di FRANCO CIMINO
E comunque, a me quella cosa in chiesa non è piaciuta affatto. Sapeva di strumentalizzazione, di sceneggiata. Di recita conveniente per la facile pubblicità dalle televisioni in mondo visione. In chiesa, luogo sacro. Ché Basilica di San Pietro è una chiesa, oltre che il monumento dell’uomo alla sua “ provretività” divina.
È una delle più grandi opere d’arte mai edificate dall’uomo. Opera d’arte, che contiene altre opere d’arte, dalla divina creazione umana, quale dimostrazione dell’esistenza di Dio. In quella Chiesa, in quell’opera d’arte, è stata recitata la farsa più pregna di ipocrisia e spregiudicatezza, che si potesse immaginare. Con il corpo ancora vivo di Francesco a venti passi da lì, è stata profanata la casa di Dio, la palestra d’amore di Francesco, la cattedra alta dalla quale ha parlato al mondo del Vangelo. Con la parola del Vangelo, attraverso la sua parola umana. Parola profonda dell’animo di un uomo che ha sofferto a causa delle guerre prodotte da molti degli uomini di potere, che erano venuti non a inginocchiarsi per chiedere perdono all’uomo che è stato contrastato e combattuto, offeso e denigrato, isolato nella sua lunga lotta contro la barbarie delle guerre, la ferocia dell’odio, la cattiveria della forza armata contro i deboli.
Se l’ironia non fosse a me stesso sgradevole, direi che molti di loro sono venuti ai funerali più per verificare che Francesco fosse veramente morto, liberando il loro mondo della sua presenza, che non per rendergli omaggio, perdonandosi e chiedendo perdono. Vedere che in quella Basilica del Papa regnante sotto il Cristo Signore della vita, guida del mondo e del cammino per la Pace, abbia trovato imperio e centralità un potente della terra, per essere globalmente riconosciuto come il capo del mondo, cui assoggettarsi riconoscendone autorità e potenza, francamente mi ha ferito molto.
Come cristiano e come uomo. Sapere che quel potente in solo quindici minuti abbia potuto parlare con sette capi di Stato, e lungamente come dicono gli ossequienti osservatori con il rappresentante del popolo ucraino, che, come quello di Gaza sta ancora subendo il martirio di continue uccisioni e devastazioni, fa ridere piangendo di dolore immobile, sconfitto, disarmato. Se qualcosa di diplomatico, appena appena accennato, vi fosse stato in quella sala enorme di enorme bellezza, avrà riguardato, dicono ancora gli ossequienti osservatori, l’accordo di “pace“ che si vorrebbe imporre all’Ucraina come alla Palestina ancora non nata, questo dovrebbe far riflette i pacifisti improvvisati sull’altare delle partigianerie.
L’accordo americano dello studio ovale, intendo, fotocopia della volontà di Putin e dì Netanyahu, che vorrebbero che le posizioni restassero sul terreno così come sono state determinate da più di tre anni di assalti bellici durissimi da parte della Russia all’Ucraina e da quasi due anni di barbari massacri di Israele, sulla palpazione palestinese. Con un premio-rapina ai falsi mediatori in terre e in beni preziosi per l’imposizione di questa autentica vergogna.
Se questa è la Pace, io mi candido a fare il prossimo Papa. Se davvero si fosse voluto onorare Francesco, sarebbe bastato il silenzio. Ovvero, nel momento dello scambio del segno di pace durante la Messa per Lui, tutta la parte destra dall’altare, quella macchia nera che si vedeva in contrasto di colore dalle televisioni, si lanciasse, nello stesso spazio, in un abbraccio forte ad occhi chiusi per non sapere dell’altro. Un abbraccio tra tutti loro. E tutti insieme, con gli occhi rivolti al cielo, urlare una sola parola, Pace, Pace, Pace. Quella professata dal Vangelo e predicata da Francesco. La Pace senza condizioni, se non quelle di riparare a tutte le offese morali e materiali commesse. In danno all’uomo e alla umanità, che custodisce e valorizza la dignità e la vita di ogni essere umano. E del popolo e della terra a cui appartiene, un attimo prima di essere parte dell’Umanità.
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