di FRANCO CIMINO
L’onorevole Alfredo Antoniozzi, deputato eletto da Fratelli d’Italia, è figlio di Dario, storico esponente della Democrazia Cristiana. Dario l’ho conosciuto abbastanza bene sin da quando, io giovane democristiano, lo invitavo, nella sua qualità di vicesegretario nazionale, ai convegni e dibattiti che promuovevo sui temi più rilevanti della Politica. Non viveva stabilmente a Cosenza. Non si tratteneva molto in Calabria. Esperto di tematiche europee, incaricato più volte dal partito di seguirle per rafforzarne l’antica anima europeista, Dario faceva la spola tra Roma e Bruxelles. Era, me lo ricordo bene, un uomo bello, nella mia accezione di bellezza. Quella fatta dalla somma di cultura ed eleganza. Il nostro autorevole amico, lo era nello stile, nel vestire, nel dire. Lo era per la conoscenza e per l’esperienza, ambedue notevoli. Lo era per l’intelligenza e il carattere improntato alla prudenza. Ambedue robuste. Ed era, poi, bello per essere sempre stato coerentemente democristiano. Di spirito degasperiano e di fedeltà dorotea per la sua vicinanza, mai abbandonata, a uno degli ultimi grandi leader del partito popolare d’ispirazione cristiana, Emilio Colombo. Bello anche per la sua riconosciuta onestà, come veniva considerata la sua lunga esperienza. Onestà anche intellettuale. Di quella che fa bene alla Politica, alle istituzioni. Alla gente. L’onestà del riconoscimento del valore e degli interessi di altri. E l’obiettività con cui si affrontano le questioni emergenti dagli interessi di parte. E delle parti. La propria e quella altrui. Non conosco, invece, Alfredo. Sembrerà strano, ma non l’ho mai incontrato, neppure nelle numerose occasioni pubbliche. Vive da sempre a Roma, dove il suo cognome ha pesato molto anche, come ben fu, per la sua carriera politica tutta sviluppata dalla Capitale fino a Bruxelles. L’ho visto solo nelle numerose foto, che allora i giornali pubblicavano per segnalare maggiormente il privilegio della sua giovinezza e la facilità del suo ingresso in politica. Ingresso direttamente dai portoni di bronzo dei monumentali palazzi che non dalle fredde sale della militanza di periferia. Questo, evidentemente, non l’ha reso molto simpatico ai democristiani che sudavano il loro amore per il proprio partito tra rinunce e sacrifici personali enormi. E a quanti, della larga base, sostenevano, votavano e facevano votare Democrazia Cristiana, in assoluta gratuità d’impegno. Anche per questi motivi trovo strana la polemica che l’onorevole Antoniozzi, il deputato di oggi, il sempre giovane Alfredo, ha mosso oggi nei confronti del sindaco del capoluogo di Regione. Pure Nicola Fiorita è figlio di un democristiano, che io ho conosciuto molto bene, per aver intessuto con lui un’amicizia buona, fatta da stima e affetto reciproci. È Franco, che fu, dalla sua lunga militanza nella Democrazia Cristiana( fece anche il segretario provinciale)sindaco della nostra Città. Lo fu nel periodo più difficile per la politica cittadina. Il suo tempo a Palazzo De Nobili fu breve ma intenso. Tante le sue battaglie. Una la prese dai suoi predecessori, in particolare Mulè e Furriolo, e fu netta e chiara. Riguardava la concentrazione in una sola sede del “ potere”, ché di potere si trattava, della Rai in regione. La battaglia, a cui modestamente ho offerto anche il mio contributo, riguardava il superamento della preoccupazione che, concentrata la Rai del servizio pubblico( che significa informazione chiara estesa e imparziale su e di tutta la Calabra) in una sola città, essa potesse, anche involontariamente, allontanarsi dalle problematiche territoriali, e diventare un’emittente di tipo localistico. Una piccola antenna, che non avrebbe saputo reggere neppure al confronto con l’informazione delle televisioni locali, che incominciavano a nascere in tutta la regione. Ne vogliono dire una per non dirla tutta? La Telespazio di Toni Boemi, surclassava di molto il servizio reso dalla Rai. Il genio di quel matto siciliano inviava i suoi cento giornalisti in ogni parte della Calabria. Non c’era grande città calabrese che non avesse una redazione di Telespazio. Vogliamo dirne ancora? Cosenza, ce l’aveva. Crotone l’aveva. Reggio Calabria ne aveva una grandissima e super attrezzata anche per la sua notevole estensione in Sicilia. Della Calabria tutta si parlava. E tutta la Calabria parlava. Rai regione è rimasta ferma. Neppure la competizione la muoveva dalla sua fissità. Anzi, più volte Rai si rivolgeva al nostro Toni per recuperare immagini di eventi straordinari irraggiungibili per tutti. I veri giornalisti che hanno lavorato in Calabria, anche molti passati alla Rai, sono stati formati da Telespazio, anche se non tutti, forse quelli tra i migliori in Italia, hanno trovato, morto Boemi, buona fortuna professionale. Il migliore è ancora in attività, per fortuna. Qui da noi, a Catanzaro. Era, quella battaglia( proseguita per anni a singhiozzi e a mozzichi e con un eccesso di sospetta prudenza che l’ha indebolita) una battaglia democratica. Per la Democrazia. Il convincimento fermo era che se la nostra Regione non si fosse attrezzata di un sistema d’informazione esteso, robusto, autonomo, coraggioso, la Calabria non avrebbe fatto un solo passo verso il Progresso. Quello vero in cui crescita economica e crescita culturale, coscienza sociale e coscienza politica, beni culturali e beni naturali, intelligenza umana e moderne strutture, diritto al lavoro e diritto all’informazione, camminano insieme, strettamente uniti. Su questo terreno mai è stata chiesa una sede Rai esclusivamente per Catanzaro. Questo sarebbe stato frutto di un tatticismo spartitorio di uno strumento concepito come mezzo di potere. È un vizio brutto che non ci appartiene. Sarebbe stato facile ottenerlo con un accordicchio, magari, che mettesse insieme Cosenza e Catanzaro contro le altre città calabresi. La nostra antica battaglia era ed é per la costruzione di un sistema d’informazione ricco, articolato, libero, attrezzato, autonomo, indipendente, che parli di tutto il territorio direttamente da ogni sua parte, per renderlo più vicino alla gente cui il territorio unitariamente e peculiarmente appartiene, i calabresi tutti. È da qui che riparte il più grande e utile disegno politico, pensato da pochi, desiderato da tutti, osteggiato da tanti, l’unità della Calabria. È questo, se l’ho capito bene come bene ho capito per essere stato anch’io fermo sostenitore dello specifico punto programmatico, lo spirito con il quale il Fiorita di oggi, Nicola, il Sindaco di oggi, rivendica con forza l’istituzione di una sede Rai a Catanzaro. Anche a Catanzaro. Una sede, con tutto ciò che la onora di dignità e forza, e non una piccola succursale di quella di Cosenza. Una sede qui, e non solo perché ci si trova nel capoluogo della Calabria, ma perché Catanzaro è una delle Città che ne avrebbe diritto. Una che, con le altre quattro, potrebbe concorrere alla tessitura di un robusto tessuto democratico. Qui maggiormente, Fiorita Nicola, non ha fatto il campanilista. Ha fatto il Sindaco di una Città non della, ma per la Calabria. Qui più che altrove, il figlio di un altro grande democristiano, si è comportato da regionalista. Lo fa da politico autonomo. E non da autonomista, come quei deputati calabresi che non hanno nulla di noi e nulla danno alla nostra regione e invece votano le leggi che l’autonomismo delle regioni forti consolidano. Fiorita lo fa con volontà di “ pacificazione” dopo l’assurda guerra del pallone. Chi volesse, sospesa o persa quella brutta guerra(assurda quanto dannosa per la Calabria), riattivarne un’altra, la guerra della Televisione, se la faccia da solo. Catanzaro non lo seguirà. Al buon Alfredo, figlio del grande Dario, chiederei, però, un dovere conseguente, resti a Cosenza e si metta in armi per il combattimento. La faccia lui, la guerra, non solleciti l’intervento dei cosentini, tutta gente pacifica, che ha voglia di pace. E di unità dei calabresi per il bene esclusivo della Calabria.
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