Coronavirus. Dolore e speranza nel racconto di Patrizia Scarpelli, medico di Cosenza di ritorno dalla trincea del nord

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Task force dei medici in partenza
  25 aprile 2020 00:52

di GIOVANNA BERGANTIN

Lo sguardo profondo, triste, impaurito e allo stesso tempo indagatore, gli occhi  intrisi di pacato sgomento che leggono il seppur minimo segnale, captano anche  il solo sospiro dei medici vicini ai loro letti dell’ospedale Covid di Gardone Val Trompia. Quegli occhi tristi e imploranti, Patrizia li porterà sempre dentro di sé. Li ha fotografati bene, ha scoperto il linguaggio degli occhi mentre, durante i suoi turni in ospedale, passava a controllare, a rassicurare, a lottare il virus, bardata di tutto punto con tuta, mascherina e visiera. Patrizia Scarpelli un marito, due figlie e una mamma anziana fa il medico anestesista all’Inrca, nel presidio ospedaliero di Cosenza. Da quando l’emergenza è iniziata, non ha fatto che pensarci, i servizi ordinari sono sospesi nel suo presidio ospedaliero, e allora? Potrebbe dare una mano negli ospedali più affollati, ai medici in prima linea che sono al centro di un’emergenza sanitaria senza precedenti.

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“Avevo visto i colleghi del nord Italia stanchi, stremati, continuare a lavorare senza sosta, proseguire a gestire i loro pazienti con i segni delle mascherine e della disperazione sul viso mentre il virus non arretrava. Non potevo lasciarli soli - ci racconta la dott.ssa Scarpelli  - Perciò ho risposto all’appello della Protezione Civile che mi ha praticamente contattato subito. Ho atteso qualche giorno, volevo esser certa che anche in Calabria non ci fosse uno stato di emergenza a cui dare il mio servizio e poi son partita col contingente dell’otto di aprile”.  

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Un viaggio da Cosenza a Roma in macchina, da sola, con in tasca la chiamata  della Protezione civile, per il briefing con i responsabili. Un capitano medico dell’Esercito verifica la negatività al tampone e si formano i gruppi diretti nelle Regioni, sui ‘fronti’ più caldi dell’epidemia. Presenti, ottantasette medici volontari che hanno risposto all’appello, una task force per aiutare i colleghi in difficoltà, un esercito di combattenti da tutt’Italia, perché decisi e pronti per una missione speciale contro il virus. Alcuni vanno verso le Marche con l’autobus dell’Esercito, altri dall’aeroporto di Pratica di Mare raggiungono il Nord. Diciannove medici ‘reclutati’, fra cui Patrizia, accompagnati dal ministro Boccia e dal Capo Dipartimento Protezione Civile Borrelli, volano in Lombardia. A Linate li aspetta una calorosa accoglienza da parte del Governatore Fontana e dei delegati delle province e di altre Regioni. “Una esperienza umana ricchissima. Un gruppo eterogeneo di medici di tutte le età, dai giovani appena specializzati  a quelli rientrati dalla pensione, arrivati da Trento a Palermo, accomunati da un unico sentimento: il desiderio di essere utili ”, spiega la dottoressa appena rientrata dalla sua missione.

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Patrizia Scarpelli con l'armatura pronta per il lavoro in ospedale

Sono stati definiti eroi. I tanti e continui ringraziamenti suonano quasi fastidiosi, si schermisce la dottoressa Scarpelli. Abituata a lavorare in ospedale e desiderosa di dare una mano, in fondo cosa sarebbe cambiato alla sua giornata? “Avrei lavorato lo stesso in ospedale, l’ho fatto ancor di più, dove ve ne era un gran bisogno. Sapevamo che in quelle zone erano tutti molto provati dagli orari di lavoro senza sosta”, spiega.  Intanto non si spiega il perché, ma sa di essere stata assegnata alla Lombardia e mandata in rinforzo all’ospedale Covid di Gardone Val Trompia, nell’ASST di Brescia. “Inserirsi nel lavoro del reparto è stato, come dire, ‘semplice’, grazie ai medici internizzati siamo entrati subito a seguire i pazienti. Mi aspettavo chissà che, un ambiente tipo ospedale da campo, invece è un ospedale bellissimo, con protocolli codificati, percorsi covid ad hoc e dispositivi di protezione completi, anche se controllati”, afferma con piglio da competente. Passione e senso del dovere, niente di eccezionale, fa intendere. Forse. Ma certamente, aggiungiamo noi, grande responsabilità e generosità. Mettere a rischio la propria incolumità e quella dei propri cari, lasciarli per dedicarsi agli altri, non è facile e neanche così scontato. Il tempo nel presidio di Gardone Val Trompia è totalmente dedicato al lavoro ospedaliero con pazienti covid, senza alcuna pausa durante la giornata. Al mattino una navetta porta dall’albergo in ospedale per poi rientrare la sera. Nel pomeriggio, dopo le visite si passa alla corrispondenza telefonica per spiegare, rispondere e dare notizie ai parenti dei pazienti ricoverati. Dopo i turni si torna alla realtà nella solitudine della stanza d’albergo, si apre il cellulare e si ricontatta il mondo, la famiglia, i figli, i propri cari;  la sera si esce in giardino qualche minuto, giusto il tempo di fumare una sigaretta.

Patrizia Scarpelli a fine servizio con il viso segnato dalla mascherina

“A Pasqua e Pasquetta, anche considerando i ritmi straordinari di lavoro che l’emergenza aveva imposto, abbiamo offerto la nostra disponibilità per coprire i turni dei colleghi interni. In fondo eravamo lì a far quello. Un ristoratore ci ha mandato persino il pranzo, raro momento di tregua”, ricorda ancora emozionata la dottoressa, ma poi ritorna ai pazienti che seguiva e controllava costantemente. Paolo, 50 anni è uno di loro: in ventilazione non invasiva, tutti i familiari coinvolti, i genitori morti, sveglio, collaborativo ma molto preoccupato, guarda atterrito, quasi in maniera catatonica, i medici che gli si avvicinavano. Ripete di star bene e chiede ai sanitari più loquaci “quali le novità?” Rassicurante l’epilogo. Ha preso la via verso le dimissioni perché è in continuo miglioramento. A Francesco, 67 anni, molto conosciuto da tutti, la polmonite estesa non consentiva alcuna autonomia respiratoria, bisognava intubarlo, ma soprattutto, occorreva spiegarglielo. “La Primaria, con garbo e modo, gli rappresenta la situazione, ma lo sguardo di quell’uomo mi ha colpito, era terrorizzato, quello di un condannato a morte”. Si commuove nel raccontarlo Patrizia Scarpelli. “Prima che l’ambulanza lo portasse via ha chiesto di parlare con i figli al telefono. Alla mia partenza era ancora in rianimazione. Ma telefonerò per sapere come vanno le cose per tutti. Mi è spiaciuto venir via, ma c’è anche la famiglia”.

Adesso negli ospedali del nord va un po’ meglio, ma è una lotta costante ogni giorno contro questo male invisibile, subdolo. Il punto è che il nemico, in questa guerra, non si conosce, non abbastanza almeno. Sorprende la calma, la decisione, la positività, la carica e l’entusiasmo del medico che racconta com’è stare in prima linea: “Questa epidemia ci ha insegnato molto. Anche i criteri epidemiologici si sono evoluti. Ci si è resi conto, man mano, che l’intubazione precoce spesso non è risolutiva, anzi il contrario. Perciò il primo passaggio per questi pazienti è una ventilazione non invasiva. Inoltre, non abbiamo farmaci efficaci contro il virus, cerchiamo solo di rispondere ai danni che provoca. Le terapie sui malati di coronavirus, a parità di trattamento, danno risposte individualizzate. Non c’è età o altro elemento differenziale. La malattia è lunga e lenta. Bisogna tenere d’occhio i nuovi contagi, i morti purtroppo ci saranno ancora” E per ripartire, che rischi? “Meglio partire, pian piano, dalle necessità e usare le dovute cautele per attivare con prudenza l’apertura. Anche il lavoro sanitario ha dimostrato che con tutte le precauzioni del caso si può uscirne. Bisogna ancora evitare assembramenti. Per il futuro nutro una cauta speranza”.

 Adesso la dott.ssa Scarpelli pensa al suo, di Ospedale: “La Calabria è stata in un certo modo ‘graziata’, ma dovrebbe far tesoro di tutto ciò che è successo perché l’esperienza ci ha insegnato tanto”. Certamente la normalità è ancora lontana. Ma ci stiamo tutti attrezzando.  Se lo dice la dott.ssa Scarpelli, che ha sfidato e combattuto in trincea l’epidemia, possiamo e dobbiamo davvero crederci!

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