanzista” ( non nel senso di scrittore) di quel tipo di narrazione giallo-poliziesco. Che io non seguo per insufficiente interesse. Non sono pertanto capace di dare un giudizio di valore sulla sua opera letteraria, che conosco poco.
Non vedo, se non per quel tanto che il potere del telecomando mi consente, le riuscitissime serie televisiva che, con mio disappunto, ha imprigionato, sia pure in una gabbia dorata, uno dei migliori attori italiani, Luca Zingaretti, da sempre tra i miei preferiti. Tutto qui il mio “ non mi piaceva”. Ma, il Camilleri intellettuale, il pensatore a cavallo di due secoli dei due millenni che hanno cambiato e cambieranno il cammino dell’Umanità, quello, sì, lo lo amavo moltissimo. Amavo la sua biografia personale, quella sua tenacia che lo ha spinto, da una scrivania in banca di una città periferica (mi pare lavorasse lì), a dare gambe alla sua vocazione alla scrittura e al suo talento naturale; la sua ambizione a entrare nei ristrettì circoli culturali italiani, con l’umiltà di conoscere da vicino i grandi artisti e la pazienza di aspettare di poterne raggiungere qualcuno, superarne tanti, restare “ impalato” dinnanzi all’altezza irraggiungibile dei pochissimi miti. Mi piaceva il suo invecchiare senza dolersene, se non per quelle piccole menomazioni che ne riducevano la vitalità fisica.
E la sua straordinaria forza con cui le dominava per non farsi dominare da esse. Uno scrittore che venisse colpito alla vista, subisce un colpo micidiale, quasi mortale, se non in tutti i sensi almeno su quello della produttività letteraria. Lui no, continua a “ scrivere”, lo fa con maggiore rendimento, qualità e quantità. I suoi libri vendono sempre di più in ogni parte del mondo. Milioni di copie di ogni sua opera. In Italia vanno a ruba. Non c’è una casa che non ne possieda uno. Da lui stesso alle sue case editrici, sono tutti diventati ricchissimi. I suoi eredi poi, non ne parliamo, per generazioni guadagneranno soldi a palate. E, tuttavia, egli non si fece trasformare in industria. Per quel suo carattere ostinato e ribelle, non si fece dettare da alcun editore lo schema o la trama o il colore dei suoi racconti. Credo neppure accettasse suggerimenti sui finali, almeno, degli episodi “ venduti” alla televisione. Chi legge bene i suoi libri e ne segue la sua costante filatura, può confermare la coerenza, sotto tutti i profili, in essi contenuta. Camilleri c’è sempre. È lui in ogni suo libro. E quando qualche cambiamento si scorge, è perché lo scrittore, che è in quell’uomo che invecchia, è migliorato. Straordinario! Come straordinario è quel suo far vivere i suoi eroi fanciulleschi. Sono teneri come i bambini, leggeri come farfalle, forti come il grano e coraggiosi come il vino. Ma non muoiono mai. Nessuno vuole che muoiano, diversamente da come accade per altre “ saghe”, quando sono gli stessi lettori o seguaci televisivi che, pur amandoli molto, vorrebbero che morissero. E che a dargli la morte, come un vero assassino, fosse il genio che li ha creati. Ché e assai triste vederli morire per noia o sfinimento del pubblico.
Andrea Camilleri invece li fa vivere e li fa desiderare ancora. Perché geniale e creativa è la sua scrittura, che rinasce ogni volta da se stessa. Le sue storie sono lo scrittore in carne e ossa. I suoi eroi, sono Camilleri. Anche questo è un capolavoro. Di più, perché lo è in narrazioni che forse un capolavoro non sono state mai. Se fine dovessero avere le sue storie, se morte dovesse avere il suo Montalbano, queste sarebbero dovute arrivare con la morte del loro creatore. E così è avvenuto, per la gioia e forse per il desiderio dello stesso scrittore. Oggi muoiono insieme Camilleri e Montalbano, ma entrambi vivranno per sempre. Il Commissario più famoso e più simpatico d’Italia, nei libri che leggeranno i nostri figli e quelli che a generazioni li seguiranno. Lui, il vecchio Andrea, per tutto ciò che ha saputo dare al Paese. Quell’Andrea, che io amavo moltissimo, è stato un intellettuale tra i più acuti e profondi che l’Italia abbia mai avuto. Curioso come un bambino voleva conoscere il mondo. Dalla superficie entrarvi dentro. Come un ricercatore scavare nelle rocce e nelle montagne, come un nuotare aprire le acque del mare e andare verso le linee di confine immaginarie, come un sub scendere negli abissi per trovare la luce o l’infinitesima sostanza che ha dato vita e forma all’essere umano. Per scoprire perché l’uomo mai sia riuscito a essere uomo davvero. Oppure, per cogliere quelle spinta antropologica che spinge gli individui a non riconoscersi persona, negandola in tutti gli altri individui; perché nonostante ideologie, religioni e morali, ciascuno abitante questa terra non riconosca nell’altro, fosse anche il più vicino o fratello di sangue, il suo simile. In questa settimana si celebra quella di cinquant’anni fa, che vide l’uomo arrivare sulla luna.
Se fosse ancora in grado di parlare, con quella voce roca e affannosa, come se fuoriuscisse non dal suo petto ma dal dolore inespresso di questa umanità denegata, Camilleri ci direbbe dell’assurdo in cui viviamo. Sentiremmo di certo queste parole che gli impresto, pur indegno e piccolissimo “pensante”quale io sono:” l’uomo ha conquistato la luna, dove non vivrà mai e distrutto la terra dove vive. Non contento, cinquant’anni dopo , spende migliaia di miliardi di dollari per conquistare Marte e, a seguire, chissà quanti altri pianeti. Che stupido! Quattro rocce e mille zolle, quando con meno di questa cifra potrebbe finalmente debellare il cancro e la fame nel mondo. E vivere tutti felici qui.”
Poi avrebbe condito questo pensiero con quel noto sorriso e quella pungente ironia, che fa male agli stupidi e agli incolti, e tanto bene agli intelligenti dotati di un pizzico di residua coscienza umana. In questo tono e in quel pensiero profondo e nel coraggio che li accompagna, c’è tutto il meglio dell’intellettualità europea, quella siciliana. Col pensare vede dove altri non vedono, con l’intuizione precede i tempi, con la lucidità disegna il futuro e offre soluzioni per il presente. Con l’ironia sdrammatizza la realtà oggettiva e carica di fiducia i perdenti, e nel contempo sbeffeggia e umilia i sedicenti forti, i futuri perdenti. Per questo Andrea Camilleri è stato più grande di quanto già non si vedesse. Per questo continuerò ad amarlo. E a “ sentirlo” forte.
Franco Cimino
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