Il pericolo non si vede finché non ti entra in casa. Espressione mai più azzeccata per il Covid-19 e la Regione Calabria. Due dipendenti della Cittadella sono stati sottoposti, con apposite ordinanze sindacali (le n. 1623 e 1624 del 27 agosto), alla quarantena obbligatoria con sorveglianza attiva nel proprio domicilio. Anzitutto – dichiara il sindacato CSA-Cisal –, non possiamo che augurare ad entrambi di stare bene e, dopo aver seguito l’apposita procedura, di rientrare sul posto di lavoro.
È il primo vero episodio “critico”, dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, che in qualche modo tocca da vicino la Cittadella regionale. Apprendiamo – afferma il sindacato CSA-Cisal – che correttamente il ‘Datore di Lavoro’ ha richiesto la sanificazione dei locali della Cittadella. Giustissimo, visto che l’ultima è stata effettuata ormai parecchi mesi addietro. Non si dimentichino, tuttavia, gli uffici periferici regionali. È inutile dire che il momento è particolare: il personale comincia a tornare dalle ferie e gli uffici torneranno ad essere frequentati. Anzi, a ben vedere, lo saranno come non lo si vedeva dal lockdown poiché oltre ai rientri dalle vacanze, sicuramente da settembre ci saranno più lavoratori rispetto ai mesi scorsi in quanto prima impiegati con la modalità smartworking.
Altro aspetto cruciale sono le misure anti-contagio, purtroppo incredibilmente sottovalutate. Un dato su tutti: ad oggi, non è previsto nessun termoscanner in corrispondenza delle varie entrate nella Cittadella regionale e nemmeno negli uffici decentrati che già di per sé presentano condizioni logistiche più disagiate. Anche il Comune più sperduto – osserva il sindacato CSA-Cisal –, anche i piccoli market e varie attività commerciali hanno adottato l’utilizzo dei dispositivi per rilevare la temperatura corporea (oltre 37.5° uno dei possibili segnali della presenza del virus in una persona) ma non la sede della Regione Calabria. Una mancanza clamorosa poiché è noto che, oltre ai dipendenti, nella Cittadella transitano quotidianamente centinaia di visitatori di cui non si conosce la provenienza e attorno a cui, qualora risultassero positivi al Covid-19 in un secondo momento, difficilmente si potrebbe ricostruire la famosa catena dei contatti. Un clamoroso controsenso se si pensa che è proprio la Regione a fissare queste procedure per i cittadini calabresi, tramite le famose ordinanze, ma poi non le applica al suo interno. Tutto nasce da un “dubbioso” Protocollo sulla sicurezza dei lavoratori regionali (di cui ci occuperemo più approfonditamente in un’altra occasione) all'interno di cui si indica l’utilizzo del termoscanner soltanto come “eventuale”, ma non obbligatorio.
Invitiamo pertanto l’Amministrazione a correggere con immediatezza tale mancanza così come fare il punto della situazione sui dispositivi di protezione individuale e di tutto il materiale necessario negli uffici in modo da garantire la massima sicurezza dei lavoratori regionali, sia quelli della Cittadella e sia quelli degli uffici periferici. La tutela della salute dei lavoratori è un obbligo in capo al Datore di Lavore. Quest’ultimo è tenuto non solo ad adeguarsi alle misure imposte dalle leggi in materia, ma altresì deve osservare le regole generali di prudenza e di diligenza. Come recita lo stesso Protocollo: “E’ obiettivo primario coniugare la prosecuzione delle attività lavorative con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza dell’ambiente di lavoro”. Contenere il rischio di diffusione del virus è interesse dell’intera comunità, ed impensabile – conclude il sindacato CSA-Cisal – che in un ambiente come la Regione Calabria non ci sia nemmeno un termoscanner. Con il virus non si scherza.
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