Ma che bella giornata è stata ieri per me! È iniziata di primo mattino con un incontro speciale. A Soverato. Un lungo caffè al tavolo elegante di un bar elegante. Nel mezzo tante parole. Tutte buone. Pulite. Distribuite su pensieri robusti. E su problemi particolarmente gravi. Quelli odierni che battono a martello sul pianeta. Anche le mie parole a fiumara, come da carattere, sono state buone. Davanti a me gli occhi più belli del mondo. Dopo quelli di mia mamma e delle mie figlie, e delle mamme e dei figli del mondo, quegli occhi lo sono. Hanno una luce strana. Illuminante. Rassicurante. Incoraggiante. Una luce, che, pur ferma lì, su quelle due palle di vetro morbide, ti vien voglia di alzare gli occhi al Cielo per scoprire da dove gli arriva. E sì, che lo scopri! Basta sollevare lo sguardo. E il Cielo lo vedi anche dal soffitto. Con quella luce nei miei occhi, e quella tazzina profumata di miele, rose e caffè, sono andato al mare prospiciente. Ho camminato, come faccio sempre quando ne trovo il tempo, sulla rena. Accanto all’azzurra distesa, tanto vicino che se mi distraggo a guardare il cielo o a scrivere emozioni sul cellulare, ci vado facilmente dentro. Fino alle ginocchia. Respiro profondo per l’avidità che hanno i miei polmoni di prendersi tutta quest’aria indicibile. Unica. Fatta del respiro del mare e dei sospiri del vento, che leggermente si muove, per non disturbare ed esso stesso goderne. Torno a casa liberato, ché unicamente il senso di libertà oggi conduce a quella forma di felicità individuale, necessaria al tuo essere ancora per gli altri. Al servizio delle persone. E della tua Città. Ah, la mia Città, sempre più trascurata, violata nella sua dignità! Ferita nella sua intima natura, di luogo bello, generoso. Necessario a quel vasto territorio che la circonda. E verso il quale non riesce più a tendere le sue braccia per stringerlo d’amore utile. Produttivo. Umile, che sia di guida attenta e intelligente. Guida politica e morale. Guida culturale. Economica anche. Quella guida, non capoluogo di pennacchio, di cui la Calabria ha bisogno. Per rinascere. Guida, che la Calabria chiede, nonostante le resistenze, l’insensibilità e l’ignoranza di gran parte chi chi la governa, per uscire dalla profonda crisi in cui si trova. Guida, che la nostra Terra attende, per respirare la speranza di un tempo nuovo. Che la faccia ritornare fertile e colorata. Di fiori. E di erba del verde di questa terra. E, però, che bella giornata, dal tramonto a sera, pure per Catanzaro! Giornata di Festa, attraverso due feste. Diverse, uguali. Distinte, non contrapposte, sebbene la concomitanza degli orari lo facessero temere. Due feste, dello spirito e della mente. Due feste, religiosa e laica. Due feste commemorative di due personalità uniche. Nostre di questa nostra realtà. Due persone alte, che l’intero mondo ci invidia. Anche la seconda, che fisicamente da nove anni non c’è più. Due feste in due luoghi solenni, vicini e distanti, rassomiglianti e dissimili. Due templi. Della religiosità profonda, la Chiesa. Della laicità intensa, il Teatro. La Chiesa, la Basilica dell’Immacolata, il bel monumento alla Madonna e alla Città, che i catanzaresi lontani nel tempo, hanno eretto, per fare più grande Catanzaro. Il Teatro, il Politeama, che i catanzaresi di questo tempo hanno costruito, pur se sopra abbattimenti colpevoli, per rifare grande la Città. La Festa in una Basilica strapiena di gente, ritmata continuamente da applausi scroscianti, come a teatro, e colorata delle vesti bianche di preti e celesti dei confratelli della Confraternita e “ invasa” di canti e musiche liete all’animo, era per don Mimmo, il prete dei diseredati e degli ultimi, che dall’inizio della navata in processione a lui, vestito da Cardinale, accompagnato dal nostro Claudio, il Vescovo, ha raggiunto l’altare della Santa Messa, la sua prima messa nel nuovo incarico. Mamma mia quand’era bello! E che festa bella è stata quella che l’ha avvolto nella gratitudine e nell’affetto dei catanzaresi. Tutti gli occhi e gli obiettivi fotografici su di lui. Agitazione, emozione, cuori battenti e lacrime di pianto, a far casino lì dentro. Poi, è calato il silenzio più” assordante”. È stato quando ha preso quei pochi fogli piccoli, scritti a mano, e ha giganteggiato inarrivabile con la sua omelia. Da Vangelo del “ può un uomo ripudiare la sua donna?” E il capolavoro di letteratura e poesia, di spiritualità e di “ Vangelità” ( mi si lasci passare il termine) di antropo-filosofia umana, di pensiero sulla Chiesa e i suoi diversi “ operatori”, si è messo a danzare e a volare tra la le pareti della chiesa e la volta del cielo. Che omelia! E che forza in essa! Quanto lucido pensiero e deciso coraggio in quel raccontare l’Amore. Anche in quel sempre discusso principio della indissolubilità dell’unione matrimoniale. E sull’altro ancora operante nella vecchia cultura maschile. E cioè, se e perché e quando l’uomo possa utilizzare, come assurdo diritto, il potere, altrettanto assurdo, di ripudiare la donna. E, sempre velatamente da quel passaggio, per dire del reale significato di unione. Quale unità, del due in un corpo e un’anima sola, possa generarsi. È l’Amore, che rende indissolubili i legami, tutti. L’Amore che libera, non imprigiona. Che valorizza ed esalta l’altro. Non umilia, non deprime. Non frusta. Non frustra.
“L’amore non è trattenere, non è possesso, non è avere l’altro sotto controllo, è piuttosto accogliere, riconoscere l’altro come dono." Sono le sue parole. E, poi, la domanda fondamentale: "Quanto spazio lasciamo agli altri nella nostra vita? Il nostro cuore è un cuore abitabile o una fortezza chiusa?” È ancora: "Dobbiamo costruire relazioni che siano doni e non possesso, siano ospitalità e fedeltà autentica, accoglienza profonda dell’altro.” E tanto altro potrei dire sull’Amore e sui suoi legami con filo d’oro sulla sua pelle tempestata di diamanti e perle. Potrei dirne ancora molto. E anche con mie parole, che le sue rendono più efficaci. E parlarne con il mio sentire, che il suo sentire ha reso più tenero. O il mio pensiero, che il suo profondo ha illuminato. Mi soffermo solo su due passaggi coraggiosi e chiari. Il primo, più ecclesiologico. Il secondo, prettamente politico. Nel primo parla della Chiesa, questa locale. E parla ai suoi ministri, quasi uno per uno guardandoli negli occhi. Parole tenere in un monito durissimo. Una lezione severa di un padre intelligente e autorevole. Un parlare forte di un maestro coerente e credibile. Queste alcune delle sue parole:”La Chiesa non cresce con le divisioni ma con la comunione, guardando non ciò che ci separa, ma ciò che ci rende fratelli e sorelle." No ai personalismi, alle invidie, ai carrierismi. All’idea di essere serviti, mentre compito esclusivo è servire. Lavoratori non padroni della vigna. Sembra di sentire Francesco e anche un po’ di Benedetto XVI. Che forza! E che determinazione. Il tutto scaturente dalle due parole umili, che hanno aperto l’omelia- lezione. “ Chiesa mia grazie. Chiesa mia sono tornato per dirti una sola parola, Amore!” Poesia pura. Il Prete Cardinale, il nostro don Mimmo, ha infine parlato di noi. Della sua Calabria. Anche qui denuncia, monito e speranza: "Viviamo un tempo in cui prevale la logica dell’usa e getta, relazioni comprese. Viviamo un’epoca di conflitti, tensioni, individualismi e indifferenza, e noi dobbiamo indossare l’abito luminoso dell’amore fraterno e i calzari semplici e folli della speranza. Quella speranza di cui la nostra Calabria ha più che mai bisogno. La nostra terra ha bisogno di quella speranza che non tradisce, di quella forza che non si arrende."
Infine, ha parlato a ciascuno di noi. A me. Alle mie figlie. Ai miei ragazzi della scuola perché più forte in me io sentissi le parole da prof, che ho rivolto loro, con un’emozione simile a quella che Lui ha sentito ieri sera. Uso le sue:” Non smettere di credere, di sognare, di lottare, perché un futuro diverso è possibile: un futuro di pace e giustizia, un futuro in cui ognuno possa finalmente sentirsi accolto, amato, valorizzato e custodito dalla bellezza di questa nostra amata terra." E così anch’io ho preso a piangere le mie lacrime non trattenute. La Messa è finita. Don Mimmo saluta e scompare alla mia vista. Corro. Lungo il Corso. Corro davvero, mica per finta. C’era un’altra festa, iniziata da poco. Al Politeama, tempio laico dell’arte pura e della cultura. Da un’idea tanto generosa quanto intelligente del nuovo tandem Sovrintendente e Direttore Generale, Tonia Santacroce e Settimio Pisano, che, scorrendo un documento filmato tra il documentario e il film, la letteratura e il giornalismo, di straordinaria bellezza realizzato da due grandi catanzaresi, Vittore Ferrara e Pino Iannì, hanno celebrato, a distanza di nove ani dalla morte, una personalità stupenda. E bella nel suo aspetto fisico. Ed elegante e fine nel portamento e nel vestire. Colta e sensibile nella sua mente ricca di letture e conoscenze. Mario Foglietti, un uomo straordinario che ha fatto tutto nella sua vita, purtroppo non lunghissima, ché ottant’anni sono una sola stagione di vita per chi ama come ha saputo amare lui. Anche la Calabria e Catanzaro, la città dove è voluto tornare per amore. E per amarla più forte di come la si possa amare. Assai di più di quanto non l’amiamo noi. Offrendo cioè tutto quel gran bene di conoscenze e competenze, umanità e cultura, simpatia e follia, genialità e sregolatezza, che aveva nel corpo. Negli occhi. Nel cuore. È stata una festa bellissima. Ricca di tutto. Dall’ospitalità accogliente del Politeama ai contenuti culturali, dalle immagini di Catanzaro, più bella di sera, alle nutrite testimonianze di molte personalità presenti. E quelle, commoventi e stimolanti, di grandi catanzaresi catanzaresi che non ci sono più. Due per tutti, il poeta Nino Gimigliano, anche famoso avvocato. E il pittore Mimmo Rotella, anche il catanzarese giramondo che amava la Francia. E che a Catanzaro, la sua Catanzaro, ha deciso di tornare per la sua ultima dimora! Che bella festa!
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