Fotografa, danzatrice, performer ed esploratrice, la giovane artista catanzarese ha condensato nel collettivo Maathu Womb tutta la sua pulsione verso l'armonia e la presenza.
02 luglio 2021 11:45di VITTORIO PIO
Non è semplice imbrigliare il talento di Sharon Lomanno. Piuttosto bisogna seguirne la scia. Fotografa, danzatrice, performer ed esploratrice, la giovane artista catanzarese ha condensato nel collettivo Maathu Womb tutta la sua pulsione verso l'armonia e la presenza.
Ce ne ha parlato a cuore aperto riavvolgendo il nastro dei ricordi: “Ho iniziato da bimba-esordisce. avevo l’età di mia figlia quando i miei nonni Andrea Guerzoni e Giuseppe Lomanno mi iniziarono ad percorso spirituale trincerato dietro alla resilienza dell’arte. Erano vite diverse le loro, affrontate con grande sacrificio. Li ho molto amati ed ammirati ed ho cercato di assorbire il più possibile dal loro silenzio e concentrazione. Porto con orgoglio i loro nomi. Ho iniziato abbastanza presto con la musica, probabilmente già a 3 anni, ma smisi di nutrirne l’entusiasmo qualche tempo dopo. In realtà avevo paura di sbagliare, la mia famiglia è composta da musicisti classici, sentivo la pressione, al punto che inizialmente le mie scelte scolastiche vertevano su scienze e matematica. Mi appassionai a figure come Pitagora, Nietzsche, Wagner, Beethoven, Einstein, Newton, poi concluso il liceo, scelsi Roma come partenza di una nuova vita libera dagli schemi che imbrigliavano la mia più intima personalità. Durante il percorso di Comunicazione scelsi di approfondire Semiotica del Cinema, quello fu un momento fondamentale: in me si accese un legame profondo con la lettura dei segni dietro la percezione ordinaria. Dopo la Laurea iniziai a collaborare con Francesco Ciccone, un direttore della fotografia molto stimato. Ogni giorno sui set l’adrenalina montava, il trovare soluzioni immediatamente, posizionare la giusta luce e occuparmi della produzione, mi portarono a scoprire naturalmente la bellezza della fotografia a tutto tondo. Così iniziai a scattare foto e a fare tesoro degli insegnamenti di quel direttore creativo, così disponibile e generoso. Ebbi anche una chance per iniziare un altro tipo di percorso nella moda, ma alla fine optai per uno stage presso un'agenzia di fotoreportage più consona alle mie inclinazioni. L'agenzia era diretta da Corrado Maria Falsini e quindi mi trovai costantemente immersa nel mondo di personaggi del calibro di Franzo Zeffirelli, Carla Fracci, Roberto Bolle, Chemical Brothers, Yann Tiersen, etc. L’esperienza fu unica ed inserendomi nello staff iniziai a proporre collaborazioni di rilievo.
Arditamente avevi pensato che sarebbe stato possibile vivere solo di fotografia..
"Forse non del tutto, anche se cominciarono a crollare delle illusioni limitanti: un profondo senso di ricerca mi spinse ad andare oltre. Vinsi una borsa di studio per una masterclass di reportage avanzato ove conobbi Joan Guerrero, che divenne il mio padrino artistico. Una figura che tutt’ora mi accompagna. Lì Incontrai fotografi di tutto il mondo, ma un giorno conobbi Oriol Maspons che mi fece intravedere tutt'altra prospettiva. Non c'era solo la visione della fotografia limitata al reportage, ma piuttosto la possibilità di essere autentica attraverso l’arte. Il suo legame con Salvador Dalì ed Elsa Peretti mi rese consapevole dell’importanza di fare parte di un gruppo creativo, capace di lavorare su più fronti, oltre alla necessità di nutrirmi ed evolvermi, con l'obiettivo di formare un mio collettivo. Fu un’epoca ricca di insegnamenti , pubblicai per varie riviste tra cui Harper's Bazaar e ricevetti anche una proposta da capogiro, ma dentro sentivo che il mio cammino ideale non era quello, cosi lasciai tutto e iniziai a cercare una via alternativa: qualcosa che mi riempisse l’anima, che mi riconducesse alla radice, alla sorgente".
E qui inizia la storia di Maathu Womb...
"Era il 2012. Conobbi Susana Isunza, artista superlativa, coreografa, ballerina. Una tessitrice di sogni che veniva dal Messico ci propose un metodo sperimentale, definito Alquimia della Danza: accettammo in cinquanta ma arrivammo alla fine dell’anno giusto in tre. Alla gente sembrava duro quando invece a me sembrava un sogno. Avevo contatto con i miei ancestri ed i miei sogni dimenticati, ma anche con il suono che avevo sotterrato. La danza, l’avevo messa da parte a 5 anni per problemi di salute. Con la chitarra o la macchina fotografica possiamo mentire, ma con la voce e il corpo in movimento non possiamo nascondere nulla. Ci obbligano all’autenticità e ad un cammino di semplicità e umiltà, ad un cammino spirituale di cura del femminile. Mi sono guardata dentro e ho visto quanto il mio essere fosse alterato, gonfiato, reso diverso dal reale, avevo la sensazione di vivere nel desiderio di qualcun altro".
Eri immersa in una corsa frenetica, probabilmente con degli obiettivi fittizi...
"Con quella nuova consapevolezza cercai di abbandonare le mie zone di comfort, cambiando le miei abitudini alimentari e le compagnie che frequentavo, concentrandomi invece in quello che mi nutriva di una vita e di un’energia più sottile, leggera quasi capace di riconciliarmi con l’innocenza dell'infanzia. Grazie al lavoro e allo sforzo di Susana, imparai che non ci sono limiti alla volontà e alla forza di un gruppo che lavora insieme, che il corpo e la danza hanno una conoscenza millenaria, connessa al suono primario capace di sanare e rinforzare il corpo. Fu l’inizio di una scoperta: l'anno dopo presi ad allenarmi con Ayako Zushi e Myrna Renaud, che con un solo sguardo smontarono tutto l’ego, la superbia e la presunzione: mi insegnarono la modestia e dentro di me cominciò a fluire un amore infinito, mai avvertito prima".
Hai preparato il terreno per la tua epifania artistica...
"Poco dopo, mentre lavoravo ad un documentario sui clandestini a Barcellona, rimasi sorpresa dalle vibrazioni di pace che emanavano alcuni ragazzi, in cui tutto, a partire dall' abbigliamento risuonava in me familiare. Colori patchwork e canti Sufi, armonia, stabilità, saggezza e consapevolezza provenivano comunque dai loro sguardi, nonostante la durezza delle condizioni abitative. Una sera ci fu la performance di un Griot: l'emozione fu così grande da provocare una sorta di trasporto verso un altro mondo, una dimensione salvifica e guaritrice. Lì toccai con mano l’enorme potere di una spiritualità millenaria in congiunzione al suono. Per finire il documentario (ancora in edizione, il trailer si chiama “ El codigo Negro”), mi recai in Senegal. Maathu Womb rappresenta il grembo dei semi che nei diversi anni e nelle diverse lezioni di vita ho piantato in me. Una comprensione dei diversi stati del mentale e dell’anima mi ha portato a discernere chi vive in inferni benché immerso nel lusso materiale e chi vive il paradiso nonostante le difficoltà della dimensione materiale. Fu una scoperta sorprendente ma non è certo una formula matematica, perchè dipende sempre dal lavoro interiore e dalle relazioni esteriori che si è capaci di coltivare".
Si dice sempre che l'impatto con l'Africa sia travolgente, specie per un occidentale: per te che tipo di esperienza è stata?
"In Senegal collaboravo all’inizio con una ONG, poi occupai il ruolo di vicedirettore di un’agenzia pubblicitaria. I contrasti mi diedero una scossa: nelle strade di Dakar non vi era un bene e un male, piuttosto tutto era fuso e mescolato. Non potevo strappare una parte senza che l’altra non ne venisse alterata. Ho avuto un risveglio: mi accorsi di quante bugie avevo masticato in Europa, falsi miti, paure psicotiche, coscienze basse mediocri e ignoranti di un sapere più profondo e basato sulla fiducia alla Vita, al Divino, all’amore e alla solidarietà. Lì finalmente ebbi lo spazio fisico e mentale per concepire una bimba a cui ora dedico tutto il mio progredire, in quanto è stato il motore e la liason con l’Italia. Un mese prima di partorire sono tornata in Italia, o meglio sono tornato in Calabria".
Un altro impatto con una realtà non propriamente facile...
"Il mondo che mi circondava mi apparve ben lontano da ciò che vivevo nell’interiore, di colpo a Catanzaro mi trovai in un film pieno di trappole e superstizioni, come se il terzo mondo fosse qui e non lì. Le persone si nutrivano di pregiudizi e false credenze. Per qualche tempo mi sono sentita un pesce fuori dall’acqua, non fui capace di sentire risonanza con quasi nulla. Un buon re-incontro però è stato quello con Emanuela Bianchi, con cui poi diressi il trailer del suo spettacolo “La Magara”. Rimasi colpita dalla sua forza, dalla costanza e dalla sua tenacia. Ma il richiamo per l'estero era ancora forte e così me ne andai di nuovo dall’Italia per girare “Lapsus” a Barcellona, una metafora tra la montagna e la donna come terra di pace: il corto fu selezionato per 16 festival internazionali, con ben 3 affermazioni oltre ad altri riconoscimenti. Da noi però non ebbe molta accoglienza e per me era arrivato il momento di cambiare ancora scenario, così ho passato un anno e mezzo in Francia nella città di Toulouse, sola con mia figlia, attraversando le difficoltà molteplici del ruolo di artista indipendente, madre single e italiana, ma con altri felici incontri artistici: Joby Smith, Theo Lowe e la James Carles Accademie fra gli altri. In Francia ho accumulato altre esperienze, filmando modi di vita diversi e coltivare il gospel, il work songs, il blues, la danza e viaggiare molto con il coro Gospel di Emmanuel Djob. Imparai la problem solving francese, la solidarietà tra mamme, gli spazi in comune, la poesia e la recitazione, dove iniziai a recitare, a respirare correttamente. Fra una difficoltà e un’altra a lasciarmi accompagnare ad aprirmi al ricevere e aver fiducia in me compiendo il mio sogno senza lasciarmi impaurire".
Ed invece la Calabria quando si riaffacciò nella tua vita?
"Subito dopo per motivi inerenti vita privata e qualche problemino di salute. Era passato un 1 anno e mezzo da quell'ultimo trasferimento. In quel preciso istante ebbi una rivelazione: rallentare, silenziare, cambiare i significanti e i significati dell’essere Calabrese. Riabbracciare la famiglia e creare un aiuto circolare. Iniziai a collaborare artisticamente con mio padre e le mie sorelle nel progetto Hesu Guitar Quintet. Ci esibimmo un paio di volte con un risultato emozionante: evidentemente mancava un lavoro profondo di introspezione, curiosità, allegrie e collaborazioni grate".
Una storia che si è evoluta naturalmente nel connettere insieme vita e arte....
"Ora la mia poesia è rappresentata dalla realtà, ovvero la tessitura del mio sogno. Qui non vi è nient’altro. Uno spazio bianco dove decidere come leggere, cosa osservare e ascoltare. Sono abbastanza abile a rispondere alla vita nel modo in cui lei, cosi bella ed elegante, generosa e comprensiva, mi regala e concede a questo vivere una prosperità da condividere e rendere tangibile. Cosi Maathu Womb sta divenendo non solo un album ma una piattaforma associativa, un contenitore di poesia, musica, film, fotografie, oltre alle varie forme di arte e di autodisciplina che portano alla coesione di una medicina dell’anima".
Quali sono i tuoi desideri adesso?
"Le mie ambizioni partono esattamente da qui, ovvero dalle mie radici: ho avuto la possibilità di esplorare e quindi riscoprire il ricco territorio calabrese grazie a numerosi viaggi e luoghi segreti praticando nuove forme, o antiche di suono vocale e percussivo. Sto assimilando la cultura Wiwa Kogi, che mi insegna a ripulire riordinare il mio mindset, e i cerchi di donna mi stanno immergendo in una nuova Calabria, pronta ad aprirsi a superarsi e a rinascere evoluta. Sto riscoprendo la nostra storia, origini e forze che stanno ispirando il mio album comunque eclettico e ibridizzato dal fatto che la mia vita sia un Ndiaxas, come direbbero gli Wolof, ossia un patchwork di forme e contenuti diversi, come uno specchio che si sta ricomponendo grazie all’apertura e alla rivalutazione dei talenti territoriali e delle qualità immense che se canalizzate in positivo ci porterebbero in cima al mondo in quanto la storia ci ha già insegnato che è possibile".
Hai anche realizzato un video clip a supporto..
"Lo considero una sintesi di questo percorso. Una magia intercorsa fra me ed il musicista Enno Kremser, accaduta nel Luglio 2019 in quanto collaboratori di video-danza e amici: con lui abbiamo prodotto le prime 6 canzoni di questo mio album non ancora non distribuito. L’incontro con Carlo Sestito mi ha poi ispirata per girare un video, ma non nella forma del videoclip standard ma unendo la Poesia Visiva, i suoni primari e il mandala che mi accompagna da anni. Il testo della canzone l’ho scritto perché non vi era un altro modo per raccontare le mie esperienze, ciò che veramente ho vissuto sulla mia pelle. Rappresenta anche un omaggio a Cheikh Moussa Cisse, autorevole maestro Sufi, ma anche alla Madre Divina e al Senegal. Tutto questo ha posto le basi per il mio nuovo, gratificante mindset, per cui sono grata alle sorprese, agli spazi vuoti ai silenzi alle condivisioni e alle allegrie. Grata di continuare a camminare, imparare, discernere e danzare i suoni della vita".
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