Conidi Ridola: "Giustizia copia-incolla e processo penale, l’efficienza non può sostituire l’interpretazione"

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  28 dicembre 2025 19:29

di M.CLAUDIA CONIDI RIDOLA *

La recente legittimazione, da parte della Corte di Cassazione,(sent. sez tributaria del 22 dicembre scorso n.33584 )dell’uso del copia-incolla nelle motivazioni dei provvedimenti giudiziari viene presentata come una risposta pragmatica a un problema strutturale: la lentezza della giustizia. Ed è innegabile che il sistema abbia bisogno di strumenti che aiutino i magistrati a governare carichi di lavoro sempre più gravosi. La motivazione non è un esercizio letterario e la stessa giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha chiarito che essa deve essere sufficiente, coerente e intelligibile, non ridondante Tuttavia, se questa logica può apparire sostenibile in ambiti seriali del civile o del tributario, nel processo penale essa diventa estremamente problematica.
Il diritto penale è, per definizione, il luogo della massima individualizzazione della decisione. La valutazione della responsabilità, dell’elemento soggettivo, della gravità del fatto, dell’offensività concreta e, soprattutto, della pena non può essere il risultato di uno schema replicato. Lo ha affermato con chiarezza la Cassazione a Sezioni Unite già con la sentenza Franzese (Cass. pen., SS.UU., n. 30328/2002), ricordando che il giudizio penale è sempre un giudizio sul caso concreto, irriducibile a formule astratte. Ed è un principio ribadito più volte anche in tema di dosimetria della pena, dove la Suprema Corte ha sottolineato che il giudice deve dar conto delle ragioni della scelta sanzionatoria in relazione alla specificità del fatto e della persona.
Il problema del copia-incolla, nel penale, non è solo formale. È sostanziale. Perché la motivazione non è un accessorio della decisione: è la sede in cui si manifesta l’esercizio del potere giudiziario e si rende controllabile il suo uso. Una motivazione che riproduce pedissequamente un precedente – magari dello stesso giudice, o della stessa sezione – rischia di diventare il segnale di una rinuncia all’attualizzazione del giudizio. E questo è particolarmente grave in un ordinamento che, almeno in teoria, non conosce la vincolatività del precedente.
L’esperienza pratica di chi frequenta le aule giudiziarie lo dimostra bene: anche in Cassazione, casi analoghi vengono risolti in modo diverso da una sezione all’altra, talvolta con orientamenti opposti che convivono per anni. Questa pluralità interpretativa, per quanto faticosa, è fisiologica e persino salutare, perché consente al diritto di evolvere. Ma se il principio del copia-incolla dovesse consolidarsi come prassi redazionale, il rischio concreto è che ogni sezione finisca per auto-perpetuare il proprio orientamento, replicandolo nel tempo senza un reale confronto critico con le peculiarità del singolo caso e con il mutamento del contesto normativo e sociale.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ricordato che il diritto deve essere interpretato in modo “dinamico e evolutivo”, come uno “strumento vivente” (living instrument), capace di adattarsi alle trasformazioni della società Un approccio che mal si concilia con una giustizia che si limita a riprodurre se stessa, trasformando il precedente da strumento di orientamento a cristallizzatore della memoria giudiziaria.
Nel penale, poi, l’automatismo interpretativo rischia di incidere direttamente sui diritti fondamentali dell’imputato. Una valutazione standardizzata dell’offensività, della recidiva, della pericolosità sociale o delle attenuanti generiche può tradursi in una decisione formalmente corretta ma sostanzialmente ingiusta. Non è un caso che la stessa Cassazione abbia più volte censurato motivazioni stereotipate, ritenendole incompatibili con l’obbligo di valutazione individualizzata imposto dall’art. 27 Cost. 
La tecnologia può – e deve – aiutare anche i magistrati. Ma deve essere uno strumento di supporto al ragionamento, non un moltiplicatore dell’inerzia interpretativa. Snellire i provvedimenti è necessario; snellire il pensiero giuridico, no. Perché nel processo penale ogni caso, anche se apparentemente analogo a un altro, non è mai davvero uguale. E una giustizia che, in nome dell’efficienza, rinuncia a interrogarsi sul presente rischia di essere più veloce, ma anche più distante dalla sua funzione costituzionale.

*Avvocato


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