Mumoli aveva chiesto non solo la revoca della misura cautelare, ma in subordine anche l’autorizzazione a svolgere la propria attività lavorativa. Entrambe le richieste sono state respinte. Secondo il Gip, infatti, le versioni difensive presentate non sono riuscite a incrinare la gravità dei fatti contestati. Dalle indagini emerge che l’aggressione contro un giovane straniero non si è limitata a un singolo episodio, ma si è sviluppata in più fasi, con calci e pugni sferrati quando la vittima era già a terra e con un successivo inseguimento, a piedi e in auto, culminato nell’uso intimidatorio di una mazza di metallo.
La ricostruzione fornita dagli indagati, che hanno cercato di presentare lo striscione esposto come una goliardata e le percosse come reazioni difensive a presunte provocazioni, non ha convinto il giudice. Anzi, la stessa testimonianza di un altro imputato, Carmelo Laface, ha chiarito come il messaggio fosse diretto esplicitamente agli extracomunitari che frequentano la zona dove il gruppo aveva deciso di appendere lo striscione. La formula dialettale utilizzata, “caci ‘nta panza”, viene interpretata dal tribunale come espressione di violenza e non come semplice scherzo.
Il Gip ha sottolineato che, anche ammettendo l’esistenza di insulti o gesti ostili da parte della vittima, tali circostanze non cancellano la sproporzione dell’azione successiva, portata avanti da tre persone contro un solo individuo. Le immagini di videosorveglianza hanno inoltre consentito di ricostruire in modo puntuale gli spostamenti e le condotte dei protagonisti, confermando che le eventuali provocazioni erano cessate nel momento in cui il giovane era stato inseguito e nuovamente affrontato.
L’ordinanza rimarca anche l’attualità delle esigenze cautelari. Per il giudice, l’isolamento dal territorio resta necessario per prevenire nuovi episodi e la richiesta di autorizzazione al lavoro è apparsa generica e priva di elementi concreti che potessero consentire un bilanciamento con le esigenze di tutela collettiva.
Con questa decisione, Mumoli e gli altri dirigenti di Forza Nuova rimangono dunque ai domiciliari. La vicenda, che ha già suscitato forte attenzione a livello nazionale, continua a essere seguita con interesse, poiché investe non solo il profilo giudiziario ma anche quello politico e sociale, toccando il tema dell’odio razziale e del ruolo dei gruppi estremisti nella vita pubblica calabrese.
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