Conidi: "La spettacolarizzazione della giustizia e della morte, quando il dolore diventa intrattenimento"

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L’avvocato Claudia Conidi
  19 agosto 2025 12:37

di M. CLAUDIA CONIDI RIDOLA*

Negli ultimi anni, l’aula di giustizia sembra essersi trasferita dai tribunali ai palinsesti televisivi e alle piattaforme digitali. L’interesse mediatico per i processi penali, anziché limitarsi a un doveroso compito di cronaca, ha assunto i contorni della spettacolarizzazione. L’imputato, spesso ancora prima dell’apertura del dibattimento, viene esposto al pubblico giudizio come in un moderno processo di piazza.

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La presunzione di innocenza calpestata

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L’art. 27, comma 2, della Costituzione italiana sancisce che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Analogo principio è contenuto nell’art. 6, §2, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e nella Direttiva UE 2016/343 sulla presunzione d’innocenza.

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Eppure la narrazione mediatica spesso capovolge questo paradigma: l’indagato viene rappresentato come già colpevole, trasformando l’indagine preliminare in una condanna morale e sociale. La pressione esercitata dai talk show, dalle prime pagine e dai contenuti virali condiziona l’opinione pubblica e rischia di influenzare, indirettamente, anche la serenità degli operatori della giustizia.

"La condanna anticipata"

Il processo penale è già di per sé un percorso doloroso per l’imputato, chiamato a difendersi da accuse talvolta fondate, talvolta infondate. Ma quando si instaura in parallelo un “processo mediatico”, il soggetto subisce una doppia pena: quella formale, in aula, e quella informale, davanti al pubblico e al mercato dell’audience.
Questa è una vera e propria condanna “ante litteram”, non prevista dal nostro ordinamento, che segna in profondità la vita personale, familiare e professionale di chi ne resta coinvolto, anche laddove sopraggiunga poi un’assoluzione.

Il diritto di cronaca e i suoi limiti

La libertà di stampa e il diritto di cronaca (art. 21 Cost.) sono pilastri della democrazia, ma non sono assoluti: trovano un limite nel rispetto della dignità e dell’onore della persona (artt. 2 e 3 Cost.; art. 8 CEDU).

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giornalismo giudiziario, se esercitato senza equilibrio, rischia di violare la riservatezza (art. 7 del Codice Privacy e Reg. UE 2016/679) e di interferire con il regolare svolgimento del processo, in contrasto con l’art. 114 c.p.p., che vieta la pubblicazione di atti d’indagine non ancora discussi.

La spettacolarizzazione della morte sui social

Ma non è solo la giustizia a essere trasformata in spettacolo. Sui social network assistiamo a un fenomeno ancor più drammatico: la spettacolarizzazione della morte. Vengono diffusi video di persone moribonde, di bambini, donne, anziani, giovani e adulti che vivono i loro ultimi istanti di vita.

Queste immagini, spesso registrate a loro insaputa, finiscono per cristallizzare il momento estremo dell’esistenza, non per pietà o memoria, ma per alimentare audience, visualizzazioni e dunque guadagni. È una sorta di “eredità anticipata” che i videomaker senza scrupoli si arrogano, monetizzando la sofferenza altrui e rendendo eterna una morte che avrebbe dovuto rimanere intima, custodita, protetta dal silenzio.

Non vi è nulla di più degradante, perché così si calpesta non solo la dignità dei vivi, ma anche quella dei defunti, trasformati in merce di scambio nel mercato digitale dell’intrattenimento.

Una proposta di legge per tutelare privacy, dignità e buon giudicare

Sarebbe opportuno un intervento legislativo che affronti congiuntamente i due fenomeni: la spettacolarizzazione della giustizia e quella della morte. Una riforma organica potrebbe prevedere:

1. Divieto rafforzato di diffusione di atti non ancora discussi in aula, con sanzioni pecuniarie e interdittive più severe.


2. Tutela rafforzata della privacy: anonimizzazione dei nomi durante le indagini preliminari, salvo eccezioni motivate da interesse pubblico.


3. Codice deontologico per l’informazione giudiziaria, con sanzioni disciplinari aggravate per chi diffonda notizie suggestive o parziali tali da pregiudicare il sereno svolgimento del processo.


4. Divieto di diffusione di immagini e video di persone nel momento della morte o in condizioni di estrema sofferenza, salvo espresso consenso dei familiari e purché finalizzati a scopi giornalistici di pubblico interesse, con previsione di sanzioni penali e risarcitorie per i trasgressori.


5. Tutela della memoria del defunto e dei congiunti, con riconoscimento esplicito del diritto alla dignità post mortem, già affermato in via giurisprudenziale ma meritevole di chiara codificazione legislativa.

Questa ipotetica “legge sulla riservatezza e dignità nella comunicazione” avrebbe un duplice obiettivo:

preservare la dignità dei vivi e dei defunti dall’abuso mediatico,

garantire un esercizio equilibrato del diritto di cronaca, in armonia con il principio costituzionale di tutela della persona (art. 2 Cost.) e con il buon giudicare. 
La giustizia non è spettacolo, e la morte non è intrattenimento. Una società civile non può ridurre a contenuto virale ciò che è più sacro e fragile: la dignità dell’essere umano. Perché, in definitiva, la civiltà è progredire nel rispetto della persona umana, non nel calpestarla.

*Avvocato

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