di MARIA GRAZIA LEO
“Amici miei sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi…La Forza Armata ha bombardato le antenne di Radio Portales e Radio Corporaciòn…il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più…Ho fede nel cielo e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi”.
Queste le ultime parole accorate e resistenti, pronunciate da un Presidente, Salvador Allende il primo presidente socialista eletto con un voto libero e democratico in Cile, nel novembre del 1970. Parole rilasciate prima di suicidarsi intorno alle 14.00 del 11 settembre 1973, ponendo fine alla sua Resistenza politica di uomo delle istituzioni e di cittadino libero, onorando il suo paese con dignità e coraggio civile.
In quel giorno di 50 anni fa ci fu il Golpe, ideato e messo in atto dalle Forze armate che presero d’assalto il Palazzo della Moneda, sede del governo cileno, obbligando alla deposizione il suo legittimo presidente.
Ci vollero solo 7 ore ai Generali Augusto Pinochet -comandante dell’Esercito- Gustavo Guzman dell’Aviazione, Josè Merino Castro della Marina e Cèsar Duran dei Carabineiros, per mettere fine ad una bella pagina di storia politica e di vita libera e democratica in continua emancipazione, così come i cittadini cileni avevano scelto e voluto, tre anni prima. Bastarono solo 7 ore per condurre a termine l’azione di bombardamento del palazzo presidenziale di Santiago ed interrompere il corso delle riforme di stampo socialiste, avviate da Allende in favore del popolo cileno ed in particolare per i ceti più disagiati e bisognosi sul piano sociale ed economico. Sette ore di assedio furono sufficienti a spianare la strada al Generale Pinochet per portare a compimento con gli atti successivi- seguiti alla morte del presidente Allende- il completamento dell’operazione. La giunta militare praticamente sospese la Costituzione, depotenziò poteri e funzioni della Corte Suprema, sciolse il Congresso, dichiarò illegittimi o fuori legge tutti i partiti in particolare quelli che fino ad allora avevano appoggiato il governo socialista, applicò la censura sull’attività di stampa, mise al bando le manifestazioni sociali.
Tutto il controllo e le decisioni vennero trasferiti nelle mani del capo della Giunta militare, Augusto Pinochet, dall’amministrazione pubblica al potere legislativo, dalla giustizia alle Forze armate. Egli restò fino ad un certo periodo comandante a guida unica della Giunta militare, per poi farsi proclamare Presidente della Repubblica.
Ma che cosa possiamo dire -in poche istantanee dei ricordi- di quegli anni bui?
Intanto che la repressione nei confronti dei sostenitori di Allende, del suo partito di riferimento -Unitad Popular- e degli altri partiti minori di sinistra fu durissima, violenta, atroce, disumana.
Basti ricordare che lo Stadio di Santiago del Cile venne adibito a campo di concentramento nel quale far confluire gli oppositori al Golpe, che continuarono a rimanere leali e convinti difensori della democrazia e dello Stato di diritto. Lì in quel tappeto verde di gioco, nel corso dei giorni, delle settimane, dei mesi si assistettero ad infinite torture, vessazioni, inaudite violenze sulle donne, interrogatori massacranti e snervanti privi di garanzie…e il colore del prato verde rapidamente cedeva il posto al colore rosso sangue e alle urla assordanti delle vittime. In quello stadio si era privati di tutto, dalle strutture igieniche, alle coperte, ai generi di prima necessità che erano scarsi o scadenti. “In compenso” abbondavano le percosse, gli elettroshock, gli idranti con getti d’acqua potentissima lanciati sulle persone, le asfissie, le interruzioni del sonno…e ci fermiamo qui per non rendere ancora le emozioni più forti.
In tre anni, in via del tutto approssimativo si quantificarono in 130.000 le persone arrestate, esiliate, uccise o scomparse. Nelle nostre memorie storiche e scolastiche riemerge chiaro come venivano definiti gli scomparsi <> moltissimi dei quali incontrarono la morte del regime in via di semplice uccisione, altri venivano lanciati dagli aerei dopo essere stati resi in stato semicomatoso, alcuni sparivano nel nulla o semplicemente cancellati dai registri.
Il perché di tutto questo lo si può capire se si analizza la “filosofia politica” del Caudillo Pinochet. Occorreva cancellare tutta una classe politica, considerata nemica, pericolosa e controproducente per il Paese. Pertanto bisognava eliminare tutti coloro che contestavano e non si adeguavano ai 4 punti cardine del regime autoritario: 1) Capitalismo 2) Civiltà cristiana 3) scelta degli Stati Uniti come guida politica ispiratrice 4) Dottrina della sicurezza secondo la quale i cittadini erano considerati presunti o potenziali nemici. Seguendo questo schema di pensiero, ad essere presi di mira non erano quindi solo i comunisti, i socialisti ma tutto ciò che apparteneva alla categoria di democratico, quindi giornalisti, personalità della cultura, giuristi, attivisti impegnati nella tutela e nella promozione dei diritti civili…praticamente quelli che Pinochet definiva “nemici interni”.
Di cosa è rimasto di quei 17 anni bui e soffocanti di dittatura, ci ritorneremo più tardi…
Ora proviamo a riavvolgere il nastro della nostra narrazione, accendendo i riflettori della nostra attenzione su quello che ha fatto di buono e di interessante e nello specifico guardiamo cosa ha rappresentato il governo legittimo presieduto da Salvador Allende, dalla sua nascita fino al sogno spezzato bruscamente in quelle sette ore del mattino dell’11 settembre del 1973.
Salvador Allende -di professione medico- fu eletto presidente della Repubblica del Cile con il 36% circa del consenso popolare -il 4 novembre del 1970, a capo di una coalizione di sinistra costituita fondamentalmente da socialisti e comunisti (Unitad Popular) e da partiti minori. Sconfisse di poche percentuali l’antagonista politico conservatore Jorge Alessandri che si fermò intorno al 35% dei voti.
La Costituzione cilena del 1925 prevedeva che il Congresso ratificasse la presidenza a chi avesse ottenuto più voti. C’era all’interno del potere legislativo una forte ritrosia nel dargli l’incarico ma alla fine si giunse ad una decisione favorevole. Allende venne proclamato Presidente dopo aver firmato uno “Statuto di garanzie costituzionali”.
L’impronta del nuovo corso che il neoeletto presidente aveva in mente di realizzare e che chiamò “La Via cilena al socialismo” si notò subito con una serie di provvedimenti di riforme “rivoluzionarie” al servizio e nell’interesse del pubblico, della collettività più che del privato o delle singole categorie economiche, sociali, professionali di appartenenza.
Si iniziò con la nazionalizzazione di alcune grandi imprese, tra le quali quella delle miniere, del rame che era una delle fonti di reddito principali sulle quali reggeva e viveva il paese. Una produzione, quella del rame che fino ad allora era controllata da aziende prettamente americane; la riforma sanitaria, la nazionalizzazione delle banche, il rafforzamento della riforma agraria con una politica di espropri di terreni a favore di chi era più svantaggiato, più povero; la nazionalizzazione della distribuzione e produzione di energia elettrica, del sistema dei trasporti. Viene introdotto il divorzio, vengono adottate misure scolastiche e sociali miranti a venir incontro alle classi più deboli, come ad esempio l’assegnazione di mezzo litro di latte al giorno per i bambini e le donne incinta, in seguito alla malnutrizione infantile.
Come era prevedibile queste decisioni non furono viste di buon occhio dalle classi più agiate dai proprietari terrieri, agli industriali, al mondo della finanza, alla Chiesa cattolica, al partito dei cristiani democratici. E se nel primo anno di mandato governativo i risultati della politica economica diedero esito positivo, dalla crescita industriale all’incremento del Pil, alla diminuzione dell’inflazione e della disoccupazione, nel 1972 il tutto si ribalta con l’inflazione che schizza al 140% e con la calmierazione dei prezzi si arrivò al mercato nero di molti beni ed alimenti primari tanto da renderli introvabili nei negozi.
Dal quel momento in poi le condizioni c’erano tutte per dare manforte a coloro che dalla medio-alta borghesia, ai conservatori osteggiavano Allende già da molto tempo, per fomentare nel paese un clima ostile e di protesta verso l’esecutivo socialista, attraverso una serie di scioperi da parte di alcuni settori della società civile, dai piccoli imprenditori, ai camionisti, ai sindacati dei professionisti e ad alcuni gruppi studenteschi. Ma nonostante ciò alle elezioni parlamentari la coalizione del partito di Unità popolare aumentò i suoi voti al 43%, anche se l’alleanza informale che si era determinata con i Cristiano democratici tramontò definitivamente. Questi ultimi si schierarono con la destra rappresentata dal Partito Nazionale. Da quel momento in poi, pure il potere legislativo iniziava a fare sentire le sue fibrillazioni nei confronti del potere esecutivo, determinando così una situazione di stallo e paralizzando le iniziative politiche di entrambi gli organi istituzionali.
Ma sulla crisi economico, sociale e sull’instabilità politica interna, altre nubi internazionali -dense e grigie- si addensavano nel cielo del Cile minando la tranquilla vita democratica.
Nell’ombra il principale governo, diffidente e avverso alla “Via del socialismo cileno” e alle sue riforme innovative, era quello degli Stati Uniti d’America. Con la Guerra Fredda in corso, per gli Usa un cambiamento così profondo non era ben visto sia per il timore di perdere l’egemonia nei confronti del Cile e di tutti gli altri paesi dell’ America Latina che potevano essere indotti a seguire la linea di Allende, sia soprattutto per il fattore “deterrenza” di politiche simili che si sarebbero potute evolvere e affermare in Europa e nei paesi membri della Nato, vedasi l’Italia e la Francia in cui la sinistra di quegli anni presentava partiti ben più forti, coesi e popolari di oggi. Le commissioni d’inchiesta che si susseguirono dopo la fine del regime, confermarono come la Cia stesse lavorando di contorno e d’intesa con la destra cilena per facilitare la crisi nel paese, avvitando il presidente Allende su tutti i fronti pur se non venne mai provato la partecipazione diretta degli Stati Uniti al rovesciamento del governo. L’opposizione di centrodestra arrivò addirittura a chiedere l’intervento dei militari per ristabilire l’ordine e la sicurezza e il rispetto della Costituzione, supportata anche dall’intervento della Corte Suprema che pubblicamente accusò il governo di essere incapace di far osservare le leggi; di compiere atti incostituzionali e così via… Vani furono i tentativi di Allende di respingere quegli attacchi. Pur avendo puntualizzato che la dichiarazione del Congresso avrebbe potuto mettere in cattiva luce il prestigio della Nazione all’estero, creare incertezza e caos interno e che la richiesta dell’intervento delle Forze Armate avrebbe significato sovvertire un governo legittimo “ subordinando la rappresentazione politica della sovranità nazionale alle istituzioni armate, che non possono né devono assumere le funzioni politiche o la rappresentanza della volontà popolare…Reitero solennemente la mia decisione di sviluppare la Democrazia e lo Stato di diritto, fino alle conseguenze ultime”.
Era ormai evidente agli occhi del presidente socialista che si stessero aprendo le porte di un Colpo di Stato e di una guerra civile. E per evitare l’uso delle armi propose un referendum popolare, investendo i cittadini sul suo operato; solo che quel giorno non giunse mai, perché il nuovo ministro della Difesa e comandante dell’Esercito Augusto Pinochet -l’11 settembre del 1973- circondò il Palazzo della Moneda.
Ma che cosa ha rappresentato quel Golpe, che cosa è rimasto di quella svolta autoritaria? Se proprio volessimo e ci sforzassimo di trovare qualcosa di “buono”, di “utile”, di “positivo” di quegli anni di sangue, di ferocia, terrore, di oppressioni, di ingiustizie e umiliazioni probabilmente faremo torto ai nostri occhi, ai nostri cuori, ai nostri principi e valori nei quali siamo stati cresciuti, educati, a partire da quelli di umanità e dei sentimenti cristiani a finire a quelli improntati sullo Stato di diritto e sulle libertà politiche e civili. Pertanto forse l’unica cosa che è ancora vista favorevolmente da una buona fetta del popolo cileno dell’operato del Generale Pinochet è stato quello di aver messo i conti in ordine, creando le condizioni per rendere maggiormente sviluppato il paese con un tessuto economico e produttivo che è andato a crescere negli anni e nei decenni successivi. Crediamo però e siamo ben consapevoli che questi risultati pur interessanti ed importanti per il tenore di vita del Cile nel confronto ed in rapporto con gli altri Stati del sud America, non siano sufficienti a giustificare o essere il prezzo da pagare del silenzio o dell’accettazione di una Dittatura militare che in realtà ha calpestato decisamente i diritti umani, la libertà, l’eguaglianza, la democrazia, la giustizia, le garanzie costituzionali.
Agli inizi degli anni “80 “, nonostante la cappa di violenza, di censura, di timore o di silenzio che il regime aveva diffuso e reso quasi come una consuetudine dell’essere e del vivere nel suo interno e difronte al giudizio del mondo, iniziava a determinarsi una lenta ma continua perdita di potere, credibilità e soggezione, rispetto al primo decennio di governo. Questo lo si è potuto ottenere grazie alle forti pressioni internazionali e delle associazioni a tutela dei diritti umani, per poi giungere anche ad una risposta coraggiosa dall’interno del Cile che si fece sentire attraverso l’avvio di scioperi e proteste tali da indurre il presidente Pinochet ad indire un referendum popolare per saggiare la solidità e la fiducia sul suo mandato. Corsi e ricorsi storici -si potrebbe dire- con il suo predecessore Salvador Allende. Stesse fotografie di eventi e di iniziative intraprese da entrambi i presidenti, solo che con Allende il referendum non ebbe mai luce, con Pinochet invece sì ma con esiti sorprendenti rispetto alle sue aspettative. Il Caudillo era strasicuro di vincere con disinvoltura e facilità, credendo di controllare ancora il polso del suo paese. Ed invece perse, il suo governo venne bocciato dai cittadini, con il 54% dei NO. Queste esperienze politiche ci insegnano molto a riflettere sul fatto che quando si diffondono messaggi chiari e semplici da capire e si interpretano bene i desideri e le speranze del sentiment popolare, nessuna opera di disinformazione è in grado di manipolarli o sostituirli. È successo con Allende che vinse le elezioni legislative del 1973, pur dovendo affrontare un Cile in ginocchio per una terribile crisi economica, politica e sociale. È successo in senso inverso con Augusto Pinochet nel 1988 con il plebiscito che gli fu contrario e che segnò la sua sconfitta. Non bastarono -quindi- 17 anni di controllo della stampa e della Tv a fermare la ventata e la voglia di ritornare a testa alta a far rifiorire la democrazia. Le idee, la cultura, il libero pensiero non si imbavagliano. Dopo l’esito referendario il presidente fu costretto ad indire –per l’anno seguente- elezioni politiche, finalmente libere e la guida del Palazzo della Moneda passo al vincitore sempre di destra, Patricio Alwyn dei Cristiani democratici. Pinochet rimase però Comandante delle Forze Armate fino al 1998 e divenne successivamente Senatore a vita.
I governi che seguirono nel corso degli anni restarono timidi nel mettere sotto accusa l’ex Comandante delle Forze Armate. Egli si sentiva sicuro di muoversi liberamente, godendo anche dell’immunità che spettava agli ex Capi di Stato. Ed invece in un viaggio del 1998 che fece a Londra, venne arrestato su richiesta di un mandato internazionale, firmato dal giudice spagnolo Baltazar Garzon che ne chiese l’estradizione, la quale non arrivò e dopo lunghe dispute giuridiche e politiche tra gli Stati in questione- durate per ben 16 mesi- alla fine il ministro degli interni britannico decise di rimandare Pinochet in Cile. Qui si dovette aspettare il 2004 affinché la Corte Suprema revocasse l’immunità all’ex Caudillo e lo ritenesse pienamente nelle condizioni di essere presente a processo insieme ad altri imputati per molti reati tra i quali la violazione di diritti umani. Rimase agli arresti domiciliari e nonostante i suoi 90 anni, Augusto Pinochet non sentì mai il senso di colpa per quello che commise e di conseguenza mai chiese scusa per le vittime e le sofferenze arrecate attraverso una parola netta, consapevole e definitiva nei confronti dei familiari delle stesse, in particolari di quelle madri disperate dei desaparecidos che non si sono mai stancate -a ridosso anche degli anni più recenti- di chiedere verità e giustizia sui loro figli scomparsi.
Se 50 anni potrebbero sembrare sufficienti a delineare la lunghezza come metro di attenuazione o di lenizione di quei ricordi dolorosi e terribili, in realtà nel profondo e nell’animo di uno Stato che ha subito quello che sinteticamente abbiamo descritto, le ferite del popolo cileno rimarranno aperte ancora a lungo, almeno fin quando da parte delle Forze Armate che hanno un debito con la storia, non ci sarà un ravvedimento serio e responsabile, pieno e sincero di quello che è stato compiuto e soprattutto di quello che non è stato fatto e detto dopo quei 17 anni di dittatura; aver nascosto e reso difficili la raccolta di informazioni sugli omicidi commessi in Cile e all’estero, sui nominativi delle persone scomparse, sulla contraffazione o cancellazione delle prove, sull’aver occultato e tenuto segreti in alcune strutture militari i nomi del Dittatore e dei suoi collaboratori più stretti.
Solo così si potrà provare a ridare pace e serenità ai familiari delle vittime e ricucire nel paese quell’unità e quel sentire nazionale vero e autentico, senza fare ancora distinzioni ed etichette tra i cittadini -uomini o donne che siano- del Cile.
“Sappiate che prima o poi si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore…Viva il Cile, viva il popolo, viva i lavoratori” (Salvador Allende 11 settembre 1973)
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