Cittadinanza onoraria a Gratteri. Il presidente della Camera penale di Firenze spiega il dissenso all'iniziativa: "Contrari ad una giustizia del tifo"

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images Cittadinanza onoraria a Gratteri. Il presidente della Camera penale di Firenze spiega il dissenso all'iniziativa: "Contrari ad una giustizia del tifo"
Luca Bisori
  03 marzo 2020 20:56

di TERESA ALOI

Cittadinanza onoraria al procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri?  La mozione  approdata al Consiglio comunale di Firenze ha prodotto attriti tra il Comune di Firenze e gli avvocati penalisti fiorentini. A tal punto che a presidentessa della commissione consiliare Politiche per la promozione della legalità del Comune, Alessandra Innocenti, ha modificato il testo. (LEGGI QUI)

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Ed è al presidente della Camera penale fiorentina Luca Bisori,  che nella lettera al sindaco di Firenze Dario Nardella e al presidente del Consiglio Comunale Luca Milani contestava parte delle motivazioni contenute nella mozione per l'attribuzione della cittadinanza onoraria al magistrato Nicola Gratteri che  abbiamo rivolto alcune domande per chiarire meglio la questione.

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La mozione n.47/2020, con la quale si vorrebbe impegnare l’Amministrazione Comunale fiorentina a conferire “la più alta onorificenza” al dott. Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro non ha trovato d’accordo tutti. La Camera penale in primis. Lei ha spiegato di non aver messo in discussione la persona del dott. Gratteri, fedele servitore dello Stato e magistrato di riconosciute capacità. E allora perché la sua contrarietà?

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"La ringrazio di aver voluto ricordare la premessa esplicita del nostro intervento, che è forse sfuggita alle agenzie di stampa che hanno battuto la notizia. La nostra contrarietà non ha ovviamente nulla a che vedere con la persona del Procuratore Gratteri.
Abbiamo posto una questione culturale e di metodo: nelle motivazioni della proposta si diceva infatti che il dott. Gratteri meriterebbe onorificenze perché è a lui che si deve il recente arresto di 330 persone. Ci ha francamente sconcertati l'idea di giustizia penale che fa da sfondo a questa iniziativa: una idea in cui non c'è posto per la difesa dell'imputato, che è anzi un impiccio un po' fastidioso, in cui gli arresti bastano ed avanzano per avere un colpevole. Una idea sbrigativa, illiberale, che trasforma il luogo per eccellenza delle garanzie, che è il processo penale, in una specie di arena da stadio, in cui la politica sente il bisogno di buttarsi a tifare per l'una o per l'altra parte, magari scommettendo sul ritorno di immagine che potrebbe avere schierandosi con la parte più forte, o più simpatica. Guardi, è la stessa cosa che è accaduta, a parti invertite, quando in altre occasioni la politica si è schierata 'a prescindere' al fianco di un imputato. Un ordinamento liberale dovrebbe essere vaccinato contro queste strumentalizzazioni, e dovrebbero esserlo anzitutto i rappresentanti delle istituzioni, a tutti i livelli. Con il nostro intervento abbiamo voluto richiamare la politica a questa responsabilità di orientamento culturale, che sta smarrendo. E mi fa piacere poter dire che il senso del nostro intervento è stato colto e condiviso, perché ho saputo proprio in queste ore che la proposta è stata emendata, e che non comparirebbe più alcun riferimento ai procedimenti calabresi in corso ed agli arresti di Natale".


L’Unione delle Camere Penali, subito dopo “Rinascita-Scott”, ha cercato di stigmatizzare il rapporto tra magistratura ed esposizione mediatica. Secondo lei quanto è centrale la questione del così detto “processo mediatico”?

"E' un tema molto delicato. L'attenzione mediatica per i processi corrisponde anche ad una esigenza di democrazia: i processi sono pubblici per consentire ai cittadini di controllare l'esercizio della giurisdizione. Oggi tuttavia l'enfasi mediatica produce molti guasti, ed ha già una vittima certa, la presunzione di innocenza. La cronaca giudiziaria non tollera i tempi del processo, ha bisogno di qualcosa da dare subito in pasto ai lettori, e cosa c'è di meglio dell'operazione di polizia o delle misure cautelari? L'arrestato diventa il colpevole, il pubblico ministero diventa il 'giudice' (e non una parte che dovrà confrontarsi con le ragioni della difesa davanti ad un giudice terzo). Nella rappresentazione mediatica non c'è posto per le garanzie, che suonano come fumisterie da azzeccagarbugli, e sono invece il sale della democrazia. Tutto questo avviene spesso malgrado gli intenti dei singoli: figuriamoci quel che può accadere quando invece ci si presta a questa china. Io non conosco la vicenda calabrese, e non mi permetto di dare giudizi. Nel nostro comunicato abbiamo voluto ricordare quale sia il modello di magistrato che il Presidente Mattarella ha disegnato pochi giorni fa parlando ai vincitori del concorso: un magistrato che amministra la giurisdizione con professionalità e riserbo, e che non interpreta la funzione giudiziaria come un compito volto ad acquisire meriti e riconoscimenti.


Perché è importante non fermarsi alla fase delle indagini ma attendere l’esito del processo?

"Perché il nostro ordinamento ha scelto un modello processuale nel quale le prove si debbono formare di regola davanti al giudice, con la partecipazione di accusa e difesa che sono poste sul medesimo piano (noi diciamo "nel contraddittorio"). Non è un capriccio del legislatore: questo è il sistema che, nell'esperienza giuridica, funziona meglio, permette di minimizzare gli errori giudiziari, assicura di arrivare quanto più vicini possibile alla verità. Le indagini sono invece una fase in cui è protagonista una parte sola, cioè l'accusa: è naturale che i risultati delle indagini riflettano un punto di vista parziale, e per questo è previsto che si instauri poi un fondamentale (irrinunciabile, lo chiama la Costituzione) contraddittorio con la difesa. L'esperienza insegna che sono numerosissimi i casi in cui una ipotesi investigativa anche apparentemente molto solida non supera poi il vaglio critico di un processo. Sono questi i molti 'innocenti in carcere' di cui il ministro Bonafede qualche tempo fa negava l'esistenza, e cui invece il suo Ministero paga ogni anno molti denari per risarcire le ingiuste detenzioni".

Decreto sulle intercettazioni, riforma sulla prescrizione, una visione della Giustizia che sta cambiando in genere. Presidente, sente che ci sia una flessione giustizialista? E se sì, quanto è importante rimarcare quelli che sono i principi dello Stato di diritto, a cui si ispira la nostra
Costituzione?

"Che il nostro sia un tempo di populismo giustizialista è, credo, sotto gli occhi di tutti. Guardi, sarebbe sufficiente pensare ai titoli di alcune leggi: pensi al nome "spazzacorrotti", e provi a riflettere sull'idea violenta di giustizia penale che evoca. Anche la vicenda della riforma della prescrizione è paradigmatica: per potere rivendicare con il proprio elettorato di essere inflessibili coi colpevoli, non si è esitato a condannare all'ergastolo processuale tutti quelli che vanno in appello, per i quali non esiste più un tempo limite per l'accertamento. E' pura propaganda, perché la prescrizione è un fenomeno che colpisce per il 75% le fasi precedenti all'appello, e su quella prescrizione (che è quella che permette ai tribunali di non collassare) non si dice né si fa nulla: per voler apparire duri e puri, non si è esitato a calpestare il diritto di chi è parte di un processo d'appello, una vittima sacrificale per poter far dire ai proponenti di avere 'abolito la prescrizione'. E' una follia, ma è una follia lucida, consapevole, perché tutti gli esperti l'hanno condannata: e che si spiega solo con un uso strumentale, populista appunto della giustizia penale. Per le intercettazioni vale la stessa osservazione: all'insegna di 'chi è onesto non ha nulla da temere' si vuole legittimare un ricorso ossessivo e illiberale alle intercettazioni. Qualche giorno fa il presidente dell'Unione delle Camere penali ha messo in guardia i coraggiosi che vanno dicendo "intercettateci tutti": è troppo facile fare gli eroi del giustizialismo con le intercettazioni altrui..."

 

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