Cimino: "Ci addormentiamo con una guerra e ci risvegliamo con un’altra poco lontana. Ma dormiamo ancora"

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images Cimino: "Ci addormentiamo con una guerra e ci risvegliamo con un’altra poco lontana. Ma dormiamo ancora"
Franco Cimino
  07 ottobre 2023 11:36

di FRANCO CIMINO

Ma che bella notizia! L’ho appresa da poco. Al mio primo telegiornale. C’è la guerra. “ Ma dai, che scoperta, in Ucraina è da sedici mesi che la si fa, la guerra!” Infatti, non è di quella regione che si parla oggi. Almeno non in prima pagina. Ne ha parlato, come solo Francesco continuamente fa, Sergio Mattarella, ieri, al vertice di Arrajolos, a Porto, di tredici capi di Stato europei. Il tema è stato ancora quello della vile aggressione russa all’Ucraina. C’è altro, quindi. “ Ma va’là, da qualche giorno in mare non muore alcun poverocristo. La tragedia più grande degli annegati per la traversata è quella di dieci anni fa, con i suoi trecento morti e soli pochi sopravvissuti. E non li ha pianti o celebrati nessuno!” “Allora si tratta delle numerose guerre locali, quelle piccole piccole, dalle tribali a quelle nazionalistiche.

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Ma sono decenni che si svolgono, in Africa, in Asia e in altre regioni del pianeta, come quelle particolari che muovono le dittature, tutte, ai popoli al primo accenno di ribellione. Pure di queste non si dice nulla. A chi vuoi che interessi un milioncino di neri o di gialli che muoiono ammazzati. Se non lo fa questa guerra, lo farebbe sicuramente l’altra, la più diffusa e la più mortale, quella della fame. La povertà è la guerra di cui non si parla. In questa, ne muoiono milioni al giorno. Soprattutto, bambini. E a qualche migliaia di chilometri più avanti, i loro genitori. Specialmente, quei padri che tentano, attraversando deserti e mare, di raggiungere i paesi dell’opulenza e della civiltà. “Lo so bene, io lo so bene, perché le denuncio da anni, incurante di essere considerato uno sterile sognatore, uno sciocco utopista. Un emerito pazzo. In particolare, quando non mi viene da opporre motivi dialettici al solito refrain “ ma con tutti i guai di casa nostra, pure dei loro ci dobbiamo occupare?”

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E ciò senza considerare che quando ne troviamo la convenienza, di affari “ esteri” o di cavolacci altrui ce ne occupiamo, eccome! No, oggi si tratta d’altro. Si tratta di una guerra che ci eravamo tutti scordati. E non perché ce ne curassimo un tempo, ché non ci ha mai fregato alcunché, nonostante le intuizioni e posizioni assunte da Moro e Andreotti e in ultimo anche da Craxi. Ma perché ci sembrava essersi esaurita. Ovvero, spenta, sopita. Ferma sulla rassegnazione dei belligeranti, per quell’equilibrio non equilibrato che sembrava essere stato raggiunto sull’enorme pila di morti in ambedue campi di battaglia. Morti, sempre più numerosi, di giovani, donne, anziani, bambini. I morti di ogni guerra. Infatti, sono sempre i più innocenti a cadere nelle guerre dichiarate dai soliti pochi che in guerra poi non ci vanno. Ché i governanti non indossano le divise, non imbracciano il fucile, non vanno in trincea. Non possono sentire il rumore che fanno i bombardamenti e lo scoppio delle armi. E il deflagrare di tutto. Delle coscienze, in particolare. Non possono sopportare quei violenti lampi di luce che accendono il cielo e accecano gli occhi. Non possono, perché altrimenti chi governa? Chi decide della guerra? Chi consegnerà le medaglie alla memoria e qualche dollaro o euro di pensione alle vedove? No, la guerra di oggi, la guerra ritornata è quella dimenticata. C’è stato solo un assaggio, nella notte. Che ha colto tutti di sorpresa. Ci sarebbe solo qualche morto e un po’ di distruzione materiale. Ma è appunto un “ colpetto”.

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Adesso c’è solo da attendere la reazione del colpito. E l’inevitabile dura progressione del conflitto. Siamo tornati in Medioriente, nella regione più storica rispetto anche al fatto. In quel fazzoletto di terra da oltre cinquant’anni conteso tra i palestinesi e gli israeliani. La chiamano ancora la striscia di Gaza. Ed è proprio da Gaza, più specificatamente intesa, che Hamas, l’organizzazione più militare dei palestinesi, che nella notte sono stati lanciati razzi contro il territorio israeliano. L’operazione ha ricevuto pure un nome di “ battesimo”, Alluvione Al-Aqsa, dal nome della famosa moschea, luogo simbolo per la religione islamica, sempre minacciato per essere posto al centro della famosa spianata, divenuto ormai il il campo di guerra per eccellenza. Questo nome e questo attacco di fuoco, stampati in pieno Ramadan con le sue celebrazioni fortemente sentite dai fedeli dell’Islam, vuole rappresentare una volontà difficilmente riducibile. E di più, una sorta di chiamata alla guerra contro il nemico, Israele e l’Occidente, di tutti gli islamici sparsi per quel territorio e per il mondo.

Una nuova guerra che da regionale vorrebbe farsi globale, sta per avere inizio, mentre le diplomazie del mondo sono in tutt’altre faccende affaccendato e la gente che lo abita pure, distratta da esse e addormentata dai poteri che affanni e drammi ha procurato. Si sono persi ventitré anni nella politica di risoluzione del conflitto tra palestinesi e israeliani. Sono quelli del vertice di pace. Tanti sono passati da quella stretta di mano e dalla duplice firma sul famoso documento, tra Arafat e Rabin, nello storco accordo di Oslo, auspice l’intelligente azione di Bill Clinton. In quel fatidico momento, si riconoscevano i due principi da concretare e istituzionalizzare.

Il primo, i palestinesi sono un popolo che ha diritto alla propria terra all’interno di uno Stato autonomo e indipendente. Israele, Stato riconosciuto nella quasi totalità del territorio “recuperato”,( una piccola parte da “ restituire” ai palestinesi), avrebbe ricevuto ogni garanzia di sicurezza e di non aggressione, nella immediata prospettiva di una Pace stabile. Una Pace vera. Restava, fatto certo di non poco conto, il come vivere, tutti insieme, quell’auspicata neutralità dei territori della più antica religiosità. Quelli in cui risiedono i simboli e si trovano i luoghi della cristianità. Il timore crescente è che quegli sforzi antichi e quegli accordi, non bastino più e che un fronte bellico assai più largo e incontrollabile, sia stato costruito sulle barricate che pensavamo abbattute. Sarebbe una guerra su dimensioni planetarie, mentre quella regionale riprenderebbe a essere terrificante.

Abbiamo chiuso il duemila, secolo di guerre devastanti e di dittature crudeli e sanguinarie, con la promessa di un modo di pace. Era una promessa bugiarda e ingannevole. Per costruire la Pace, quella vera, non basta “ sospendere” i conflitti armati. Occorre edificare una diversa “ globalizzazione”. Quella di una cultura dell’Umanesimo nuovo, che, in nome dell’umanità ritrovata, ponga l’uomo al centro della storia. L’uomo, che per la sua piena dignità di persona, abbatta la sete del male. E in esso gli egoismi e le insane voglie di possesso, nel dominio totalizzante di pochi uomini su tutti gli altri. L’uomo al centro, come figlio di un Dio unico, anche nel permanere dialogico e pacifico delle diverse religioni monoteiste. Ovvero, nella concezione ateista della sua presenza sul pianeta, rispettabile quanto quelle religiose. Una nuova cultura, quindi, della vita, che unisca gli sforzi di Stati e governi per un’azione politica “ globale” che la vita difenda e promuova, in ogni suo momento, in ogni luogo.

La vita degli esseri umani, parimenti a quella della Natura. Di ogni cosa della Natura, dall’ambiente al paesaggio, dal cielo al mare, dalle piante agli animali. Dai monti e delle zone rocciose alla terra dei frutti. Fino a quando questa cultura non emergerà e l’uomo nuovo non risorgerà dalle rovine di ogni guerra, il mondo, questo nostro mondo, l’unico che abbiamo, sarà destinato a una sofferenza immane. A un rischio, più che incalcolabile. Davvero impensabile per il tormento che ci prenderebbe al solo immaginarlo.

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