Catanzaro. A tu per tu con il cantautore Salvatore Gullì, al suo esordio discografico

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Il musicista Salvatore Gullì

Si chiama Rotta del tempo (Yara Records), l'esordio discografico di Salvatore Gullì, non l'ennesimo avvocato prestato alla musica ma piuttosto una personalità dalla chiara inclinazione artistica, che ha così confezionato un ottimo biglietto da visita.

  05 luglio 2021 18:33

di VITTORIO PIO

Si chiama Rotta del tempo (Yara Records), l'esordio discografico di Salvatore Gullì, non l'ennesimo avvocato prestato alla musica ma piuttosto una personalità dalla chiara inclinazione artistica, che ha così confezionato un ottimo biglietto da visita. Catanzarese, studioso e cultore di chitarra classica, stimato cassazionista, Gullì ha attinto da un serbatoio di oltre cento canzoni composte negli anni quella che poi è diventata la scaletta dell'album che non poteva più tenere da parte, vista la sua indole di musicista che parte dalla sua adolescenza: Ho avuto la fortuna- ribadisce- di apprendere le basi della chitarra classica dal professore Ferdinando Lomanno, docente al Conservatorio di Vibo Valentia. La forma artistica canzone mi è in effetti congeniale, perché capace di incapsulare preziosi frammenti di tempo, forti emozioni da rivivere, trasportandoli nel tempo presente. Pressato da oltre cento mie canzoni, diveniva inevitabile propormi di realizzare un primo disco, articolato su tredici miei brani, da scegliere nel vasto cantiere dei canti, canzoni che tracciassero, appunto, una rotta nel tempo trascorso.

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Soffermiamoci su ognuna di esse allora...che sensazioni hai avuto la prima volta che ne hai riascoltato l'intera sequenza?

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Il primo pezzo è Argonauti, canzone che prende le mosse dall’urgenza di vivere ispirandosi a valori autentici da perseguire, un invito accorato a soffermarsi in maniera profonda su quanto di positivo e di bello  ci circonda, credendo sempre in se stessi ed affermando il proprio essere più vero.  La seconda tappa del viaggio è rappresentata da Vergine Europa, canzone che riferisce di un’Europa resa “livida”, “spenta”, “lacera” e “desolata”, evenienza che dovrebbe far scaturire la necessità di richiamare l’Europa dei primordi greci, di ripensare un’idea di Europa verginale ed eticamente ispirata, di gridare la volontà di non morire interiormente. Segue poi Canti di Rino, canzone dedicata a Rino Gaetano, metafora-simbolo di una gioventù schietta e vitale cui si chiede un utopistico intervento in un’Italia in difficoltà, per essersi ivi verificata una preoccupante dispersione di virtù: “ dolce rabbia, forza e sogni dentro i canti tuoi” -scrivo nel brano- auspicando che le nuove generazioni possano e debbano “continuare a vivere” sforzandosi di “restare liberi”.  Il quarto brano, Rotta del Tempo, il brano che dà il titolo al disco, è incentrato sull’impossibile desiderio di tornare indietro nel tempo, canzone che attesta un destino dell’uomo, il fatto, cioè, che la maturità e la capacità di vivere e di scegliere consapevolmente crescono nel corso degli anni. In esso, non a  caso,  auspico la compressione del male e della sofferenza, la riscoperta del senso più profondo dell’esistenza.  Nanà è la quinta canzone, nella quale una giovane donna, metafora della bellezza e della libertà, porta durante una breve stagione la luce e la vita nelle contrade del Sud, luce  e vita di cui ogni singolo ha bisogno. Come Charlot  è una canzone in cui la figura del comico partenopeo Massimo Troisi “un artigiano del sorriso” viene accostata a quella di Charlie Chaplin, in un’Italia che ha smarrito la via della razionalità e della verità e perciò bisognosa di ilarità e di ironia.  La settima canzone ha per titolo Folle: essa rappresenta, dapprima, la volontà di sottrarsi alla donna che non si è conquistata per poi riflettere una generale condizione umana di fuga dalla dolorosa passione. “La notte riaffiora” nel destino di ciascuno e ciò non sempre può essere sopportato: l’esito talvolta è la fuga ed il difficile momento è catturato dal canto. Nella canzone Lucrezia, lo scrittore e poeta umanista Bembo ripercorre la sofferta vita rinascimentale di Lucrezia Borgia, figlia di un Papa avvelenato e duchessa d’Este, morta di parto, di cui lo stesso Bembo è stato innamorato, tanto da conservare una sua treccia bionda tuttora custodita in una teca a Milano.  Mia Anima è una sorta di dialogo con la parte più profonda e più vitale di sé, una sorta di ringraziamento ad una componente essenziale di se stesso. La decima canzone, Brigante, descrive una utopica vita di lotta contro la tirannia, vita che comporta una inevitabile rinuncia a vivere con la donna amata. In Dissenso, mi confronto criticamente verso la contemporaneità, “nell’epoca in cui non c’è più Epica”. La penultima canzone è Fiaba, appassionata costruzione di un irreale idillio. Uomo che ride chiude il disco ed è una canzone ispirata dall’omonimo romanzo di Victor Hugo, in cui il giovane Gwynplaine, deformato per avidità dai comprachicos, fuggito dalle loro grinfie, vive in un carro di Tespi insieme ad un eccentrico filosofo ed a Dea, sensibilissima fanciulla cieca, che  incarna l’ideale in grado di lenire le sue sofferenze. A bocce ferme, confesso di essermi emozionato nel riascoltare queste tredici mie canzoni, composte in origine con una semplice chitarra classica o con una Martin acustica, e adesso finalmente al pieno delle loro possibilità espressive. Ho così potuto piacevolmente ripercorrere le sensazioni che mi avevano spinto a comporle e mi auguro di poter rendere possibile anche agli altri miei canti di potersi in futuro estrinsecare.

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La sensazione che ne ho ricavato è quella di un grande focus sull'essenzialità, una riflessione sul fuggire dalle cose inutili....

Si tratta di un lavoro che ha diverse opzioni interpretative, perchè vissuto e profondamene interiorizzato. Quello che cerco di fare quando compongo, è di scavare quanto più possibile dentro me stesso: ne discendono quindi suggestioni, sollecitazioni, riverberi emotivi, moti dell’animo che si slanciano nella piatta realtà con il proposito di coglierne gli aspetti più vivificanti, più degni di essere vissuti. Penso che, durante la vita, la ricerca di un percorso non superficiale sia un obbiettivo che ciascun singolo dovrebbe sempre proporsi. Troppi artifici, troppi fini consumistici, edonistici, circondano invece la nostra esistenza, finendo per offuscare ciò che più vale, ciò che ci aiuterebbe a vivere meglio. 

In studio hai giovato dell'esperienza a tutto campo di Lucio Ranieri, con chi hai condiviso invece la parte musicale?

Ho avuto la fortuna di circondarmi di musicisti professionisti molto bravi, il pianista Maurizio De Paola, misurato e sensibile, il coscienzioso contrabbassista Filippo Scicchitano, il rigoroso batterista Attilio Montalto. Ho potuto apprezzare la vena improvvisativa del trombettista jazz Rocco Riccelli (con cui ho realizzato vari concerti di mie canzoni), la poliedricità del chitarrista Ciccio Vescio. Mi ha colpito la magistrale capacità direttiva degli altri musicisti da parte di Lucio Ranieri, pianista e tecnico del suono, direttore del coro di voci, il quale ha anche direttamente e personalmente impreziosito la session di registrazione con svariati interventi sui brani. Non poteva che essere presente alla realizzazione di questo disco anche la pianista e clavicembalista Rosanna Rizzello, con cui ho numerose volte presentato, dal vivo, le mie canzoni, in veste di sensibile voce nel coro, insieme all’appassionata cantante Celeste Iiritano.

A proposito di tempo, come hai trascorso quello alle spalle di forzata cattività?

La situazione è stata difficile, intanto perchè si è purtroppo verificata una rarefazione di contatti sociali,  così che la solitudine e la sfiducia fra le persone si sono accentuati. Personalmente, la mia passione per la vorace lettura di saggi di filosofia mi ha fatto resistere sopportando gli effetti negativi della pandemia. Mi rammarica, ovviamente, il non aver potuto ancora presentare il disco dal vivo.

Come ti sei formato musicalmente e quali sono stati i tuoi principali riferimenti stilistici?

Fin da subito ho cercato di  indirizzare la mia espressività artistica al concepimento della forma-canzone, giovandomi dell’apprendimento delle basi della chitarra classica da parte del Maestro Lomanno. Anche il professore di canto Infuso comprese precocemente la mia espressività vocale. Negli anni, naturalmente, ho ascoltato moltissima musica, di vario genere, partendo dalla classica con le pagine supreme di Bach e Beethoven e jazz (fra tutti, Bill Evans). Ho apprezzato gli artigiani della canzone pop come Lucio Battisti, Paolo Morelli, Gianni Bella, Roby Facchinetti, Rino Gaetano, Renzo Zenobi, Riccardo Cocciante o della canzone d’autore (fra gli altri, Francesco De Gregori, Francesco Guccini, Pierangelo Bertoli, Ivano Fossati). In questo mio album ho mirato ad offrire all’ascoltatore una varietà ritmica e stilistica, passando dal country al jazz, ma senza dimenticare ciò che devo al suono più tradizionale e classico.

C'è un disco fondamentale per comprendere la radice della tua ispirazione?

Tutta la musica per pianoforte dei grandi classici è per me fonte di continua ispirazione. Con riferimento ai musicisti moderni, non ho particolari preferenze. Mi suggestiona  tutta la discografia delle Orme, oppure quella di Alberto Fortis ,o quella di Pino Daniele. Stimo Enrico Ruggeri e Francesco Sarcina delle Vibrazioni.  Mi inorgoglisce pensare alla intramontabile tradizione napoletana di musicisti autori di canzoni, fra tutti penso a Domenico Cimarosa. Fra gli stranieri invece, è assodata la mia ammirazione per il cantautore Jackson Browne.

Ti consideri maggiormente un cantautore, un ricercatore di musica o altro? 

Mi sento entrambe le cose, sia un cantautore, sia un ricercatore di musica. Continuo ad ascoltare musica classica e musica jazz, continuo ad esplorare, inappagato, l’universo della conoscenza armonica. E’, in effetti, come si sa, infinito il campo della conoscenza musicale, sono inoltre infinite le emozioni e le sollecitazioni etiche che mi hanno portato a comporre oltre cento canti, mediante i quali una parte di me si è prefissa di dialogare con persone e con vicende umane degne di essere oggetto di attenzione artistica. Etica e musica, a mio avviso, devono sempre muoversi all’unisono. Se ciò avviene, si può domare l’inquietudine - ineliminabile - e si può, anche per un tempo breve, raggiungere un benessere interiore da offrire agli ascoltatori.  Credo che anche il talento per la recitazione, oltre che la giovanile passione per la letteratura, abbiano contribuito a rendermi quello che sono.

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