di FRANCO CIMINO
Fra tre anni saranno cinquanta quelli che ci separeranno dalla tragica scomparsa di Aldo Moro, il grande statista trucidato dalle Brigate Rosse. Mezzo secolo e ancora non si è fatto storia. Né quella tragedia, né quell’uomo straordinario, che ha dato moltissimo al nostro Paese, all’Europa, al mondo. Aldo Moro è ancora corpo vivo, che cammina nel corpo ferito dell’Italia. Ma nessuno lo vede. Un corpo che ancora parla. E nessuno lo “sente”. Parla di cose vive. Attuali. Analizza. Denuncia. Propone. Insegna. E questo, nonostante le ultime tre generazioni, non sappiano quasi nulla di lui. E la politica l’abbia completamente rimosso dalla sua memoria. Il mio pensiero costante per il leader della Democrazia Cristiana, il più grande partito democratico dell’Europa e del Paese, è sempre pieno di emozioni e ragioni. Sentimenti e pensieri. Attenzione culturale e apprendimenti. Emozioni: il suo essere stato colpito dalla follia del terrorismo rosso, quale personalità che maggiormente avrebbe rappresentato il simbolo del cosiddetto sistema da colpire. Sovvertire. Con la violenza “ rivoluzionaria”. Sentimenti: la pietà che provo ancora per la sorte di un uomo buono, di un docente amato, di un padre di famiglia premuroso, di uno sposo innamorato della sua sposa. Sentimenti: tenerezza verso quella figura fragile. Fragile, non solo per la condizione di prigioniero dentro una celletta, senza aria e senza luce, di soli due metri quadri.Tenerezza per quella sua delicata lotta, intensa fatica, per salvarsi la vita. Vita difesa perche necessaria ancora alla famiglia. Solo ad essa, considerato
che lo Stato, cui aveva donato tutta la vita, lo aveva abbandonato, come i vertici della sua partito, che lui aveva contribuito a fare forte e credibile. Sentimenti: l’emozione alla lettura delle innumerevoli lettere, che da quella prigione orribile, ha inviato a decine di persone, supplicandole di salvargli la vita. Evitando di anteporre le “ipocrite” ragioni dello Stato a quelle della persona, la cui dignità e vita sono sono inviolabili. Mi commuovo ancora per quelle a Benigno Zaccagnini, Segretario della DC e, fino alle lacrime, per
l’ultima alla moglie, Norina. Pensieri: due su tanti. Uno, cosa ha sentito, pensato, quando ha perso ogni speranza e capito, scendendo in quel garage, che stava andando a morire. Ha avuto paura? E quanta? Ha pianto? E come? Con le lacrime dei bambini o come il grido soffocato dei grandi? Pensieri: uno, che domanda. Questo: come sarebbe oggi l’Italia e l’Europa se, fermatosi il tempo, ci fosse ancora lui? Apprendimenti, dal suo pensiero e dalla sua storia personale, una lunga grande lezione. Di vita. Di Politica. D’Amore. Il primo apprendimento: la Politica è il luogo privilegiato in cui la Libertà, corredo della Persona, diviene. Cresce rinnovandosi quotidianamente. Secondo apprendimento, le istituzioni, le fondamenta della Democrazia, gli strumenti che garantiscono che essa viva, si difenda. E Libertà si riconosca e si conceda, non che venga riconosciuta e concessa. Esattamente come la Costituzione, di cui il giovanissimo Moro é stato uno dei principali artefici, afferma. Scolpisce sulle parole. Attenzione culturale e, quindi, cultura. La sensibilità, cioè, con la quale si guarda la realtà. La luce negli occhi che guardano il mondo. Cultura, quale visione di un realtà grande quanto il “mondo. E che superi la gretta concezione dei localismi chiusi in confini impenetrabili e in nazionalismi rozzi e retrogradi. L’immagine della” finestra aperta affinché entri aria nuova…”non era riferita alla necessità di rinnovare la politica e le istituzioni con l’apertura alla forze nuove della società, i giovani e le donne, che Egli disegnò nel periodo caldo del sessantotto. Era anche riferita al processo di costruzione di una nuova idea dell’Europa e del pianeta. Idea che, sotto la spinta di un’Entità unita, democratica, sovranazionale, autonoma dalle superpotenze, contribuisse ad edificare un mondo di Pace. E per la Pace. Un mondo in cui la Libertà e la Giustizia, elementi fondamentali alla stessa vita, siano garantiti dall’affermazione di due principi inviolabili, autonomia e indipendenza dei popoli e delle nazioni, ciascuno ricevendo il pieno riconoscimento della propria dignità. E della propria capacità di autodeterminarsi secondo i principi della Democrazia. É da qui che muove la Pace. Ed è al compimento di questo breve percorso che essa dí realizza. Aldo Moro fu uno dei prime a battersi, forse qui trovando la prima segnaletica al suo tragico destino, per il diritto dei palestinesi a uno Stato libero su una terra libera, accanto a quello d’Israele altrettanto libero e sicuro senza più minaccia che ne riproponga la distruzione. Insomma, fu Lui, in qualche modo, a inventare, la formula due Paesi per due Stati, con Andreotti e Craxi, che successivamente lo seguirono. Il mancato raggiungimento di questo obiettivo dopo più di cinquant’anni dalla sua ideazione, fa pensare che la morte dell’uomo politico più carico di carisma e più ricco di intellettualità, ne sia una delle cause più determinanti. Come lo è, unitamente alla mancanza di uomini giganti, da Wojtyla a Mandela, da a Madre Teresa a Francesco, per le guerre che chiudono le porte alla Pace. O alla più volgare straricchezza di pochi per la crescita della povertà. E delle povertà. Ah, se il tempo si fermasse a tanti anni fa e riportasse, a questo tumultuoso che viviamo, Aldo Moro, l’illuminato statista, il politico cristiano, il governante laico, il democratico autentico, il filosofo della Libertà! Ma il passato non torna. Il tempo non si ferma. Il tempo è quello che ci è dato…Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”. Una frase importante, un significato di un’attualità incredibile. L’allora presidente della Democrazia Cristiana, la pronunciò nel discorso ai Gruppi parlamentari tenuto nell’assemblea del 28 febbraio 1978. Due settimane dopo, il 16 marzo, il Presidente del partito sarebbe stato rapito in via Fani e il suo corpo sarebbe stato ritrovato, crivellato di colpi, in via Caetani, il nove maggio, come oggi. Un dolore infinito! Un dramma che non passa sul corpo della Democrazia ferita. Che ancora sanguina
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