Con la notifica degli avvisi di conclusione delle indagini preliminari (avvenuta lo scorso mese di dicembre) e la fissazione dell’udienza preliminare, il prossimo 6 maggio, nella quale sarà valutato il rinvio a giudizio degli imputati, si è conclusa un’importante fase del procedimento penale avviato nei confronti di quattro esponenti dei vertici della Cassa Risparmio di Bolzano in carica fino al 2014 (Presidente del Consiglio di Amministrazione, Direttore Generale, Responsabile Direzione Crediti e Treasury, Responsabile Direzione Finance & Controlling).
La ricostruzione dei fatti ha condotto alla formulazione di un’accusa ben precisa: i precedenti vertici della Cassa di Risparmio, allo scopo di rimediare a una situazione di grave dissesto e difficoltà finanziaria che l’istituto di credito stava attraversando, hanno ingannato il pubblico dei risparmiatori, nascondendo loro i reali rischi che stavano correndo nell’acquistare azioni della banca. In altre parole, per convincere i risparmiatori a sottoscrivere le azioni della Cassa di Risparmio e finanziare, così, l’aumento di capitale necessario a ripianare le ingenti perdite maturate negli esercizi precedenti (e non esposte in bilancio), sono stati forniti dati falsi, ostentando utili in forte crescita (+79%), in realtà inesistenti, e nascondendo, appunto, le gravi perdite subite.
L’attività ingannevole ha consentito alla banca di “rastrellare” circa 100 milioni di euro, utilizzati per l’aumento del capitale sociale effettuato nel 2012. Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Bolzano, sono state avviate a seguito di segnalazioni pervenute allo stesso ufficio giudiziario dalla Banca d’Italia e dal Centro Tutela Consumatori Utenti. Le successive investigazioni sono state svolte dal Nucleo Comando Provinciale di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Bolzano e dal ROS dei Carabinieri di Trento, con il contributo della stessa Banca d’Italia.
Secondo quanto ricostruito nella fase delle indagini preliminari, la crisi della Cassa di Risparmio, riflessa nella perdita record di 231 milioni di euro, contabilizzata solamente nel 2014, era conosciuta già da alcuni anni ed era pertanto nota ai vertici della banca prima dell’avvio dell’aumento di capitale sociale del 2012. Con riferimento a quest’ultimo esercizio, la perdita ricostruita dagli investigatori è pari ad almeno 50 milioni di euro.
L’ingente perdita è maturata a causa della dissipazione delle risorse della banca in una serie di operazioni di finanziamento prive di merito creditizio, ignorando il parere contrario dei competenti organi tecnici interni, violando elementari regole di sana e prudente gestione bancaria, di norma invece applicate alla generalità dei prodotti e servizi finanziari e, in particolare, ai finanziamenti nei confronti delle famiglie.
Si tratta, innanzitutto, degli stessi finanziamenti di cui gli attuali vertici della banca hanno chiesto conto ai precedenti amministratori, attraverso l’avvio di un’azione di responsabilità, finalizzata ad ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Il contesto che emerge dagli atti delle indagini evidenzia svariati casi limite, per decine di milioni di euro, in cui, ad esempio, sono stati anticipati al debitore, di fatto senza alcuna garanzia, crediti IVA risultati poi collegati a frodi in danno dell’’Erario oppure sono stati accettati in garanzia immobili, stimati a pieno valore di mercato ma successivamente rivelatisi abusivi.
In altri casi, sono stati finanziati lavori edili mai eseguiti, documentati da fatture false, oppure impianti fotovoltaici il cui titolare, a meno di un anno dall’ottenimento del prestito, aveva già manifestato l’intenzione di portare i libri in Tribunale, fino ad arrivare a finanziamenti concessi a imprese che manifestamente non avrebbero mai potuto sostenere il peso degli interessi e restituire il capitale. Un aspetto significativo collegato al reato di truffa contestato ai presunti responsabili è rappresentato dal comportamento tenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio (socio di maggioranza assoluta, al 66%, della Cassa di Risparmio), la quale, nonostante le rosee previsioni circa l’investimento in nuove azioni della banca, ha contenuto al minimo il proprio impegno a supporto dell’operazione di ricapitalizzazione. Allo stesso modo, i vertici
dell’epoca dell’istituto di credito, alcuni con redditi annui pari a diverse centinaia di migliaia di euro, risultano avere sottoscritto azioni di nuova emissione per cifre simboliche o nulle.
Di segno decisamente contrario l’atteggiamento tenuto dalla banca nell’organizzare il collocamento delle azioni. Solo nei confronti dei piccoli risparmiatori, in un mese e mezzo (dal 22 ottobre al 7 dicembre 2012) sono state vendute oltre 270.000 azioni della Cassa di Risparmio, a fronte di volumi di scambio inferiori a 30.000 titoli in tutto il 2011. Ciò avveniva in un periodo, come noto, connotato da turbolenza dei mercati finanziari. Il prezzo delle azioni di nuova emissione è stato fortemente sopravvalutato: a fronte di un prezzo d’emissione di 210 euro, le prime stime interne hanno indicato valori delle azioni inferiori a 120 euro.
Le indagini hanno consentito di constatare che gli impiegati agli sportelli delle filiali sono stati “pressati” dalla dirigenza allo scopo di vendere il maggior numero di azioni di nuova emissione. In alcuni casi, gli acquisti di azioni sono stati conclusi da persone ultraottantenni, con limitate capacità di risparmio e che avevano dichiarato di non voler correre alcun rischio; per tale ragione, il personale che ha curato la vendita ha provveduto alla “riprofilatura” dei clienti (all’insaputa degli stessi), al fine di farli risultare maggiormente propensi al rischio. A tale riguardo, la banca ha sempre classificato le azioni come caratterizzate da un profilo di rischio medio, nonostante le obbligazioni dello stesso istituto (titoli notoriamente meno rischiosi), già a maggio del 2012 erano state declassate dall’agenzia di rating Moody’s a livello di titoli “spazzatura”.
Oltre alla truffa, sono stati contestati agli indagati, a vario titolo, anche i reati di “aggiotaggio bancario” (per aver diffuso notizie false sulla solidità della banca), “ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia” (per aver occultato il reale grado di deterioramento del credito erogato e per aver presentato agli organi di vigilanza documenti falsi atti a nascondere l’assenza di adeguate procedure interne di valutazione dei crediti) e di “falso in prospetto” (per non aver rappresentato in modo adeguato, nel prospetto informativo, le reali condizioni economico patrimoniali della banca).
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