Anche la Procura generale ha concluso per la fondatezza del ricorso per manifesto error in iudicando condividendo la tesi dell'avvocato del foro di Catanzaro Mario D'Elia
10 luglio 2024 12:39di STEFANIA PAPALEO
Ci sono voluti oltre vent'anni, ma alla fine per la famiglia di un giovane di 27 anni deceduto a Catanzaro il 2 maggio del 2003 per un presunto "errore medico" si apre uno spiraglio. Non in sede penale, dove la giustizia lumaca ha portato all'estinzione del reato per un ex sanitario dell'ospedale "Pugliese" accusato di omicidio colposo per aver diagnosticato al paziente una "faringo tracheite" invece di "dissecazione dell'aorta di tipo A", da cui era invece affetto ormai da giorni e che lo ha poi portato alla morte. Ma in sede civile, si, con la decisione assunta dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione di ordinare un nuovo processo davanti alla Corte d'Appello di Catanzaro, con una diversa composizione di giudici e in udienza pubblica, al fine di rivalutare la drammatica vicenda e nuovamente esaminare l’appello degli eredi della vittima, procedendo alla corretta ricostruzione degli accadimenti e alla conseguente collocazione temporale del presunto errore medico, con una nuova ponderazione di tutti gli esiti istruttori, comprese le risultanze della CTU, "avendo cura - scrivono i Supremi giudici nella loro sentenza - di ben individuare, e opportunamente distinguere, i concetti di “chance di sopravvivenza” e di “rischio di mortalità”, avuto riguardo al decorso cronologico dell’ingravescenza della patologia, così come declinato nelle relazioni di CTU e secondo il proprio prudente apprezzamento".
In pratica, la Corte di Cassazione, presieduta da Franco De Stefano, ha condiviso e accolto il dettagliato ricorso proposto dall'avvocato del foro di Catanzaro Mario D'Elia nel quale ha demolito, passo dopo passo, la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Catanzaro il 13 giugno 2020, incentrando il fulcro della sua tesi sulla "chance di sopravvivenza" rispetto alla quale ha messo in discussione la “non serietà e apprezzabilità” ravvisata dai giudici di secondo grado solo per aver collocato in una data errata la svista del medico finito "sotto accusa". Ed ecco spiegato perchè.
La ricostruzione certosina in fatto e in diritto posta in essere dal legale catanzarese, pur dovendo muoversi all'interno dei rigidi canoni previsti dall'art. 360 c.p.c., ha fatto breccia nel processo valutativo della terza sezione civile della Suprema Corte (la terza sezione è quella specializzata nelle ipotesi di responsabilità medica), che ha accolto la tesi di un evidente error in iudicando commesso dalla Corte territoriale di Catanzaro, così aprendo, in via eccezionale, a un tipo di censura che, unitamente ai profili di legittimità, ha inteso lambire anche quelli di merito stante la manifesta illogicità del ragionamento condotto dal giudice di secondo grado. Lo stesso procuratore generale della Corte di Cassazione Mario Fresa, nella pubblica udienza dello scorso 9 aprile, ha esplicitamente fatto proprie le argomentazioni del legale catanzarese concludendo per la fondatezza del ricorso per manifesto error in iudicando, circostanza che, successivamente, ha visto convenire anche il collegio giudicante.
Nello specifico, il legale ha ricostruito l'iter sanitario iniziato il 24 aprile 2003 con la visita dal medico curante che, per l’insorgere di tosse, dispnea, vomito, ma soprattutto di un forte dolore in sede toracica, con irradiazione al dorso, regione scapolare, e al collo, tratta il paziente con un diuretico e con alcuni analgesici e decontratturanti, ritenendo il dolore di natura osteo-muscolare. Terapia che allieva il dolore ma non la tosse, insistente e fastidiosa, con un rialzo febbrile dopo un paio di giorni. Nuova visita il 28 aprile 2003 dal medico che questa volta sollecita accertamenti cardiologici e pneumologici, contattando a tal fine lo pneumologo del "Pugliese" con cui concorda un appuntamento per il giorno successivo, ovvero per il 29 aprile, data in cui si dispone il ricovero in day hospital, con la diagnosi di ingresso di bronchite cronica. Non compare invece la toracoalgia, né l’aumento di peso di 4 kg in una giornata, né il vomito e la nausea, ma solo la tosse, secca, senza espettorato, con evidente dispnea.
Le condizioni generali del paziente vengono descritte buone nell’esame obiettivo dello pneumologo, come ‘discrete’ in quello del cardiologo. Salvo da una serie di successivi esami clinici, tra cui l’emogasanalisi, emergere un lieve stato ipossemico, un elettrocardiogramma, nella norma, degli esami di laboratorio, con leggera alterazione dei valori epatici, una spirometria, che denota una ‘discreta insufficienza ventilatoria di tipo restrittivo’. Il referto cardiologico, a quel punto, consiglia ‘ricovero in ambiente medico, con esecuzione di un ecocardiogramma rx torace, che riscontra un ingrandimento in toto dell’ombra cardiaca con ‘tenue velatura del seno costo frenico a dx: nulla a sx’. Tutti gli accertamenti vengono svolti nella stessa giornata del 29 aprile e, nell’attesa degli esiti, lo pneumologo al giorno dopo per valutare la situazione alla luce dell’esito che sarebbe stato fornito dai vari reparti interessati. Il giorno successivo, 30 aprile 2003, non si sa se nella presenza o nell’assenza del referto radiologico, lo pneumologo pone la diagnosi di faringotracheite, dispone la relativa terapia, e dispone di rivedere il paziente a venti giorni per ripetere gli esami respiratori, con una ‘dimissione interlocutoria’ in data 30 aprile 2003. Dimissioni e diagnosi fatali per il giovane che, nel pomeriggio del 2 maggio, viene trovato morto nella sua abitazione. La causa accertata attraverso l’autopsia è la dissecazione dell’aorta ascendente di tipo A.
Da qui l'incriminazione dello pneumologo da parte della Procura di Catanzaro e l'avvio della richiesta di risarcimento danni in sede civile, rigettata dalla Corte d'Appello con la sentenza impugnata dall'avvocato Mario D'Elia che, con grande perizia, è riuscito a dimostrare l'errore in cui sono incorsi i giudici di secondo grado nel momento di collocare la data dell’accertata negligenza in un giorno sbagliato, ovvero in quello delle “dimissioni interlocutorie”, con conseguente diagnosi di faringotracheite, benché il medico avesse a disposizione già il giorno prima, ovvero il 29 aprile 2003, "dati che suggerivano senza ombra di dubbio la necessità di ulteriori approfondimenti diagnostici per la ricerca della patologia cardiaca, visto che il referto del cardiologo, che in quello stesso giorno aveva effettuato l’elettrocardiogramma, si concludeva proprio con il consiglio del ricovero. Insomma, la "svista" del medico sarebbe avvenuta il 29 aprile, e non il 30 con le dimissioni interlocutorie, come ricostruito dalla Corte d'Appello, che ne ha così alleggerito la posizione. Ed è così che riprende vigore la "chance di sopravvivenza" venuta meno proprio a causa dell'omessa diagnosi e quindi sicuramente maggiore rispetto al giorno successivo preso in considerazione dai giudici della Corte d'Appello "senza alcuna plausibile ragione".
Sarà adesso compito della nuova sezione della Corte d'Appello di Catanzaro mettere un punto alla tortuosa vicenda giudiziaria che si protrae da oltre 20 anni.
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