Catanzaro, al Festival d’Autunno risate e riflessioni con “Picchiamoci” e la satira feroce di Arianna Porcelli Safonov

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images Catanzaro, al Festival d’Autunno risate e riflessioni con “Picchiamoci” e la satira feroce di Arianna Porcelli Safonov


  27 ottobre 2025 11:59

 

Un atto di coraggio in cui la satira feroce smaschera le ipocrisie del contemporaneo, trasformando la risata in uno specchio scomodo e catartico. Nell’intenso week end del Festival d’Autunno, fondato e diretto da Antonietta Santacroce, che chiude al MARCA di Catanzaro le tradizionali “Domeniche al Museo”Arianna Porcelli Safonov ha presentato “Picchiamoci”, un monologo che alterna, tutto d’un fiato, comicità e pensiero, leggerezza e ferocia.

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Prima dello spettacolo, l'importanza della scelta del luogo è stata sottolineata dal presidente della Provincia di Catanzaro e del Museo, Amedeo Mormile«Questi luoghi sono a disposizione di chi riesce a realizzare questi percorsi culturali così importanti. Questa è una serata particolare, molto bella, credo che abbiate voglia di ascoltare immediatamente l'artista quindi grazie a voi per considerare il MARCA perché il Museo vive lentamente un momento di rilancio e sicuramente voi in questo percorso ci date una mano».

La scena, è quella della stand-up comedy: soltanto un leggìo distanzia Arianna Porcelli Safonov dal pubblico. Il suo microfono, dalla spugna non casualmente “rosa shocking”, è l’unico strumento in una scena illuminata da colori vivaci, a gradiente variabile. Con la sua pungente ironia è evidente la sua voglia di trovare, nel caos del dibattito contemporaneo, un punto d’incontro tra ironia e verità.

Lo spettacolo, infatti, non si limita a divertire: smuove qualcosa, costringe alla risata amara, a scavarsi dentro. La satira, nelle mani della Porcelli, diventa uno strumento per attraversare le ipocrisie della modernità con un’ironia illuminante.

Violenza e onestà del conflitto

Tra un aneddoto e una risata fragorosa suscitata nel pubblico, l’artista trasforma la violenza in oggetto della sua performance: non soltanto violenza fisica, ma psicologica, verbale, quotidiana. Parla di quella che abita le relazioni, i social network, le famiglie, le ideologie. Come nel suo celebre racconto del Takanakuy, l’antico rituale peruviano in cui i conflitti si risolvono a colpi di pugni per poi tornare in pace, suggerisce che forse dovremmo reimparare a “litigare bene”, a liberarci con onestà delle tensioni che fingiamo di non avere.

«Siamo davvero così evoluti?» Da questa domanda, pronunciata con tono disarmante, prende le mosse la sua intera riflessione. Con voce precisa e ritmo incalzante, l’autrice smonta uno dopo l’altro i dogmi dell’epoca post-progressista: gioca sull’assurdo per illuminare ipocrisie reali — dalla glorificazione formale dell’inclusione alla realtà quotidiana di disuguaglianze e stereotipi che restano radicati.

L’elenco parodico che segue — dalle infrastrutture italiane alla moto da cross, dal compasso al porno, fino al sushi a domicilio — è un catalogo tragicomico del mondo che abbiamo costruito. La Safonov mette così in fila i simboli di una modernità che ha perso misura, e lo fa con una voce che unisce denuncia e gioco, rabbia e comicità. Il pubblico ride, ma la risata arriva come uno specchio: deformante e rivelatore.

Linguaggio, satira e il Fronte Femminino

Nel monologo, il linguaggio diventa protagonista. Porcelli Safonov gioca con le parole con ironia tagliente, e il discorso non può non ricadere sul genere grammaticale delle parole — argomento attuale e molto dibattuto. Usare sostantivi e aggettivi al femminile, ripensare i generi del discorso può davvero essere un atto di trasformazione politica e culturale? Il modo in cui nominiamo il mondo può davvero decidere chi esiste davvero in quel mondo? In uno dei passaggi più corrosivi e teatrali, racconta la nascita di un immaginario movimento, il “Fronte Femminino”: una parodia dell’attivismo militante, una caricatura delle derive dogmatiche anche dei movimenti più giusti.

Il tono qui diventa grottesco, volutamente eccessivo, fino a sfiorare la farsa. Ma l’intento è chiarissimo: mostrare come la rabbia, quando si istituzionalizza, rischi di trasformarsi nel suo opposto.

Il “fronte” diventa così metafora di un mondo in cui la violenza cambia solo bersaglio, ma non natura. Arianna Porcelli Safonov non giustifica né condanna: osserva, amplifica, ridicolizza per far emergere l’assurdo e l’umano che convivono nei nostri comportamenti collettivi.

La memoria e la trasformazione della violenza

Accanto alla satira, affiora la memoria. È il momento in cui rievoca il suo personale Takanakuy domestico, un piccolo rituale d’infanzia, ironicamente chiamato “Cappottone”: litigi casalinghi che, tra fratelli, servivano a far pace. Con questo ricordo, la violenza si trasforma in linguaggio d’amore imperfetto, in una forma di comunicazione che precede le parole. È forse in questo gesto che risiede il cuore segreto del monologo: nella possibilità di riconoscere la nostra aggressività e trasformarla in onestà, in relazione, in consapevolezza.

Il matrimonio: contratto, clausole e la Sindrome del Geranio

Esilarante e, al tempo stesso, riflessivo quando si sofferma sull’utilità attuale del matrimonio. Arianna Porcelli Safonov abbandona per un attimo la guerra delle generalizzazioni per rivolgersi al più intimo e universale dei dispositivi sociali, convinta che questo istituto, così come è praticato oggi, contenga al suo interno contraddizioni che sfiorano il comico e il tragico.

Rovescia il registro convenzionale quando afferma che il matrimonio non è solo un voto d’amore, ma un contratto con clausole spesso non lette, una “operazione preterintenzionale” che vincola due individui in modalità prolungata. Nella sua ironia si sente la domanda — amara e pragmatica — che molti non osano pronunciare: «Perché ci sposiamo ancora? Per tradizione, per fede, o per pura convenienza?». E la risposta proposta dallo spettacolo sferra un colpo basso alla retorica delle buone ragioni: ci si sposa per la barca, per la crociera, perché i genitori vogliono nipoti, perché la calendarizzazione sociale ti sommerge di inviti e alla fine ti ritrovi sola la domenica a domandarti cosa sia successo.

Porcelli Safonov smonta anche l’ipocrisia della scelta: spesso non ci si sposa per amore autentico ma per motivi pragmatici: la fotografia della festa, la buona genetica, il pacchetto viaggio da consumare. E così la satira punta il dito anche sull’industria del matrimonio, su riti che somigliano a spettacoli itineranti dove il senso viene sostituito dal consumo.

La scena si fa didascalica quando cita, in tono parodico, gli articoli del codice civile: l’Art. 143 e l’Art. 144 diventano strumenti di comicità. «Fedeltà, assistenza morale, collaborazione» — commenta — «chi accetterebbe un lavoro non retribuito con queste incombenze?» È una battuta che punta al centro di un problema reale: l’asimmetria delle responsabilità domestiche, la negletta attenzione alla dimensione materiale del vivere in coppia, la sottovalutazione degli aspetti contrattuali che regolano affetti e convivenza.

Forse la parte più efficace e memorabile del segmento matrimoniale è la metafora della “sindrome del geranio”. L’autrice descrive con ironia nera il processo per cui un individuo — dopo anni di adattamento e rinunce — perde la propria energia, la capacità di desiderare, fino a vegetare in una condizione di esistenza civile ma priva di soggetto. La figura del geranio non è pensata come un insulto: è immagine plastica di una decadenza dell’anima domestica, di come certe relazioni possano anestetizzare la soggettività.

La descrizione è comica nel registro verbale, ma struggente nella sostanza: si immagina l’uomo o la donna che, una volta entusiasti, diventano spettatori di una vita organizzata dal “noi” al prezzo del sacrificio del “io”. Le piccole morti quotidiane — rinunciare ai propri gusti, conformarsi a scelte che non sono mai state negoziate, assistere alla propria sparizione in pile di burocrazia affettiva — diventano carne narrativa, e il riso che scatena è dolente.

Con gusto teatrale, suggerisce che più che promesse romantiche bisognerebbe leggere meglio le clausole. La scena ironizza sulle bomboniere, sul tavolo dei single e sul dj set come se fossero elementi decisivi di un patto che non è stato negoziato: una critica all’illusione che una festa attesti una scelta definitiva. La satira propone persino ipotesi paradossali — il matrimonio come Co.co.co rinnovabile, la pensione dal matrimonio — per evidenziare l’assurdità di un istituto che chiede impegni a tempo indeterminato senza percorsi di controllo, revisione o fuga onorevole.

La funzione originale dell’ironia

La voce della Porcelli Safonov non è un mattone gettato contro l’amore. Al contrario, il suo sguardo smaschera come alcuni meccanismi sociali storpino i sentimenti. Portando in scena la precarietà affettiva e la burocrazia dei rapporti, l’autrice difende implicitamente la possibilità di forme di cura più libere e consapevoli. Il suo sarcasmo diventa così strumento di tutela: mettere in luce ciò che distrugge l’amore, per poterlo forse preservare.

“Picchiamoci” non è una semplice prova di comicità, ma una esperienza catartica. Richiede allo spettatore di restare, di sopportare il disagio, di accettare che la risata possa anche ferire. L’intero monologo non offre soluzioni sbrigative: preferisce porre domande, spingere a interrogarsi su ciò che chiamiamo civiltà, empatia, giustizia.

In un tempo in cui l’ironia viene spesso sterilizzata, lei la restituisce alla sua funzione originaria: quella di strumento critico, di lente che deforma per farci vedere meglio. Tra invettiva e poesia, tra parodia e confessione, “Picchiamoci” è uno specchio incrinato nel quale siamo chiamati a riconoscerci, con le nostre contraddizioni e le nostre risate colpevoli.

Al termine della performance intensa e travolgente, il pubblico del Museo MARCA, profondamente colpito e liberato da un’ora di riflessione esilarante, ha tributato ad Arianna Porcelli Safonov un lungo, caloroso e meritatissimo applauso, sancendo il successo di un evento che ha saputo unire arte, cultura e intelligenza comica.

Finale con il botto al Festival d’Autunno

Le risate e le riflessioni suscitate con “Picchiamoci”, straordinario momento centrale di questa edizione, è stata la premessa perfetta per il gran finale della XXII edizione del Festival d’Autunno. La rassegna prepara la conclusione con un tris di eventi imperdibili, tutti in scena al Teatro Politeama di Catanzaro. Non sarà un addio, ma l’apoteosi della grande arte performativa. Si inizia il 30 ottobre con il musical più amato della storia: “I Tre Moschettieri”, che vede sul palco tre colonne portanti come Giò Di Tonno, Vittorio Matteucci e Graziano Galatone. Un concentrato di potenza vocale e teatrale, pronto a far rivivere l’epopea di D’Artagnan e i suoi compagni con l’energia di un cast eccezionale. Il 1° novembre, l’atmosfera si fa sublime e drammatica con la tragedia shakespeariana per eccellenza: “Romeo e Giulietta”. Un classico che rinasce grazie al Balletto del Sud e alle evocative coreografie di Fredy Franzutti, capaci di trasformare la storia d’amore più celebre del mondo in un’esperienza visiva indimenticabile. A calare definitivamente il sipario, il 3 novembre, sarà l’irresistibile ironia toscana di Giorgio Panariello con il suo attesissimo show, “E se domani...” Un monologo esilarante e malinconico, che spazierà tra i suoi personaggi storici e una comicità che sa pungere e, allo stesso tempo, far riflettere sulla società. Tre generi, tre maestri, tre serate che promettono di trasformare il Teatro Politeama nel cuore pulsante dell’arte, concludendo il Festival d’Autunno con la stessa energia e profondità con cui si è aperto.

I biglietti degli spettacoli sono disponibili presso la segreteria, sita in Via Jannoni a Catanzaro (di fronte al Teatro Politeama), sul sito www.festivaldautunno.com, su TicketOne e direttamente sul luogo dell’evento la sera dello spettacolo. Per ulteriori informazioni contattare il 351.7976071 o scrivere a segreteria@festivaldautunno.com.

Il Festival d’Autunno si avvale per la sua XXII edizione della preziosa collaborazione e del sostegno di importanti enti istituzionali come Regione Calabria - Calabria Straordinaria, Comune di Catanzaro, Camera di Commercio e Fondazione CARICAL.

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