di LORENZO FAZIO
Una teologia radicata nella realtà, capace di parlare con le parole della carne e del popolo. Questo il cuore della riflessione proposta lunedì 5 maggio presso l’Istituto Teologico Calabro “San Francesco di Paola” di Catanzaro, durante una giornata di studio intitolata “Il grido degli ultimi e la speranza del Vangelo per le terre del sud. Il contributo della teologia per le scelte profetiche”.
A inaugurare i lavori è stato il direttore dell’Istituto, don Michele Munno, che ha salutato i presenti non prima di aver invocato lo Spirito Santo come guida e luce, non solo per la giornata di studi in questione, ma anche per il momento storico che interessa la Chiesa Cattolica. «Papa Francesco – ha ricordato don Michele Munno – ha seguito da vicino il rinnovamento teologico in Calabria, incoraggiando e sostenendo il lavoro dei nostri Vescovi. Come Chiesa siamo chiamati ad esercitare la profezia della comunione e della sinodalità». L’Istituto, ha aggiunto, non può restare indifferente alle povertà esistenziali che attraversano la Calabria. «Dobbiamo portare a tutti la speranza del Vangelo, che è Cristo stesso».
A moderare l’incontro don Pasquale Rosano, che ha introdotto il relatore della mattinata: il prof. Vito Impellizzeri, Preside della Facoltà Teologica di Sicilia e studioso della teologia di Paolo VI. La sua relazione, originale e coinvolgente, ha offerto una lettura teologica “dal Sud”, inteso non come complemento di specificazione ma come categoria teologica.
«Il Sud – ha affermato Impellizzeri – è un luogo teologico: non si guarda da sopra, ma da sotto. Qui si ascolta il grido degli ultimi». In questa prospettiva, la sua proposta di geoteologia assume il “popolo” non come retorica identitaria, ma come corpo reale segnato da contraddizioni, dolori e speranze. Una teologia che nasce nelle strade, nei bar, nei rapporti familiari, nella religiosità popolare: luoghi dove, secondo Impellizzeri, si può ancora incontrare il Dio vivo.
Diversi i temi toccati durante la relazione: dalla “minorità” come criterio ecclesiale, all’importanza del sensus spei, accanto al sensus fidei. Suggestiva anche la riflessione sull’assenza del futuro nella grammatica dei dialetti del Sud, come segno di una speranza spesso compressa, ma mai del tutto spenta. E ancora: l’anti-Vangelo del “farsi i fatti propri”, la rassegnazione al martirio, la percezione acuta dell’altro come debole, la familiarità evangelica che non supera i legami di sangue.
«Non possiamo più pensare in termini binari – ha detto il teologo –. Oggi serve un pensiero trinitario, e comunitario capace di tenere insieme storia e salvezza, promessa e realtà». Avviandosi alle conclusioni ha lasciato ai presenti una provocazione: «Noi non siamo discepoli di Aristotele, ma di Gesù. E Gesù non ha mai parlato di teoria e prassi: ha vissuto la Parola in mezzo agli uomini».
La giornata si è chiusa con un momento di conversazione spirituale nei tavoli di studio, durante il quale i partecipanti hanno potuto condividere risonanze personali, esperienze pastorali e spunti di approfondimento. Un’esperienza che ha rilanciato l’urgenza di una teologia che si faccia vita, relazione, prossimità.
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