di FRANCO CIMINO
È festa. Festa della Vita. Ogni giorno. Ma che festa è quando la Vita è violata, offesa, ingannata. Vivere è festa, ma che festa è se il vivere per milioni di essere umani è un morire quotidiano sotto atroci sofferenze. La ricchezza è festa. Ma che festa è se essa è trattenuta nelle mani di pochi, mentre il resto della gente vive in povertà. Il proprio Paese è festa, ma che festa è se esso è diviso, sofferente per rancori e odi contrapposti, nell’emergere di egoismi e di arroganze che si impongono sulla gente. La Terra è festa, ma che festa è se essa è violata, offesa, aggredita, derubata di ogni sua bellezza. Della sua luce. Delle sue zolle di vita. Se il respiro della sua anima viene soffocato. La terra propria, quella dei padri, è festa. Ma che festa è se non può essere vissuta da chi lì vi è nato, ha la famiglia, i figli da crescere.
La ricchezza da costruire. Per tutti gli abitanti di quella terra. Che festa è se da quella terra, la propria, si viene espulsi, cacciati, imprigionati il lager da tendopoli, più duri delle peggiori prigioni sudamericane o africane. La Patria, nella Nazione, la propria, è festa. Ma che festa è se ad essa viene negato il territorio cui quella patria, quale terra dei padri, appunto, che l’hanno lasciata in consegna per tutti i figli del futuro, è destinato. Il futuro di essere gente della stessa gente, popolo pieno di storia e di dignità. Di diritti inalienabili. La Pace è festa. Ma che festa è se viene negata dalle guerre. E dagli odi incrociati. Ingannata dalle false tregue, che solo di un poco la sospendono se, come sta accadendo si continua a bombardare sopra le risma di protocolli firmati da falsi mediatori. E da ladri che vogliono rapinare i paesi aggrediti e sconfitti delle poche terre ancora fertili. Quelle piccona e “rare” non completamente assassinate dai bombardamenti. La Giustizia è festa. Ma che festa è sé essa in ogni luogo del pianeta è negata, piegata sulle diseguaglianze, che sono il veleno della giustizia. Se viene, la Giustizia, codificata ripetutamente in variabili norme, imposte dal potere che ne vuole fare strumento del suo strapotere cinico e arrogante. La Libertà è festa. Ma che festa è se Libertà viene negata con ogni mezzo. Anche quello più sofisticato dal potere della tecnologia e da chi la detiene imponendo una sola cultura. Totalizzante. Quella nella quale non vi sia più dissenso, oggi impedito alle strette minoranze che hanno il coraggio di manifestarlo. E nel più ravvicinato domani, totalmente cancellato attraverso l’annullamento dei processi per la formazione della coscienza critica e, quindi politica. La coscienza capace da sola di sovvertire le vecchie regole delle società marmoree, per edificare la società democratica. Quella in cui libertà vive. Si muove. Inquieta si agita.
E si rinnova quotidianamente. Si libera da sé stessa, mentre libera gli uomini, le strutture, le società, le religioni. Libertà, quindi, è festa. Sì lo è. Ma che festa è se giorno dopo giorno è ridotta. Ingannata. E modificata nel modo in cui conviene al nuovo potere autocratico e di fatto sotterraneamente autoritario. Che libertà è se essa viene tenuta in mano, chiuse, come pugni chiusi, da quanti, nella loro vita sono cresciuti politicamente con un’idea opposta ad essa. E con una volontà di conculcarla, cancellarla, ovunque operasse, come nella storia recente dell’Europa è accaduto. Libertà e festa. Sì lo è, quando celebra i giorni in cui essa è stata finalmente liberata dalle dittature e da quella più spietata, vicinissima a noi, del nazi-fascismo. Ma che festa è, quella della Liberazione, che i padri migliori della patria ci hanno consegnato e gli altri migliori, che li hanno seguiti, hanno solennemente calendarizzato in quel Venticinque Aprile che oggi ritorna puntuale. Giorno di gioia e di rinnovata unità del popolo italiano, esclusa quella parte, che, nostalgicamente, è rimasta legata a quella brutta ideologia, che se non fosse stata scritta la più bella pagina della storia italiana, insieme alla quella risorgimentale, l’Italia e l’Europa sarebbero ancora schiavi della dittatura, e servi di un paese straniero. Quella pagina si chiama Resistenza. Chi l’ha scritta si chiamano partigiani. La tipografia in cui è stata stampata si chiamano montagne e valli del nostro Paese. L’inchiostro con cui è stata stampata, scritta, è il sangue di uomini e donne che hanno dato la vita per la Libertà. Solo per la Libertà. Quella che non ha colori partitici. Non ha aggettivi, non ha inventori. Perché Libertà è parte del corredo umano. Sostanza della vita delle persone. Anima della Democrazia. Libertà che, come dice la Costituzione, è riconosciuta, non concessa. Libertà Vita della vita della Persona, che è tale quando libertà non le viene sottratta. Oppure, su di sé non la senta umiliata e ferita dalla negazione dei diritti, che ad essa sono connaturati.
Il Venticinque Aprile è festa nazionale, la festa dell’Italia liberata dalla Libertà. Ma che festa è, quella di oggi, dell’Ottantesimo anniversari della Liberazione, se ancora la politica e divisa su questa festa, su questo giorno solenne. Se ancora c’è chi nega il valore della resistenza pur raggiungendo luoghi istituzionali alti e solenni, che da quella lotta partigiana sono stati edificati, come istituzioni che quei valori, codificati nella Magna Carta, esaltano, per essere atto quotidiano a favore della Democrazia. Che festa è, quella di oggi, in cui ci si divide sui giorni di lutto nazionale per il Papa. Divisione sciocca tra chi pensa che il lutto in questa giornata debba rendere sobria la festa, e chi dalla parte opposta ritiene che essere stata collocata il 25 aprile nei cinque giorni di lutto nazionale sia un’offesa alla Resistenza. Oggi, per me è un giorno diverso da molti Venticinque Aprile. È Giorno di festa e di dolore, insieme. Di festa, perché è la sua festa, del Venticinque Aprile è
del suo ottantesimo da quello del millenovecentoquarantacinqu. Di dolore, perché è morto un padre bello, insostituibile, della Libertà. E della Resistenza in tutti i campi del mondo in cui si lotta per sconfiggere i tiranno e la dittatura. Un uomo che ha messo la Libertà al centro della vita umana, della società, della dignità della persona, centro di ogni azione umana. Soprattutto,in quella politica, che la Persona deve difendere ed esaltare in ogni forma in cui essa possa dare forza alla Vita. La propria della Persona. E quella di tutte le altre persone. É morto il Papa, che del Vangelo ha fatto il campo fiorito della Libertà. La Libertà che si rappresenta anche come strumento di Giustizia, di Eguaglianza, di Fraternità.
E come compito che Dio ha assegnato a suo figlio Gesù, mandato in terra per liberare tutti gli uomini. E renderli protagonisti della edificazione della più grande delle Libertà Quella che dalle libere coscienze e dal libero cuore costruisce la Pace. La Pace del Vangelo. Per la quale Francesco ha lavorato, lottando e soffrendo nell’animo suo fino all’ultimo battito del cuore.
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