Cimino: "Con Saverio Abenavoli scompare un grande calabrese"

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  17 agosto 2025 17:27

di FRANCO CIMINO
 
Eravamo amici, noi due.
Amici come si può essere tra due persone – potrei dire due personalità – diverse. Distinti e distanti sotto quasi tutti i profili.
 
Saverio ed io siamo sempre stati, per la differenza d’età, il vecchio e il giovane. Il saggio e l’istintivo. Lo scienziato e l’umanista. Lo storico e – mi si lasci passare il termine – il poeta, così almeno alcuni mi definiscono, io vergognandomi. Il medico e il professore. Il maestro e l’allievo.
 
Il carattere, per quanto aperto e socievole in entrambi, era diverso: rigoroso il suo, parecchio leggero e quasi concessivo il mio.
 
Nonostante queste differenze, Saverio ed io eravamo diventati amici. Ma a distanza, però, perché tranne rare occasioni – per quanto ce lo promettessimo – non ci vedevamo mai.
 
Tuttavia, la nostra amicizia maturò nel rapido passaggio da una forte stima reciproca a una sorta di affetto crescente.
Ci si parlava tramite messaggi WhatsApp. Brevi, ma intensi.
Ci si scambiava scritti ed opinioni – Saverio, in particolare, di carattere storico. Storia antica e medievale: la sua area di ricerca e di studio. L’epoca normanna: la sua passione.
E in qualche modo anche la sua forte simpatia per alcuni personaggi di quell’epoca.
 
Attraverso le sue ricerche storiche, i suoi studi rigorosi, egli perlustrava da cima a fondo la storia della Calabria.
Ne coglieva gli aspetti più salienti e quelli che, a lui, risultavano più interessanti. E li esaltava.
Li sottolineava anche nel racconto parlato, che faceva nelle diverse conversazioni, e che l’interlocutore ascoltava rapito per la sua straordinaria capacità affabulatoria.
 
La Calabria che ne veniva fuori è una Calabria di cui andare orgogliosi.
Una Calabria coraggiosa, anche guerriera, delle fazioni in lotta e delle occupazioni.
Della difesa strenua contro le diverse forme di dominazione.
Una Calabria religiosa e colta. Ambiziosa e volenterosa.
Una Calabria di regnanti e del popolo. Terra ricca. Anche della fruttuosità di se stessa.
Terra piena di risorse e baciata dal sole più bello.
Coperta dal cielo più bello. Accarezzata dal mare più bello.
 
Calabria della buona nobiltà, quell’antica e gelosa del proprio onore.
Una terra grande. Da amare.
 
E qui il ricercatore si fa maestro, quando afferma con severità che per amarla, la Calabria, devi conoscerla a fondo. In particolare in quell’epoca straordinaria di passaggio.
 
La crisi – sempre più profonda – in cui da molto tempo versa la Calabria, lui la spiegava soprattutto con questa mancanza d’amore. Quasi identitario, ironizzava.
Una mancanza di sentimento dovuta essenzialmente alla mancata conoscenza della storia di questa terra, per natura meravigliosa.
 
La debolezza progressiva delle classi dirigenti aveva, secondo lui, un’origine ben precisa: l’ignoranza.
E non c’è nulla di peggio di chi non conosce se stesso. Di chi non conosce la propria origine.
Infatti, chi non sa da dove viene, non saprà dove andare.
E infatti, la Calabria ancora non lo sa.
 
Questo amore pedagogico di Saverio mi aveva catturato.
Come la caparbia insistenza nel voler coinvolgere anche me, nonostante la mia iniziale disattenzione, verso questo amore pulsante di ragione. Al ritmo frenetico di una storia dimenticata.
 
Non si arrendeva, Saverio.
Se pensava che tu potessi fare qualcosa per migliorare questa terra – soprattutto sul piano culturale, prima ancora che morale – non ti mollava affatto.
Ti scriveva. Ti inviava libri. Ti stimolava alla lettura.
Ti interrogava con il suo metodo raffinato, da persona gentile e rispettosa.
 
Domande corrette, educate, accompagnate da discrezione, per non metterti in difficoltà. E, però, assai stimolanti.
E messe lì, come un leggero rimprovero.
 
Per quanto mi giustificassi con le solite scuse dell’uomo super impegnato, nella gentilezza con cui lui mi si rivolgeva, mi sentivo sempre in imbarazzo. E in colpa.
Così andavo a leggere almeno in parte i suoi voluminosi libri, e le pagine più importanti – almeno quelle che più mi interessavano – delle sue opere straordinarie.
 
Non gliel’ho detto, perché non me l’ha domandato, che l’ultimo libro che mi ha spedito per posta è ancora dentro il plico e la busta che lo conserva.
Plico rimasto sepolto sotto la montagna di scartoffie e disordine, con cui copro il mio disordine generale e il mio vertiginoso voler fare cento cose in una stessa giornata, che di ore ne ha sempre e solo ventiquattro.
 
Ma, non risultando un’offesa contro di lui, questa mia disattenzione mi sarà molto utile, perché con l’improvvisa scomparsa di questo intellettuale straordinario – oserei dire figura davvero rara nel panorama culturale italiano – mi si imporrà l’obbligo di andarlo a leggere.
 
E con più profondità e attenzione.
Con maggiore curiosità verso questa montagna di sapere e di sentimenti che, in tanti, abbiamo sottovalutato.
 
Mi auguro fortemente che le istituzioni – in particolare quelle culturali, dai centri di ricerca alle università, dalle scuole alle biblioteche – si impegnino nella stessa direzione, per scoprire e valorizzare le qualità di uno storico possente e di un intellettuale inquieto, che tanto ha fatto per la nostra terra.
 
Non solo dal punto di vista scientifico ma anche culturale. Il patrimonio che ci lascia è una ricchezza inestimabile, che dovrà essere messa in evidenza affinché concorra alla crescita complessiva della nostra regione.
 
A me, personalmente, la sua improvvisa scomparsa lascia una tristezza profonda e inaspettata.
E la domanda “bambina” su quegli 87 anni bugiardi, per l’illusione che la sua creatività ed efficienza ci dava nel vederlo sempre giovane e vivace. Ottimista ed eterno.
 
Ah, dicevo della nostra amicizia.
Che c’era davvero.
Due persone sono amiche quando, fuori dalle convenzioni, uno apre il cuore all’altro e viceversa.
 
Il campo migliore in cui farla germogliare è quello in cui si parla dei figli.
E dei figli dell’altro si domanda.
 
Saverio, di Lodovico ed Elena, ne parlava con una gioia contagiosa.
Orgoglioso com’era dei risultati conseguiti da loro.
In particolare, sempre fiero del primogenito, medico, docente, scienziato.
 
“Complimenti, Saverio” – gli dicevo ad ogni comunicazione sui successi dei suoi ragazzi –
“Molto merito è tuo.”
 
La sua risposta non cambiava mai:
“No, Franco. Il merito è tutto loro. Io li ho aiutati soltanto a crescere.”

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