di ANTONIO BEVACQUA
Non comprendo perché si insista a chiamare la struttura realizzata all’ingresso del quartiere Lido “Ente Fiera”, quando il prefisso “Ente” dovrebbe star lì ad indicarne solo il suo eventuale istituto giuridico, la veste, e non a caso dico eventuale perché, nel caso del complesso di Catanzaro Lido, mi pare neanche esista in quanto la struttura è stata affidata (conferita?) alla Fondazione Politeama.
Formalismi a parte, dietro i quali tuttavia c’è sempre una buona sostanza, quello che si avverte in questi giorni in cui si discute del pericolo, perché di vero e proprio pericolo si tratta, che la Fiera di Catanzaro diventi centro di prima accoglienza per i migranti che sbarcheranno sulle coste, è l’assoluta assenza di un programma di utilizzazione della struttura per i fini per i quali fu finanziata e realizzata.
E’ ben evidente, e fa rabbia constatarlo, che se una programmazione fosse stata posta in essere, oggi non si discuterebbe di destinare quel sito a campo dormitorio “hotspot” o “c.a.r.a.” per poveri disperati che fuggono da fame e morte, ma si parlerebbe di fiere campionarie, saloni espositivi tematici, eventi culturali e sportivi (vedasi, a proposito, l’esilio delle Convittiadi) e di indotto turistico, capaci di contribuire notevolmente allo sviluppo della Città e del quartiere Lido in particolare.
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